Locali pubblici a Valenza nel primo Novecento
Blog, Cultura
Pier Giorgio Maggiora  
14 Settembre 2025
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08:33 Logo Newsguard
Il saggio

Locali pubblici a Valenza nel primo Novecento

L'approfondimento del professor Maggiora

VALENZA – Dall’inizio del Novecento, un’epoca di grandi trasformazioni sociali ed economiche, gli alberghi si affermavano come un’esperienza di viaggio e soggiorno in costante crescita, intercettando in particolare le esigenze e i desideri della classe borghese emergente e di un numero sempre maggiore di viaggiatori, spinti a Valenza soprattutto dagli affari. In questo periodo di fermento e mobilità economica crescente, anche la vendita di bevande alcoliche in locali pubblici, simbolo di convivialità e di un certo stile di vita, subiva una forte impennata, un’ascesa vertiginosa che testimoniava un cambiamento radicale nelle abitudini e nei consumi, anche di quel popolo più indaffarato sempre desideroso di liberarsi da certe catene abituali.

Questo dato, inequivocabile e rilevante, finiva inevitabilmente per riflettersi anche sul panorama commerciale di una città come Valenza, dove il numero di nuovi esercizi dediti alla vendita di buon vino e alla ristorazione aumentava in maniera considerevole. Sebbene il novero dei caffè e dei locali di lusso, luoghi di ritrovo eleganti e raffinati, subisse una leggera regressione nel corso del primo ventennio del Novecento, le aperture di nuove osterie e di esercizi specializzati, i cosiddetti «liquoristi», assumevano proporzioni quasi preoccupanti, testimoniando una vera e propria proliferazione di luoghi pubblici dedicati al consumo di alcol.

All’alba del nuovo secolo, in una Valenza che contava una popolazione stimata attorno ai 10mila residenti, operavano circa una quarantina di locali pubblici, un numero sorprendente e quasi incredibile se confrontato con la situazione attuale. Questi esercizi, regolarmente iscritti nell’apposito registro comunale tra il 1900 e il 1919, offrivano ristoro (con i suoi rituali e i suoi difetti, ma con menù senza i ricercati germogli di soia, oggi tanto di moda) e svago in ogni stagione, diventando punti di riferimento imprescindibili per molti valenzani.

Alcuni gestori, figure generalmente suadenti, intelligenti e dotate di una notevole competenza nel loro mestiere, si distinguevano per il loro carisma e la loro capacità di creare un legame profondo con la clientela, lasciando un’impronta indelebile nel tessuto sociale e culturale della città e contribuendo, in un certo senso, a plasmare il suo futuro. Purtroppo, con ironia e con tutto il rispetto per i contadini, alcuni improvvisati esercenti del tempo erano braccia e menti che parevano rubate alla terra: un giudizio nudo e crudo, forse pure troppo spietato. Molti estemporanei chiuderanno presto baracca e burattini, altri, per via ereditaria, non sapranno mantenere l’esercizio.

Tra questi luoghi di ritrovo, una certa luce merita la vecchia osteria, perché all’epoca rappresentava un vero e proprio fulcro della vita sociale cittadina, un importante luogo di ritrovo e di aggregazione, essenziale nel tessuto sociale (i bar, con la loro diffusione capillare, sarebbero arrivati solo in un secondo momento). L’osteria, tuttavia, era vista da molti con sospetto, preoccupazione e contraria alla rettitudine del tempo, considerata quasi un luogo di «infezione sociale» per corpi acciaccati e malmessi, logorati dalla fatica e dalle difficoltà della vita, senza essere imbecilli o pericolosi farabutti. In questi ambienti, spesso pervasi da un’atmosfera malinconica e degradata, l’assuntore, spinto dalla ricerca di un momentaneo sollievo, scivolava sovente verso un lento stato d’intossicazione cronica, alimentando un problema sociale diffuso e radicato, senza chiederne conto ad alcuno.

L’alcolismo, purtroppo, era considerato, con una sfacciataggine inaccettabile e una pericolosa semplificazione, come un «male operaio», un problema inerente alla condizione lavorativa e alla vita grama di chi era costretto a guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte. Questa visione miope e superficiale, del mondo nuovo e buono solo per alcuni, non faceva altro che aggravare il problema, ostacolando la ricerca di soluzioni concrete e durature: diffusa l’alterazione nella valutazione di certi fatti originata dal pregiudizio.

Nel frattempo, mentre alcuni frequentatori si dedicavano a silenziosi raccoglimenti, altri più chiacchieroni animavano l’osteria con vivaci partite a carte, colpi di fortuna (e sfortuna) e schiamazzi che risuonavano tra le pareti. In questi ritrovi informali, le notizie correvano veloci come il vento: si veniva a sapere di nascite e matrimoni, ma anche di lutti e disgrazie che avevano colpito i valenzani. Le atmosfere variavano dall’allegria spensierata di una vittoria a carte alla cupezza di una perdita finanziaria, creando un mosaico di emozioni che rendeva l’osteria il vero cuore pulsante della collettività e anche il luogo della quotidiana gara a chi la spara più grossa di quel ceto propagato come «scappati di casa».

Naturalmente, gli affari erano un argomento sempre presente, soprattutto nei più raffinati caffè  di questa cosiddetta «Belle Époque», con discussioni animate sulle prospettive di raccolto agrario, i prezzi al mercato, le opportunità di lavoro e d’investimento. Le conversazioni spaziavano dalle proprie personali situazioni economiche, esposte con un misto di orgoglio e preoccupazione, a quelle di terzi, spesso oggetto di commenti e giudizi (non sempre benevoli). E poi, immancabilmente, si finiva per discutere di politica, con toni accesi e opinioni contrastanti, difendendo con passione le proprie idee e criticando ferocemente quelle degli altri, in un confronto dialettico inflessibile ma umile che spesso, da quell’ora che volge al disio e ai naviganti intenerisce il core, si prolungava fino a tarda notte, rischiarati solo dalla fioca luce di lanterne o dalla appena sorta illuminazione elettrica.

Purtroppo, nell’avvenire, gli alberghi saranno intrappolati in una lenta spirale di declino inarrestabile fino all’estinzione negli anni più recenti.

Questo lo scenario di casa nostra dell’epoca, dove senza famiglia non eri niente, se non gli amici del bar.

Categoria alberghi di 1° ordine

  • Albergo Croce di Malta, in corso Garibaldi 19, proprietario Felice Beltrami (1 settembre 1902), passato poi ai fr.lli Piumetto e trasferito in via Lega Lombarda (1936), dove molti anni dopo terminerà l’attività. Nello stesso stabile, in corso Garibaldi, nasceva nel 1937 l’Albergo Roma con «al pugiulì fat a barcatta».
  • Albergo Leon d’Oro, in via Cairoli 3, proprietario Carlo Chiesa (luglio 1900), poi trasferito in largo Costituzione.
  • Albergo d’Italia, in corso Garibaldi 27, proprietario Giacomo Chiesa (aprile 1910), sarà poi trasferito in via Cairoli e infine, solo come ristorante, in via del Castagnone.
  • Albergo Bue Rosso, in via Vittorio Amedeo (dietro al Duomo), proprietario Alessandro Illario (1908).
  • Albergo Cappello Verde di Felice Barbé (1915) in via Po 10 poi passato di proprietà a Carlo Repossi.

Seconda e terza categoria

  • Bar Caffè Sport, in Circonvallazione est 3 (poi in viale Dante), apertura luglio 1919, proprietario Angelo Novarese. Frequentatissimo da appassionati di biliardo e di gioco a carte «scopa».
  • Trattoria della Concordia, in via Cunietti 16, apertura nell’ottobre 1903, proprietaria Carolina Aceto in Novara. Passata ad altri proprietari, fu trasferita in via San Salvatore (al gir dal siicòt).
  • Caffè Roma, in piazza Vittorio Emanuele III (ora piazza XXXI Martiri), proprietario Edoardo Amelotti (1907). Divenuto poi di proprietà Firmino Moro con la dicitura «Caffè Moro».
  • Caffè Giusto Calvi, in piazza Vittorio Emanuele III (ora piazza XXXI Martiri), proprietario Mario Bai. Apertura anno 1914.
  • Trattoria Astigiana con alloggio di Teresa Borghi, in via Carlo Alberto 2 (ora via IX Febbraio). Apertura nel 1910. Il locale fu poi rilevato da altri proprietari tra cui i coniugi Giuseppe Cima e Teresa Boroni. Questi ultimi si trasferirono poi in via Cremona nella casa di Gioacchino Favero e Teresa Pauro e figlie (bar Cremona); fu chiamato «Bar Mauro» nel 1967. Infine l’esercizio rigenerato è divenuto «Bar Fantasy».
  • Caffè Garibaldi (nuova registr. luglio 1910), in corso Garibaldi 27, primo proprietario nel 1901 Carlo Ceriana, nel 1906 Angela Carolina Angeleri e nel 1915 la famiglia Norese.

  • Caffè della Stazione (1914) di Lorenzo Buzio. Dopo molti anni il bar lasciò i vecchi locali e fu sostituito da un chiosco laterale, dove si potevano bere caffè, vino e liquori. Nel 1977 l’esercizio tornò nei vecchi locali e lo assunse il pittore Emilio Carbone.
  • Trattoria Nazionale (1913), in vicolo del Pero, di Carolina Cavallero in Lombardi (Giujò), descritta dal poeta valenzano Massimo Rollino come la cucina più famosa per la prelibata «biifàcca» ovvero la trippa.
  • Caffè Mazzini (fondato nel 1885, al café di siur) in corso Garibaldi dove ora è situato l’Istituto Bancario San Paolo di Torino. Proprietario nel 1906 Guido Garavelli, poi Pietro Ferrara, quindi Remigio Orsini che lo cedette poi a Giuseppe Beltrami e alla famiglia Rabossi. Uno dei fratelli, produceva il «Torrone Camillo», famoso e apprezzato dai ghiottoni valenzani e anche da quelli di altre località. Si trasferì poi sotto i portici di piazza Gramsci nel palazzo sorto sul sedime della ex casa Peroso.
  • Caffè Teatro (1909) di Lino Genovese, in corso Garibaldi-piazza Verdi, incorporato nello stesso edificio del Teatro Sociale. L’esercizio ottocentesco passò poi ad altri conduttori: fra gli ultimi i fratelli Luciano e Giuseppe Pasquali.
  • Caffè  Oriente  di Giuseppina Villa (1907), in corso Garibaldi, poi di Massimo Chiesa (al Micì).
  • Caffè – Liquoreria Angelo Locardi – in piazza Vittorio Emanuele, ora piazza XXXI Martiri (1905).
  • Trattoria del Trovatore (1914), proprietario Pasquale Lombardi, in via Cunietti n° 2.
  • Trattoria dei Tre Re (1913), in via Solferino 9, detta in valenzano «La cuntrà di tréi Re» o «La cuntrà del lot», poiché proprio di fronte alla trattoria esisteva il botteghino del lotto. Era condotta da Luigi Oglietti. Il locale era pure chiamato dai valenzani «L’usterdia di bersaglié» poiché frequentata dai bersaglieri, in congedo e non. Fu poi gestito da Giorcelli detto «Cafulà».
  • La Stella – vendita vino di Beatrice e Antonio Orecchia, corso Garibaldi 30 (1919).
  • Caffè Verdi (1912) di Antonio Repossi. Con entrate in via Cunietti e piazzetta Verdi. Il locale farà in seguito attività anche di ristorante.
  • Bar Caffè Belvedere (1913) fuori porta Alessandria, ora corso Matteotti. Esercente la famiglia Garavelli, soprannome «Giiirai», tornata dall’Argentina dove era emigrata.
  • Trattoria del Popolo di Celeste Robotti, via Roma 4 (1911).
  • Confetteria con liquoreria Torti Luigi, in via Po. Fu Torti a trovare una formula per la confezione di amaretti divenuti famosi in tutto il mondo. Furono denominati «Amaretti Margherita» in onore della regina Margherita di Savoia. Per molti decenni gli operatori orafi di Valenza li mandarono in regalo ai loro clienti sparsi in ogni dove in occasione delle feste natalizie. Questi ne apprezzarono talmente la qualità da ordinarne poi altri durante l’anno, facendoseli spedire anche oltre le frontiere. Data dell’apertura: marzo 1906.
  • Caffè del Popolo di Zambruno Luigi (1909), in Circonvallazione Ovest 11.
  • Trattoria «Da Bugi» delle sorelle Mentana poi ceduta alla famiglia Cavalli. Era in via Santa Lucia dove esiste, affissa al muro della chiesa di San Bernardino, una palla di cannone sparata dagli assedianti francesi nel Seicento: «al cantò ‘dla bala ‘d fer».

Sempre nell’Archivio Comunale rileviamo locali di 4ª  categoria sotto la dizione: Osterie – Liquorerie – Rivendite vino – Bettole

  •  Vendita vino con alloggio di Maria Amelotti ved. Abbiati, in via Stazione, anno di iscrizione 1914.
  •  Ristorante della Vittoria di Pasquale Cavallero, in via Alfieri 20, inaugurato nel 1913.
  • Vendita vino Pietro Peroso, in vicolo Bandello 8 (1904).

La frazione di Monte Valenza, un tempo vivace comunità che alla fine dell’Ottocento vantava ben 800 abitanti, offriva alcuni locali di ristoro, concentrati nella pittoresca regione Fontana. Tra questi, spiccava un’attività destinata a lasciare un segno indelebile nella storia del luogo: l’attuale Hotel Terme, nato sotto il nome evocativo di “Stella Polare” nel gennaio del 1903, grazie all’intraprendenza di Giuseppe Mazza. La famiglia Mazza, con radici profonde nel territorio, manterrà la proprietà dei locali sino ad oggi, conservando e valorizzando il vasto parco che circonda l’hotel, lo zoo che incanta i più piccoli, la rinfrescante piscina e l’elegante sala da ballo, Alla scomparsa di Giuseppe Mazza, l’eredità passò nelle mani dei suoi figli: Erasmo, Luigi e Tranquillo, ciascuno apportando il proprio contributo alla crescita e allo sviluppo dell’attività. Successivamente, Giuseppe, figlio di Tranquillo, uomo di spicco nella società tanto da essere insignito del titolo di cavaliere, sposò Anita Caprino, donna di grande spirito e determinazione. Dalla loro unione nacquero Laura e Daniela, due figure chiave nella modernizzazione dell’impianto con Hotel, Piscine, Ristorante, Camping, Parco e Zoo.

La fama di Monte Valenza non si limitava però alla sua offerta turistica. La zona era rinomata anche per la sua fonte di acqua solforosa, le cui proprietà erano ben note e apprezzate. Già allora, i valenzani si recavano alla fonte in bicicletta, nelle prime ore del mattino, per beneficiare delle virtù curative di quell’acqua, consumata a digiuno come un vero e proprio rituale di benessere. Nella zona della Fonte, esistevano ben 5 rivendite di vini e liquori, considerate di 4ª categoria. Proprietari: Gabriele Cavallero (1910); Rachele Morano (?); Pietro Carlo Panizzoni (1909); Angela Vipiana (?); Pietro Novarese (1908).

A completare il quadro della vita sociale di Monte Valenza, nel cuore del centro abitato si trovava un unico ristorante-bar, un punto di riferimento per la comunità locale. L’esercizio, di proprietà di Ernesto Annaratone, fu inaugurato con grande entusiasmo il 29 aprile 1913, diventando rapidamente un luogo sorgivo d’incontro e di convivialità.

Questi sono tutti gli alberghi, ristoranti, trattorie, vinerie, caffè, bar e osterie, locali perlopiù semplici e informali, spesso a conduzione familiare, dove i valenzani più di un secolo fa si recavano a trascorrere le ore del dopolavoro, quando, con molto meno di oggi, si potevano trascorrere momenti di dialogo, divertimento e relax. Ora Valenza, che sovente vagheggia i suoi locali pubblici di un tempo, purtroppo, ha ormai un’atmosfera serale e notturna silenziosa e poco rassicurante.

Solo che tutto quanto descritto è acqua ultrapassata, e dovremmo anche smettere di pensare che una volta era meglio.

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