La Democrazia Cristiana a Valenza (II parte)
Nuovo approfondimento storico del professor Maggiora
VALENZA – Clicca qui per la prima parte di questo saggio. Nell’ottobre 1964 la locomotiva elettorale è in pieno movimento, e i vari partiti stanno preparandosi ad affrontare la sfida che porterà al voto del 22 novembre per il rinnovo del Consiglio comunale. Annusando bene si sente odore di cambiamento, ma pochi prevedono il preambolo del periodo politico tanto convulso che resterà come uno dei più ricchi di contraccolpi nella storia di Valenza. Si dovrà votare per ben tre volte in due anni per riuscire a dare una nuova giunta comunale ed amministrativa alla città. Il fatto incontrovertibile che sconvolge il rapporto di maggioranza, in queste e nelle successive elezioni, è la divisione dei due partiti socialisti che certo non giova alla sinistra: è arrivato a maturazione uno scontro aspro e inusitato che si era manifestato già all’indomani della nascita dello PSIUP (principale e involontario artefice della crisi).
Infine, dopo tre “match” infruttuosi finiti alla pari (i consiglieri eletti, 15 PCI+PSIUP e 15 DC+PSI+altri) e il logorio inglorioso e snervante della mediazione, dietro le minacce roboanti si avverte la volontà di scendere a patti per non seguitare a farsi male. Infatti, nella seduta del 19 febbraio 1966, si realizza una bizzarra esperienza di giunta unitaria, ben presto interrotta, seguita da nuove elezioni. Infine, il4 febbraio 1967,viene eletta una giunta “di salute pubblica ”formata da tutti i partiti, chiamata anche tecnico-amministrativa, condotta dall’integro ed austero sindaco indipendente PCI Virginio Piacentini. Assessori effettivi i democristiani Piero Genovese e Luciano Patrucco.
Questi accordi tra DC e PCI sono visti come piani di rifugio più che patti con il diavolo, tra inesauribili calibrature e compensazioni, sotto la morbosa necessità di stare assieme, anche se già dopo poco tempo non ci si sopporta più e non si combina granché. Una sorta d’esecutivi municipali meticci che non fanno male a nessuno in modo particolare, ma a tutti in forma lieve. E poi governare in tandem significa essere costretti ad annacquare i propri ideali, per piegarsi al compromesso. Dopo essersi disprezzati e insultati per tanti anni, ora i due principali contendenti sorridono, mossi più che altro da interessi di bottega. In questi tempi, oggi non più, è difficile spiegare agli elettori che si va al governo della città con coloro che fino a qualche giorno prima sono stati gli antagonisti, ma succederà ancora.
Questi i risultati e gli eletti delle tre elezioni comunali per la Democrazia Cristiana. 22-11-1964, 32% (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Patrucco, Mattacheo, Accatino, Manfredi PG, Deambroggi, Battezzati); 28-11-1965, 32% (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Manfredi PG, Deambroggi, Accatino, Patrucco, Staurino, Demartini; 27-11-1966, 32% (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Patrucco, Accatino, Staurino, Manfredi PG, Deambroggi).
L’esperienza assembleare dura poco più di due anni; nel dicembre 1969 i socialisti valenzani, dopo la rottura della riunificazione nazionale, fatta tre anni prima con i socialdemocratici, ritornano con i comunisti e gli psiuppini. I democristiani ritornano all’opposizione, anche se molto affievolita.
Nelle elezioni politiche del 1968 il partito consegue il 29%, mentre nelle prime elezioni regionali del 1970 ottiene il 28%. Il voto democristiano approssimativamente è così ripartito: il 50% dei commercianti, il 20% degli operai, il 15% degli artigiani e il 50% degli impiegati.
La Democrazia Cristiana passa quindi in pochi anni da un’opposizione aspra e aggressiva verso l’amministrazione comunale di sinistra, ad un’incerta confusa collaborazione, data per intero, poi tolta anche se non totalmente. Alcuni personaggi politici che prima si detestavano adesso marciano frequentemente in armonia. Sovente in Consiglio comunale, gli oppositori democristiani adottano l’astensione che è, più o meno, il fate voi.
Manca la chiarezza tanto cara all’elettore; l’assemblea dei tesserati della sezione caldeggia più volte un certo cambiamento interno. Questo processo di ridefinizione interna è desiderato da alcuni per la ragione che ormai da qualche tempo il partito fa opposizione in modo confuso e pasticciato, poco credibile come outsider per il futuro e quindi ininfluente nel presente. Certe organizzazioni collaterali poi si stanno rendono maggiormente autonome dal partito (Acli, Cisl, AC) accostando prospettive nebbiose di spiritualità, democrazia, diritti naturali ed ecologia.
Pertanto, è in crisi anche il rapporto privilegiato fra chiesa e partito con una crescente presenza di cattolici nelle file della sinistra. Buona parte dei devoti si orienta parecchio sul volontariato perché giudica la politica troppo compromessa, dove difficile è l’esercizio dei valori cristiani.
In questo quadro, gli esponenti valenzani che più esprimono le correnti nazionali della “balena bianca”, con alcune convergenze sostanziali, sono: Piero Genovese (sinistra, Donat-Cattin), Emilio Pino (Andreotti-Colombo), Ermanno Amisano (Piccoli-Rumor), Mario Manenti (Fanfani).
Nel 1972 segretario della sezione è Spartaco Mattacheo (dal 1965 al 1972 capogruppo in Consiglio comunale), mentre quello di zona è Mario Manenti. Il valenzano Piero Genovese, segretario provinciale dal 1970 al 1971, è uno degli esponenti politici più rilevanti del periodo (quasi un Charles de Talleyrand per questo gruppo); dal 1958 fa parte della direzione DC valenzana, segretario provinciale e consigliere nazionale del movimento giovanile del partito, consigliere comunale, assessore, sarà eletto nel Consiglio regionale ed eserciterà funzioni d’assessore. Da tempo, altri rilevanti esponenti locali sono: Accatino, Ceva, Manfredi, Patrucco, Staurino.
Nelle elezioni comunali del novembre 1972 se la sinistra comunista non sorride anche i democristiani hanno poco di cui rallegrarsi: il PCI unito alla sinistra indipendente e allo PSIUP, ottiene solo il 46% dei voti, mentre la DC ritorna al 30% perdendo quasi 3 punti sulle precedenti comunali, ma con un lieve avanzamento sulle politiche di pochi mesi prima quando aveva conseguito il 28%. Gli eletti DC in Consiglio comunale sono: Manenti, Genovese, Patrucco, Staurino, Accatino, Manfredi, Ceva, Pino, Doria.
Il 12 maggio 1974 si vota il referendum abrogativo sul divorzio. Mentre nel Paese i toni sono particolarmente aspri e violenti, a Valenza le forze politiche locali sono scarsamente dinamiche nella campagna elettorale, solo la chiesa e la parte democristiana più impegnata si battono per una cancellazione per tutti improbabile. La parte più oltranzista del fronte del SI bolla i divorzisti come coloro che “approvano le passioni, la libidine, gli istinti animaleschi degradanti, la dignità umana”. I favorevoli all’abrogazione (SI) sono 3.502, mentre i NO sono ben 11.924.
Nelle elezioni amministrative regionali del 1975 a Valenza il PCI raggiunge il 49% dei voti, il 3% in più dalle comunali del 1972, mentre la DC, con il 25%, arretra di quasi 5 punti. Il Piemonte passa alla sinistra. Nelle politiche del 1976 la DC passa al 27%.
La segreteria è ormai condotta da alcuni anni dalla componente di sinistra del partito, con poche differenziazioni. Le linee della road map locale (elaborata da basisti e affini quali Genovese, Manenti, Patrucco, Manfredi, la cui retroazione di schietti democristiani risale alla giovinezza) sono gremite di tutto: prospettive rosee e scenari funesti, rigore morale e slancio modernista. Non ci sono più rappresentanti da oratorio con l’accento da seminario.
Alle comunali del 1978, il partito, che nella campagna elettorale è stato biasimato di non aver svolto in questi anni il proprio ruolo d’opposizione, quasi inseguendo e corteggiando i comunisti, tendendo alla mediazione e al compromesso (metodo doroteo), ottiene viceversa un buon risultato (31% e 10 seggi). Ha messo in lista alcuni giovanissimi (Berto, Cautela, Grassi, Vanin), il presidente diocesano dell’A.C. Ermanno Amisano, e tutti i consiglieri uscenti, offrendo un’opposizione più costruttiva ma non preconcetta; ci penserà l’andamento politico nazionale a riaccendere gli ardori. In Consiglio comunale vanno Manenti, Genovese, Pino, Amisano, Vanin, Accatino, Patrucco, Staurino, Grassi, Gotta.
I cambiamenti e gli avvenimenti nazionali producono all’interno della direzione valenzana un rafforzamento della posizione centrista. Da tempo, a tutta la sinistra democristiana alessandrina viene imputato l’isolamento della DC in provincia. C’è anche un gruppo d’attempati, con la testa ancora agli anni 50-60, che continuano a rassicurare i propri amici che “sono rimasti gli stessi”.
Facendo una divisione sommaria del voto democristiano del periodo, si desume il 15% del voto degli operai, il 20% di quello degli artigiani, il 50% degl’impiegati, il 55% dei commercianti e il 50% dei ceti superiori. Nelle politiche del 1979 il partito ottiene il 24% e nelle provinciali e regionali del 1980 il 27%. A Valenza la tragedia di Aldo Moro non porta nuovi consensi, quil’area Zaccagnini, con alcune posizioni quasi maritainiane, prevale sui dorotei e fanfaniani, ma sono etichettature superficiali salvo gli esponenti più in vista.
Nel marzo del 1981, il rinnovamento delle cariche porta un certo ricambio generazionale. Se alla segreteria politica è ribadito Giovanni Cavalli, come vice gli viene affiancato il consigliere comunale Fabrizio Grassi, un giovane di soli 23 anni. Segretario amministrativo diviene Enrico Terzano, ma i democristiani più in vista sono sempre i “carismatici” Genovese, Manenti, Patrucco, Staurino, che sono stati tra i più concilianti con le forze socialcomuniste, mentre meno disponibili al confronto appaiono Amisano, Pino e Grassi. In prima linea, però, stanno scendendo alcuni giovani rampanti che costituiscono i nuovi pretoriani di ferro, entrati da poco nelle grazie: daranno qualche puntura di spillo al carrozzone. Gli iscritti in questo periodo sono circa 400. L’adesione è forte tra gli over 50 e ancor più tra gli over 60, mentre latita il target dei più giovani.
Ormai, agli appuntamenti elettorali comunali, non ci si trova di fronte ad un partito con dei candidati, ma a dei candidati con un partito, per cui la campagna elettorale è gestita in prima persona da questi, con conseguenti lotte sorde e senza esclusioni di colpi anche all’interno.
Valenza vive il decennio politico Ottanta in modo turbolento. Acredini e risentimenti si sono sedimentati tra socialisti e comunisti dove permangono pure distonie profondamente indelebili sugli indirizzi politici nazionali. Gli equilibri passati sono saltati non solamente nel Palazzo, ma finanche nella mente di qualche inquilino, con incendi quotidiani, pericolosi quanto velleitari, e con atteggiamenti critici nei confronti degli alleati, al netto degli eccessi e del ridicolo. In Comune si cammina sul ciglio di un precipizio, senza fiducia e considerazione reciproca, pronti a precipitare ad ogni votazione. Tre anni d’apoplessia (1981-82-83), con campagne elettorali feroci e zero innovazioni. Gestioni demagogiche e inconsistenti, fatte di misure a “singhiozzo”.
A proposito del ricambio generazionale, una propaggine del partito è il nuovo circolo giovanile “La Pira” che s’ispira ai valori del cattolicesimo democratico, ma anche questo gruppo nasce e alla porta c’è il fiocco azzurro: solo maschi. Con il presidente Renato Mazzone collaborano Bonzano, Ratti, Cavalchini, Manfredi, Regalzi, Vanin, Grassi, Quagliotto, Milanese. Qualcosa si muove in vista delle prossime comunali, si decide di escludere alcuni consiglieri con due legislature, per lasciare posto ai più giovani: non ci sono Accatino, Patrucco, Pino (a quest’ultimo non hanno perdonato né l’opinione fuori schema né le tante alzate di scudi) e scarsa come sempre è la presenza femminile. La generazione dei cinquantenni ha stufato, i quarantenni si vedono poco, ora si spera nei trentenni.
Le elezioni comunali del 1983 vedono la conferma all’opposizione del nuovo Polo Laico (PRI-PLI-PSDI), un alleato futuro per la DC la quale ottiene il 25% dei voti e porta in Consiglio comunale Manenti, Genovese, Franco, Ratti, Regalzi, Staurino, Bonzano, Quagliotto.
Seguono i corteggiamenti dei democristiani e del Polo laico ai socialisti i quali ammucchiano beghe continue con i comunisti in Comune. Dopo tanta confusione, veloci cambi di sindaci, e una maggioranza drasticamente ribaltata (per 9 mesi DC+PSI+Polo), i tifosi della dittatura del proletariato ricevono dai socialisti la spintarella finale e, in seguito alle nuove elezioni del 1985, devono lasciare Palazzo Pellizzari. È un’assurdità logica, o una logica assurda. I comunisti, sbigottiti e quasi turlupinati, terminano di “spadroneggiare”, come sovente capita a chi ha successo da troppo tempo e perviene al punto di sentirsi invincibile, e i socialisti si alleano con democristiani e Polo Laico per regnare sulla città. In queste elezioni comunali (20-10-1985) la DC ottiene il 30% e, ringalluzzita come mai, manda in Consiglio comunale Manenti, Genovese, Staurino, Franco, Bonzano, Regalzi, Genuardi, Ratti, Boselli, Grassi. Gli assessori DC saranno Manenti, Staurino e Regalzi.
Nelle regionali (12-5-1985) la DC valenzana ottiene il 27% e Piero Genovese è riconfermato al Consiglio regionale con 14.587 preferenze: rivestirà la carica di assessore al lavoro.
La ripresa di consenso elettorale apre una dialettica interna nella Democrazia Cristiana, utile a sbarazzarsi d’ingombri correntizi e di qualche politico ormai privo d’ogni verniciatura ideologica. Eppure, manca ancora una progettualità organica espressione della base, troppo spesso sostituita dal vertice.
Tira aria di fideismo, si sta sviluppando da parte dei cattolici un atteggiamento assai critico. Vogliono una ripresa di coscienza religiosa, non possono accettare che parole decisive per la vita dell’uomo, come famiglia, solidarietà, ecc., siano spesso svuotate del loro significato dal partito. Esponente di spicco di queste espressioni è Ermanno Amisano: un personaggio intransigente e moralista, quasi templare, sovente in collisione con i colonnelli, ma che ha il merito d’essere genuino, privo di dolcificanti e aromi artificiali.
I cambiamenti locali, avvenuti in questi ultimi tempi, producono alcuni effetti significativi, come il rafforzamento della parte centrista dello schieramento e il ringiovanimento del gruppo carismatico (o seduttore); anche se il bodratiano-DonatCattin Genovese, che ha come seguaci i giovani dirigenti Vanin, Grassi, Botter, e il quasi forlaniano Manenti, con al seguito Staurino, Cavalli, Gatti, Terzano e i più anziani, sono ancora i “proconsoli”; a loro si deve aggiungere Patrucco, un libero progressista, e Amisano, un crociato integralista tutto d’un pezzo che parla dal pulpito della rettitudine.
Nel marzo 1986, alle votazioni per eleggere i delegati al congresso provinciale, questi i voti riportati con formula uninominale: Manenti 47, Pino 33, Vanin 29, Bossio 22, Patrucco 21, Regalzi 20, ecc. Il direttivo della sezione democristiana viene rinnovato nel novembre 1986; Antonio Vanin è eletto, con l’89% dei voti, nuovo segretario al posto del consigliere comunale Fabrizio Grassi. Vanin, che ha maturato un’ampia esperienza tra i giovani, sembra il mediatore della sensibilità di ognuno, quasi il profeta del nuovo partito che cerca di andare aldilà delle fazioni. Lo affiancano i componenti: Accatino, Amisano, Bossio, Di Palermo, Ferrari, Gatti, Genuardi, Panelli, Pino E., Pino F., Quagliotto, Ratti, Regalzi, Vanin C. In occasione dei congressi provinciali di partito continuano però a scontrarsi le correnti, il cui peso è dato dalle tessere, in altre parole dalla quintessenza del finto.
Il 14 giugno 1987 si tengono nuovamente le elezioni politiche anticipate che premiano il Presidente del Consiglio Craxi. Nessuno fa caso ad un senatur che la Lega Lombarda riesce a portare a Palazzo Madama: Umberto Bossi. Oltretutto a Valenza il crollo del PCI (37%) è ancora più clamoroso di quello nazionale. Si accontentano i docili democristiani per il risultato che li vede al 26%.
Nelle amministrative regionali e provinciali del 1990, la DC (27%) registra un lieve calo sulle precedenti. Purtroppo, quando le correnti occupano maggior spazio della segreteria si corrono grossi rischi, la confusione nella DC locale regna sovrana, ma si avvicinano le comunali. La tornata è in ritardo di oltre sei mesi: il massimo consesso cittadino, infatti, scade il 20 ottobre 1990 e il rinnovo slitta sino al 1213 maggio 1991.
Nel partito sono diversi gli abbandoni; l’assenza che stupisce di più è quella di Piero Genovese, una specie d’ascesi, con lui lasciano i consiglieri comunali Franco e Bonzano. Arrivano a Valenza i leader nazionali di ogni partito (Occhetto, Craxi, Bossi, ecc.); è cambiato il ritmo della consultazione, c’è anche chi indica quello valenzano come “test nazionale”.
All’indomani delle elezioni comunali del 1991, più temute che attese, Valenza sale alla ribalta dei più importanti quotidiani nazionali i quali commentano la travolgente affermazione della Lega: 24%. L’infante PDS ex PCI subisce una sberla perdendo 4 seggi (29%), la solita DC contiene la perdita ad un seggio (27%), il “modernista” Polo Laico Socialista esce con le ossa rotte. Tre indigenze non dovrebbero confezionare fortuna, ma DC e PDS, dissimulando un tonfo in un trionfo, definiscono un’alchimia che porta alla divisione delle poltrone e, per parecchi, anche alla lottizzazione delle coscienze.
A seguito del lavoro di qualche autorevole tessitore, di alta scuola democristiana, il 3 luglio1991 viene ufficializzata l’alleanza sinora innaturale tra ex comunisti e democristiani. Il copione è scritto: per i primi due anni e mezzo è eletto sindaco Mario Manenti (è il primo sindaco democristiano della città e monopolizzatore di preferenze, non si capisce se sia in odore di santità o di scomunica). Egli scadrà tipo yogurt e, successivamente, sarà sostituito nell’incarico da Germano Tosetti, vice sindaco ed assessore al bilancio nel primo scorcio. Sono uomini di partito, furbi e cinici a sufficienza, due “monumenti sacri”, che mangiano pane e politica sin dallo svezzamento. Ora sono portati in trionfo anche da chi li ha odiati per decenni. Diversi esponenti battuti, ma incapaci di farsi da parte, si baciano e si abbracciano, si cercano e si lusingano. Ieri era tutto un offendersi e insultarsi. Un caso che farà scuola, per capire il realismo e il pragmatismo della politica futura, anticipando in questa città, con più di vent’anni, la svolta clericale della sinistra italiana.
A Palazzo Pellizzari si accomodano i consiglieri democristiani Manenti, Staurino, Giordano, Vanin, Patrucco, Raselli, Boselli, Panelli, Grassi. Oltre al sindaco Manenti, diventano assessori Patrucco e Vanin, poi saranno sostituiti da Boselli e Panelli, mentre Raselli sarà il vice sindaco di Tosetti.
In questi tempi folli gli scandali a catena, che investono nel Paese tutti i partiti (“mani pulite”) e il malcostume degli italiani verso uno Stato sempre più clientelare e inefficiente, generano un significativo voto di protesta che discredita il sistema.
Nelle elezioni politiche del 1992 la DC realizza il peggior risultato nazionale della sua storia e Valenza non è da meno: solo 2.735 voti con il 17%.
Il voto dimostra a chiare lettere, se ancora ce n’era bisogno, che il sistema è alla frutta. La DC si trova di fronte al solito dilemma: riappropriarsi di un’identità, capace di proposte adeguate ai tempi, oppure limitarsi a gestire l’esistente che appare, oramai, sempre più ai livelli di sopravvivenza. La caduta del muro e la fine del comunismo hanno sicuramente influito sulla crisi di questo partito, che ora non è più il baluardo contro il pericolo rosso. Un gruppo d’esponenti democristiani valenzani (Castellini, Davite, Ferrari, Gatti, Grassi, Montini, Patrucco, Vanin) chiede, senza essere troppo ascoltato, un rinnovamento reale e sostanzioso del loro partito, un azzeramento del tesseramento e l’istituzione delle cosiddette “primarie” per la scelta dei candidati, ma, nel gennaio del 1994, la Democrazia Cristiana viene dichiarata sciolta dal Consiglio nazionale del partito e assorbita da un nuovo soggetto politico, il Partito Popolare Italiano.