La politica negli anni Novanta a Valenza
L'approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – L’ultimo decennio del Millennio non suscita brividi di piacere. Gli yankees, con qualche altro, affrontano guerre distruggendo tutto e facendosi quasi distruggere, sovente inutili e già perse dall’inizio. Vogliono portare la civiltà nel mondo e diffondere la libertà, ma la democrazia non è per forza un valore mondiale (né assoluto). Credono di rappresentare l’idea democratica tout court e che il destino ha assegnato a loro il compito di imporla al globo con le buone o con le cattive.
In Italia si affacciano fenomeni politici nuovi, come la Lega, che conquista ampi consensi nell’Italia del Nord, reclamando un risolutivo federalismo. Scoppia Tangentopoli: è sottoposta a giudizio la diffusa corruzione negli ambienti politici, sono travolti i principali partiti di governo, Psi e Dc, e i loro leader. Si dissolve il vecchio sistema politico e i laici minori spariscono dalla scena politica, la DC si spezzetta in più formazioni, che si suddividono tra destra e di sinistra. Nel 1994 “scende in campo” Silvio Berlusconi: nasce Forza Italia. Il partito neofascista Msi, relegato da tempo tra i nostalgici, evolve verso una linea liberaldemocratica di destra. La rivoluzione proletaria non è più moneta corrente.
Le ultime consultazioni del decennio Ottanta hanno posto ai dirigenti comunisti valenzani l’urgenza di aprirsi al nuovo, e per togliere l’impressione di un partito rivolto più al passato che al futuro. Gli iscritti totali sono circa 700, ma le due sezioni locali sono vuote, senza vita, e nelle iniziative sociali-ricreative locali che vedono protagonisti i giovani valenzani c’è troppa assenza di comunisti. Ormai da alcuni anni, la segreteria cittadina è occupata da permalosi funzionari non valenzani, che non hanno trovato il giusto collante con la realtà di questa città.
Animato dalla volontà di rivalsa e dal senso di ostilità, il gruppo consigliare comunista, composto da gente scaltra e competente ma troppo vanagloriosa, attacca continuamente la coalizione che governa problematicamente la città dal 1985, formata dai «fedifraghi» socialisti, un tempo tanto amati, dagli «imperituri» nemici confessionali democristiani e dai nuovi arrivati «altezzosi e materialisti» del Polo Laico (PRI-PSDI-PLI). Una compagnia apprezzabile, se solo sapessero bene cosa fare.
Il 3 febbraio 1991, a Rimini, a conclusione del XX Congresso del PCI, Occhetto e la maggioranza dei delegati sanciscono il cambio del nome e del simbolo del partito in PDS (Partito Democratico della Sinistra), sostituendo la falce e martello con una quercia alla cui base resta il simbolo rimpicciolito del PCI. La scelta, col travaglio psicologico che l’accompagna, percuote una certa schiera di militanti o simpatizzanti valenzani. In realtà, gli uomini di via Melgara si possono dividere in tre gruppi: gli entusiasti, i critici con moderazione e quelli che vivono la nuova «cosa» come un rospo da ingoiare.
Dopo il congresso del febbraio del 1990, con le tre mozioni, nel sottofondo si è profilato anche uno scontro vero, gravido di tensioni e di conseguenze. Secondo il nuovo cliché, il congresso ha visto prevalere gli occhettiani (Buzio, Bertolotti, Ghiotto, Lenti, ecc.), ma a occupare i posti che contavano sono stati i più restii al cambiamento, quelli che credevano meno alla “cosa” (Ravarino, Pistillo, Borioli, Tosetti, ecc.), anche se, a giochi fatti, si è cercato di mantenere una certa unità.
Poi la lista del PDS per le comunali del 1991 viene completamente stravolta: via la vecchia guardia, gradita o sgradita, di volta in volta, con l’aria mesta e frastornata di chi ha preso una facciata contro un muro, quello di Berlino, e via anche qualche giovane leoncino già spelacchiato. La testata della lista è composta dai tre «big»: Paolo Ghiotto, capogruppo uscente, Francesco Bove, segretario locale del partito, e Germano Tosetti, già presidente dell’USSL 71.
Il partito ha anche il supporto di un’interessante e tecnicamente rilevante emittente radiofonica locale: Radio Gold International, acquistata a fine 1990. Una radio comunitaria, che si definisce progressista e di sinistra, non di partito, il cui artefice e conduttore è Renato Lopena. Tutto è concentrato e sistemato nel complesso «Valentia» di via Melgara: sala da ballo, sede del partito, circolo Palomar, con dibattiti e frequentatissimi concerti, e, più avanti, anche Radio Gold Valenza, che prima stava in via Mozart alla sezione PCI Emanuelli.
Da un’indagine fatta tra i sostenitori pidiessini valenzani del febbraio 1991, sui motivi per cui sono iscritti al partito, emergono i seguenti dati: il 3% risponde perché è il partito della classe operaia (5 anni prima era il 7%), il 15% perché è la forza più democratica (5 anni prima era il 20%), il 27% perché il partito vuole cambiare la società (nel 1986 era il 29%) e il 38% perché il partito lotta per ideali di giustizia e di uguaglianza (nel 1986 era il 28%).
L’elezione comunale del 12/05/1991 è a ridosso della crisi di governo e diventa una prova importante che nessuna centrale di partito vuole snobbare. A Valenza arrivano i leader nazionali di ogni partito: Occhetto, Craxi e Bossi (ci si rivolge a lui come a una divinità). All’indomani della consultazione, Valenza viene citata dai più importanti quotidiani nazionali, che commentano la travolgente affermazione della giovane Lega con il 23.5%. Questa città è l’esempio strepitoso di quello che potrebbe accadere a livello nazionale. Si direbbe che sia definitivamente crollato il mito degli orafi con in tasca la tessera di certi partiti.
Dopo decenni di baruffe, avvinti dal medesimo affetto e con «profondo sentimento spirituale», Il 3 luglio 1991 viene ufficializzata l’alleanza innaturale tra i mangiapreti e i baciapile con un insolito copione scritto. Per i primi due anni e mezzo, è eletto sindaco Mario Manenti, il primo sindaco democristiano della città e monopolizzatore di preferenze. Egli scadrà tipo yogurt e, successivamente, sarà sostituito nell’incarico dall’ex comunista, ora pidiessino, Germano Tosetti, vice sindaco e assessore al bilancio nel primo scorcio. Sono uomini di partito, monumenti sacri che mangiano pane e politica sin dallo svezzamento e con il carisma e la competenza per condurre la città in modo innovativo. Ora sono portati in trionfo anche da coloro che li hanno odiati per decenni.
Il Piccolo – Sabato 6 luglio 1991
In questi tempi folli gli scandali a catena, che investono tutti i partiti del paese (la cosiddetta inchiesta mani pulite) e il malcostume degli italiani in uno Stato sempre più clientelare e inefficiente, generano un significativo voto di protesta che discredita il sistema.
Nelle elezioni politiche del 1992 la DC ottiene il peggior risultato nazionale della sua storia e Valenza non è da meno: solo 2.735 voti, il 17%. Il voto dimostra chiaramente che il sistema è alla frutta. La DC si trova di fronte al solito dilemma: riappropriarsi di un’identità capace di proposte adeguate ai tempi o limitarsi a gestire l’esistente, che appare sempre più a un livello di sopravvivenza. Infine, nel gennaio del 1994, la Democrazia Cristiana viene dichiarata sciolta dal Consiglio nazionale del partito e assorbita da un nuovo soggetto politico, il Partito Popolare Italiano.
A Valenza, gli orfani della “balena bianca”, dopo il disagio spirituale ma sempre con la presunzione di una loro superiorità morale, si convincono di non dover più celebrare il funerale del partito, ma di risuscitarlo con il nuovo nome. Ai primi di febbraio 1994, i veterani democristiani costituiscono il gruppo di coordinamento PPI che dovrà guidare il nuovo partito. Un equipaggio in preda all’incertezza che durerà poco. Un risultato meramente formale col senno postumo: misteri della fede.
Si ritorna al voto nel 1994 e in questa occasione appare chiaro che la vecchia politica sia diventata un cimitero in cui molti partiti trovano sepoltura. Scende in campo Silvio Berlusconi con Forza Italia e prende corpo la prima coalizione strategica con il Carroccio e il MSI-Alleanza Nazionale con il nome “Polo delle Libertà”, la coalizione è vincente. A Valenza col proporzionale la Lega Nord raccoglie 2.401 i voti, pari al 15%. Approfittando dei guai altrui, è riuscita a raccogliere i frutti del crollo dei partiti, ponendosi come nuovo interprete del grande ceto medio.
Ma nel dicembre del 1994, la maggioranza del governo Berlusconi va in frantumi a causa dell’uscita di Bossi e i padani locali iniziano una dura polemica con FI e nei confronti di AN. Sono due mondi politici locali concomitanti, ma incapaci di capirsi e di parlarsi. Il punto più controverso è la creazione della cosiddetta Padania.
Nel Paese i socialisti sono stati sommersi d’avvisi, Craxi di monetine, e ora non si trova più un craxiano o un democristiano del CAF. Quelli valenzani, nonostante la bufera, si sforzano per mantenere un vero o presunto feeling nel loro vecchio concistoro e strizzano l’occhio all’altra sinistra: il polo progressista. Facendo affidamento sul motto napoletano “scurdammoce o passato”. Il camaleontismo opportunista continua ad essere l’elemento distintivo della nostra indole (l’aveva già notato Leopardi). E’ vero che lo sconquasso dello PSI fino a sparire, la frantumazione della vecchia DC, tanto da ridursi a «cespugli» vari, spesso senza prospettiva politica, ha complicato le cose, soprattutto in soggetti poco avvezzi alla politica variamente declinata.
Nel congresso del giugno 1995 viene rinnovato il «Politburo» locale (un potere logistico vecchio, troppo conformista e burocratico). Guiderà il partito della quercia Enrico Terzago (un onesto e giovane dirigente) che subentra al segretario uscente Daniele Borioli (diventa vice presidente della Provincia). Se i partiti locali attraversano una grave crisi, anche tra i leghisti valenzani, indigesti a destra come a sinistra, non c’è stata troppa pace, anzi la tregua armata si è tramutata in un rosario di cattiverie tra i «pezzi grossi». La Lega di Valenza vive in un clima non certo sereno, è diventata una compagine litigiosa, debole, caratterizzata da spaccature interne.
Il PPI ha cambiato nomi (CCD–CDU, dal peso ovviamente marginale), leadership (quasi costruiti dal caso) e formazione, senza approdare però a una sua nuova identità. Vive nella più assoluta indecisione dentro un’aura di sconfittismo e confusione. Malpancisti in stand by che balbettano in sette lingue diverse, nell’attesa di intuire dove sia più vantaggioso approdare, della serie «Vai avanti tu che a me vien da ridere».
Nel panorama politico locale, si registrano risultati elettorali degni di nota per Rifondazione Comunista, erede di una corrente ideologica che non aderì al cambiamento di rotta del Partito Comunista Italiano nel gennaio del 1991. Questa formazione politica, ancorata a simboli tradizionali come la falce e martello, ha saputo raccogliere consensi, raggiungendo quasi l’8% delle preferenze.
Ormai ci si prepara per le elezioni comunali del 1996, le prime con la nuova legge elettorale. Si voterà direttamente per un sindaco che, se vincitore, otterrà per la sua maggioranza il 60% dei seggi del Consiglio comunale. Altra modifica importante è il taglio dei seggi in Consiglio. Per i Comuni come Valenza, tra i 10 mila e 30 mila abitanti, se ne cancellano 10 su 30. Gli eletti saranno quindi venti. Tosetti, assecondato con amorevole premura, riuscirà ad affermarsi vistosamente. Ma sono sempre meno quelli che credono ai politicanti, è sempre più difficile ingannare con la parola la verità dei fatti.
Infine, il 16 aprile 2000 i valenzani sono chiamati alle urne per l’elezione del nuovo Consiglio regionale, per il rinnovo del Consiglio comunale e per lo scranno principale a Palazzo Pellizzari. Germano Tosetti punta a ottenere nuovamente il mandato per guidare la città. Uniti per calcolo elettorale e non certo per vocazione, è appoggiato dai DS, dai Verdi, dai Comunisti italiani, dai Democratici, da “Per Valenza” Centro popolare riformista. Egli è un rubacuori nell’elettorato del centro destra, ma, in questi anni, dietro il «feudatario» c’è stato sempre meno ceto dirigente: molti sono politici per caso, parecchi addestrati da partiti che non esistono più o con percorsi ideologici quantomeno discutibili, in maggioranza di matrice furbo-progressista. Non sembra felice la scelta dei giullari di corte a selezione ideologica, ma quella degli avversari è infallibile. La fortuna di Tosetti, già proprietario di una solida preparazione politica, è sempre la stessa, enorme: l’opposizione appassita che si ritrova. Come al tempo dei re.
Complessivamente, dunque, pare che nell’ultima decade del secolo scorso la politica locale, variamente declinata, ostentando spesso una certa sicurezza artefatta, per ottenere il potere abbia sostenuto con cinismo accrocchi elettorali grotteschi privi di veri disegni stabili per la città. Tuttavia, tutti sempre pronti a separare il Bene (cioè se stessi) dal male (gli altri), con annesso patetico disprezzo per chi la pensa diversamente. Un virus contro il quale non c’è vaccino.
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