Personaggi valenzani: Don Luigi Frascarolo
L'approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Parlare di don Luigi significa inevitabilmente immergersi in un racconto corale, un affresco vivido che ritrae la sua impronta indelebile e iconica su Valenza. Quarantatré anni trascorsi a servizio della comunità valenzana, dapprima come zelante vice parroco, poi come guida spirituale in veste di parroco, e infine onorato del titolo di monsignore.
Tentare di catalogare le sue azioni, grandi o piccole che fossero, risulterebbe un compito arduo e forse riduttivo. Sarebbe come ammirare un edificio maestoso senza prima comprendere le fondamenta che lo sostengono, la visione dell’architetto che lo ha plasmato. Pertanto, ci sembra imprescindibile, prima di addentrarci nel novero delle sue opere, sondare lo spirito che le ha generate, l’anima di chi ne è stato l’artefice, l’instancabile sostenitore e l’appassionato animatore.
La fede di don Luigi non era una mera adesione a un dogma, ma un Vangelo pulsante, una linfa vitale che permeava ogni sua azione, ogni suo pensiero. Era un Vangelo che cercava, con tutte le sue forze, di tradurre in realtà tangibile, nel tessuto stesso della vita quotidiana. In questo sacerdote costantemente proteso a incarnare il messaggio divino, ma allo stesso tempo perennemente in ansia, in continua verifica per affinare le modalità con cui dare concretezza alle sue illuminazioni interiori, risiede la chiave per interpretare appieno il suo operato.
Era un uomo che ignorava il significato del termine «protagonismo», una parola estranea al suo vocabolario, un concetto che mal si conciliava con la sua natura profondamente dedita alla carità disinteressata, alla povertà volontaria, all’umiltà sincera e al servizio incondizionato degli altri e, come si attestava una volta, in servizio permanente effettivo, anche negli ultimi anni quando non si sentiva più in forze. Don Luigi appariva, agli occhi di chi lo incontrava, come il Vangelo fatto carne, un’incarnazione vivente dei principi cristiani. Consapevole dei propri limiti umani, dei propri difetti, lungi dall’idealizzarsi, si impegnava quotidianamente a emulare il modello di vita di Cristo, ad assimilarne gli insegnamenti e a metterli in pratica con coerenza e abnegazione.
Slanci e amarezze a parte, la sua esistenza era un atto di fedeltà costante al suo Dio, una fedeltà che si manifestava nello sforzo continuo di fornire una risposta concreta a ogni situazione, a ogni persona che si rivolgeva a lui in cerca di aiuto, di conforto, di una parola di speranza. La sua era una risposta che nasceva dalla profonda comprensione della fragilità umana e dalla ferma convinzione che ogni individuo, indipendentemente dalla sua condizione, meritasse amore, rispetto e dignità. La sua eredità non è solo un elenco di opere compiute, ma un esempio vivido di come la fede possa trasformarsi in azione, di come l’amore per il prossimo possa diventare la bussola di una vita intera.
Dopo aver ricostruito un paese che il fascismo e la guerra avevano fatto a pezzi, negli effervescenti anni Sessanta, un’epoca segnata dall’alba del boom economico italiano e da un’ondata migratoria interna, Valenza si trova di fronte a una realtà complessa. La ricchezza emergente coesiste dolorosamente con sacche di povertà ancora profondamente radicate, creando un contrasto stridente nel tessuto sociale. In questo contesto di transizione e di disuguaglianze, don Luigi, figura carismatica e animata da un profondo spirito evangelico, avvia una serie di iniziative concrete per rispondere ai bisogni emergenti della comunità.
La sua risposta, ispirata dai principi cristiani di solidarietà e compassione, si articola in diverse direzioni. Inizia potenziando e rinnovando gli oratori esistenti, trasformandoli in centri vitali per i giovani, offrendo loro un ambiente sicuro e avvincente dove crescere e sviluppare le proprie potenzialità. Con una visione lungimirante, fonda la Colonia Giovanni XXIII, un’oasi di speranza per i figli delle famiglie più disagiate, un rifugio sicuro progettato per proteggerli dai pericoli della strada e offrirgli opportunità di apprendimento e svago. La sua motivazione è chiara e urgente: «non lasciarli in mezzo alla strada allo sbando e nei pericoli».
Parallelamente, don Luigi dà vita alla Comunità dei Cattolici Valenzani, un organismo destinato a diventare, nel corso degli anni, il fulcro della vita caritativa e sociale della città. Un punto di riferimento per chiunque si trovi in difficoltà, un luogo dove trovare non solo assistenza materiale, ma anche un consiglio saggio, una parola di conforto e una mano amica pronta ad aiutare. In questo spirito di generosità e inclusione, consolida anche l’esigenza del Campeggio, un’iniziativa pensata per offrire alle famiglie e ai ragazzi la possibilità di trascorrere un periodo di vacanza serena, educativa e sana, un’esperienza rigenerante che contribuisca al loro benessere fisico e spirituale con una spesa ristretta. Ma il culmine del suo impegno e della sua dedizione è rappresentato dal Duomo, un’opera maestosa che riflette la sua profonda fede e la sua convinzione che quello dovesse essere, prima di tutto, la casa di Dio, un luogo di preghiera, di riflessione e di incontro con il divino, aperto a tutti i credenti. Un simbolo tangibile della sua eredità spirituale e del suo amore per la collettività valenzana, la quale negli anni Cinquanta era sempre più fiaccata da quel certo linguaggio ideologico, qualche volta persino intriso di cristianofobia, incapace di comunicare al cuore e alle angosce del tempo, un problema eretico per certi politici con la puzza sotto il naso e, soprattutto, per alcuni dirigenti locali di partito con i paraocchi, che, come nella Vandea del 1793, chi non era con loro era un «nemico del popolo».
Don Luigi, mosso da una fede profonda e da un amore incondizionato per la sua Valenza, dedicò una parte considerevole delle sue energie a curare e ad abbellire la chiesa parrocchiale. Per lui, quel luogo non era semplicemente un edificio liturgico, ma uno spazio sacro, dimora di Dio e cuore pulsante della vita spirituale dei suoi parrocchiani. Era la casa principale della sua comunità, il rifugio nella preghiera, il punto di incontro tra il terreno e il divino. Un sorriso illuminava il suo volto quando contemplava la bellezza che, con tenacia e dedizione, era riuscito a infondere alla sua amata chiesa. Niente, per quella che considerava la casa del Signore, era trascurabile.
Don Luigi non si era risparmiato in alcun modo: ogni elemento di pregio e di valore artistico, ogni dettaglio capace di elevare l’anima, era stato restaurato con cura meticolosa. Ciò che il tempo aveva danneggiato o distrutto era stato sapientemente sostituito, ricreando un’atmosfera di dignitosa ed elegante essenzialità che invitava alla riflessione e alla preghiera. L’interno della chiesa, grazie al suo impegno, irradiava una quiete che parlava direttamente al cuore.
Don Luigi possedeva una mente acuta, una saggezza profonda e uno spirito penetrante. La sua fama di oratore eloquente e ispirato si era diffusa ben oltre i confini della parrocchia Santa Maria Maggiore di Valenza. Tanti valenzani, credenti e non credenti, accorrevano in chiesa per ascoltare le sue prediche, affascinati dalla sua capacità di rendere comprensibili e attuali i messaggi del Vangelo. Le sue parole, intrise di umanità e di profonda conoscenza, toccavano le corde più intime dell’anima, suscitando riflessioni e interrogativi in una popolazione astratta dove l’arte del silenzio era molto praticata e dove ad alcuni dominanti politici chiacchieroni, vigorosi da salotto, per compensare la mancanza di idee, pare bastasse articolare le solite parole vuote.
Nato ad Alessandria nel 1921, la sua vocazione lo aveva portato a ricevere l’ordinazione sacerdotale nel 1944. Il suo percorso ministeriale era iniziato come vice parroco, prima a Oviglio e poi in Pista. Nel 1950, il destino lo aveva condotto a Valenza, dove aveva assunto il ruolo di vice di Don Grassi, in sostituzione del compianto don Pietro Battegazzorre.
La tragica scomparsa di don Pietro, vice parroco dal 1943, colpito da un fulmine a soli 30 anni durante un’escursione in montagna con i giovani valenzani, aveva lasciato un vuoto profondo nella cittadinanza. Colmare l’assenza di un sacerdote così amato e rispettato non era compito facile ma don Luigi, con la sua umiltà e la sua dedizione, riuscì a onorare la memoria del suo predecessore e a conquistare il cuore dei parrocchiani.
La sua opera a Valenza fu contrassegnata da un impegno costante e da una visione lungimirante. Non si limitò a curare l’ordinario, ma intraprese progetti ambiziosi e duraturi. Restaurò il Duomo, riportandolo al suo antico splendore. Creò il museo degli arredi sacri, un luogo dove custodire e valorizzare il patrimonio artistico e religioso della parrocchia. Realizzò la nuova canonica, offrendo uno spazio accogliente e funzionale per la vita comunitaria e per l’attività pastorale. Il suo lascito, tangibile e spirituale, continua a vivere nella cittadinanza valenzana, testimonianza di una fede profonda e di un amore incondizionato per il prossimo.
Monsignor Luigi Frascarolo, una figura di spicco nella diocesi, ha lasciato un’impronta indelebile nella cittadinanza attraverso la sua dedizione e il suo impegno pastorale. Dal 1967, anno in cui ha assunto il ruolo di parroco del Duomo di Valenza, una delle parrocchie più antiche e importanti della diocesi, si è dedicato con passione e perseveranza a una serie di iniziative volte a migliorare la vita dei suoi parrocchiani e, in particolare, dei giovani. Tra le sue «creature», come affettuosamente venivano chiamate le opere che ha promosso e realizzato, spiccano la modernizzazione dell’oratorio, un luogo di aggregazione fondamentale per i ragazzi della città, e la riedificazione del campeggio don Pietro a Perrères, in Valle d’Aosta, nei pressi di Cervinia, dopo che un devastante incendio lo aveva reso inutilizzabile. Il campeggio, un rifugio estivo per molti giovani, rappresentava un’opportunità di crescita, svago e contatto con la natura. Animato dal desiderio di offrire ai bambini e ai ragazzi un’esperienza formativa durante le vacanze estive, don Luigi ha inoltre dato vita alla locale Colonia estiva, un progetto che ha accolto generazioni di giovani valenzani.
Per molti anni, don Luigi è stato una presenza costante e familiare per le strade di Valenza, spostandosi umilmente in bicicletta, un segno tangibile della sua vicinanza alla gente e del suo stile di vita semplice e modesta. Dopo una lunga malattia, si è spento il 26 marzo 1993 presso l’Ospedale Mauriziano. In segno di gratitudine e riconoscenza per il suo instancabile servizio, l’oratorio di viale Vicenza è stato intitolato a suo nome, perpetuando così la sua memoria e il suo lascito nella comunità valenzana.
Tuttavia, ridurre la figura di Don Luigi alla mera descrizione delle sue opere materiali sarebbe un grave errore, forse il più grande torto che si possa fargli. Sebbene fosse indubbiamente orgoglioso del Duomo, del Campeggio, degli Oratori e dell’Ufficio della Comunità, la sua vera grandezza risiedeva nella sua profonda spiritualità e nel suo ruolo di sacerdote e ministro di Dio. La sua vita è stata interamente dedicata alla fede e al servizio del prossimo, e le sue certezze sono sempre state saldamente radicate nel Vangelo, che citava, usava e proponeva costantemente come guida per la vita.
Ed è stata proprio quest’azione risoluta a renderlo un leader spirituale così efficace e carismatico. Grazie a questa sua indole complessa e alla sua inesauribile tenacia, riuscì a coinvolgere i valenzani in progetti che inizialmente sembravano irraggiungibili o veri e propri sogni audaci lasciati per lungo tempo marcire nel vago da lui trasformati in realtà concrete. E potremmo citarne uno per tutti, un esempio fulgido della sua visione e del suo impegno: la missione dell’intraprendente e magniloquente don Ezio Vitale, un’impresa che ha incarnato perfettamente il suo spirito di servizio e la sua fede incrollabile.
Don Luigi, uomo di profonda umanità, ha sempre dovuto lottare anche contro la sua indole timida e riservata, un tratto caratteriale che lo spingeva a rifuggire la ribalta e a preferire l’ombra. Schivo di ogni attenzione personale, convinto intimamente di essere lui il servo di tutti, non esitava, tuttavia, a bussare a tutte le porte, ad affrontare le difficoltà con coraggio e determinazione. Dedicava la sua attenzione e il suo tempo a ogni persona che incrociava il suo cammino, soprattutto le più disperate e bisognose, quelle che si sentivano abbandonate e dimenticate.
Si faceva sostegno, conforto e guida, ma sempre con discrezione e umiltà, senza ostentazione, senza darlo a vedere, affinché chiunque ricorresse al suo aiuto, al suo consiglio, alla sua direttiva, si sentisse accolto, compreso e valorizzato. La sua è stata una leadership silenziosa, fatta di gesti concreti, di parole di conforto, di un ascolto attento e premuroso, un esempio luminoso di come la fede e la dedizione possano trasformare la vita di una comunità intera.
I poveri, spesso invisibili agli occhi del mondo, gli emarginati, relegati ai margini di una società, spesso palesemente ingiusta e vessatoria, i tossicodipendenti, intrappolati in un labirinto di dipendenza, gli handicappati, gravati da sfide fisiche o mentali che rendevano il quotidiano una battaglia; tutti loro, individui apparentemente dimenticati da Dio e, con inumano cinismo, dagli uomini, hanno trovato in don Luigi non solo una parola di conforto, un orecchio attento pronto ad ascoltare le loro sofferenze, ma una risposta tangibile e concreta alle loro più profonde attese e necessità.
Non semplici promesse vane ma azioni concrete: una casa sicura e dignitosa per chi era senza tetto, una comunità accogliente dove sentirsi parte di qualcosa di più grande, una sede dove potersi organizzare, dare voce alle proprie istanze e lottare per i propri diritti. Un luogo, insomma, dove ritrovare la dignità perduta e ricostruire una vita spezzata. Non c’era conservatorismo, né la nostalgia o il rimpianto di restaurare i tempi passati, ma neppure il nuovo vuoto alienante dell’edonismo di deriva nichilista.
Ha cambiato volto alla comunità locale dei credenti, una grandezza che non si è mai scolorita e ancora oggi, a distanza di anni, persiste e si rafforza a Valenza. Un fenomeno singolare, quasi inspiegabile per chi non lo vive quotidianamente: uno strano, ma potentissimo, modo di confermare la validità delle proprie idee e argomentazioni. Basta pronunciare una frase semplice, eppure carica di significato: «L’aveva detto don Luigi». E in quell’istante, un silenzio reverenziale cala sul consesso, un tacito riconoscimento della pace, della tolleranza e dell’umanesimo di quell’«Erasmo» locale che in certi frangenti ha rischiato di apparire anacronistico. Tutti, tacitamente, assentono, consapevoli che le parole di don Luigi erano guidate da un profondo amore per il prossimo e da una visione chiara di un futuro più giusto e solidale.
La sua eredità, dunque, non è solo fatta di opere concrete, ma anche di un pensiero che continua a illuminare e guidare la collettività valenzana. Un pensiero che invita alla riflessione, all’azione e, soprattutto, all’umanità: il regalo più gradito a don Luigi, che molti, purtroppo, non hanno mai capito cosa sia.