Le prime produzioni di calzature e di gioielli a Valenza
Un nuovo approfondimento a cura del professor Maggiora
VALENZA – L’industria calzaturiera e quella orafa di Valenza hanno radici profonde nella storia e nella cultura della città. Queste due attività produttive sono intimamente legate alla fede che i valenzani hanno sempre nutrito per la libertà e l’autonomia a tutti i livelli, anche in ambito economico e produttivo.
Quest’attitudine ha permesso loro di sentire l’incanto dell’arte e di esprimere una straordinaria capacità creativa, fantasia ed eclettismo. Da questa predisposizione sono nati i gioielli e le scarpe di Valenza, diventati famosi in tutto il mondo. Sia i preziosi monili che le calzature sono il frutto di una scelta produttiva orientata alla praticità e all’utilità per i consumatori. I gioielli, ambiti dalle donne, erano anche considerati un investimento di valore, mentre le scarpe rispondevano all’esigenza fondamentale di camminare dopo che i valenzani avevano abbandonato l’abitudine di andare a piedi scalzi.
Ricostruire la storia dell’industria calzaturiera a Valenza non è un’impresa semplice, poiché le fonti scritte sono scarse. Bisogna affidarsi soprattutto alla memoria degli eredi e ai pochi documenti storici a disposizione. Ciò che si sa è che quest’attività produttiva ebbe inizio con l’industria delle tomaie, grazie all’iniziativa di un certo Giovanni Biglieri, che nel 1890 aprì il primo opificio. Gradualmente, altri stabilimenti si aggiunsero, fino a fare di Valenza uno dei centri più importanti del settore a livello nazionale. Questa evoluzione è stata resa possibile dalla vocazione imprenditoriale dei valenzani, dalla loro capacità di coniugare abilità artigianale e innovazione, nonché dalla forte motivazione a creare prodotti di qualità, ispirati dalla creatività artistica e dalla ricerca della funzionalità. Tutto ciò ha contribuito a consolidare il prestigio di Valenza come polo di eccellenza nel campo delle calzature e della gioielleria.
Le origini dell’industria calzaturiera di Valenza risalgono ai primi laboratori artigianali che si sono formati poco dopo ai laboratori di oreficeria, conferendo alla città il suo carattere di centro di eccellenza artigianale. A fine Ottocento, l’importante industria delle tomaie giunte, ausiliaria a quella della calzatura, si affiancava all’affermata industria orafa e alla degradata industria della filanda.
Questi pionieri calzaturieri, come Biglieri e Melgara, gettarono le basi per la trasformazione graduale di Valenza da una cittadina prevalentemente agricola a un polo industriale specializzato nella produzione di calzature. Nei decenni successivi, emergevano altre figure di spicco nel settore calzaturiero, come i titolari dei tomaifici “La Valletta” (Bonafede) e “La Stella” (Ballario, Gota e Mantelli), che si dedicarono alla realizzazione delle parti superiori delle scarpe (necessarie alla realizzazione del prodotto finito).
Il primo vero calzaturificio industriale, in grado di produrre l’intero processo di fabbricazione della calzatura, grazie all’introduzione delle prime macchine, fu quello di Giulio Ponzone, situato alla periferia della città, verso Casale. Seguirono poi altri importanti stabilimenti, come quelli di Carlo Lenti e dei fratelli Protto. Particolarmente rilevante fu l’attività di “La Dominante” di Carlo Lenti, che è stata la prima azienda italiana a occuparsi della lavorazione e vulcanizzazione della gomma per la produzione di calzature. Questo stabilimento, circondato da un’aura sacrale, arrivò ad avere alle proprie dipendenze più di 300 dipendenti, dimostrando la notevole portata delle sue attività produttive e il ruolo di primo piano svolto nell’evoluzione dell’industria calzaturiera valenzana.
Questo passaggio espanso mette maggiormente in luce il graduale consolidamento dell’industria calzaturiera a Valenza, dalla fase artigianale iniziale fino all’affermarsi di veri e propri stabilimenti industriali all’avanguardia, come il caso emblematico de “La Dominante” o “La Stella” di Ballario, Gota e Mantelli che fu in seguito rilevata da Virginio Protto, un imprenditore locale di grande esperienza e acume in questo settore. Oltre a queste iniziative, la zona vantava anche altri importanti produttori con indefesse capacità imprenditoriali, come i calzaturifici Tartara & C. e Alessandro Re & C., realtà industriali all’avanguardia che contribuirono a rendere questa zona un vero e proprio distretto specializzato nella manifattura di calzature di alta qualità. Queste aziende, frutto dell’intraprendenza e della dedizione d’intere generazioni di artigiani e imprenditori, spesso nobili e austeri in apparenza, diventeranno nel tempo veri e propri punti di riferimento per l’intero comparto, grazie agli investimenti in tecnologia, formazione del personale e ricerca di nuovi materiali e stili. Il successo di queste realtà produttive contribuirà a consolidare la reputazione del territorio come centro di eccellenza riconosciuto a livello nazionale e internazionale per la produzione di calzature di pregio e con il progredire della meccanizzazione, si svilupperà anche una certa produzione che entrerà in concorrenza con i noti produttori di Vigevano e Varese.
All’inizio del Novecento il tomaificio-calzaturificio Bonafede-Ceva, sotto l’insegna “La Valletta”, contava un centinaio di operai a Valenza e una trentina nella filiale di Bassignana, mentre la “Manifattura Calzature Giunte Ballario e Mantelli”, fondata nel 1899, con il marchio “La Stella”, aveva una sessantina di operai.
Nel 1911 a Valenza c’erano ben 15 tomaifici, dove abili tagliatori e capaci orlatrici preparavano tomaie per importanti calzaturifici del paese: Ballario e Mantelli (63 occupati), Bonafede Massimo (44 occupati), Cellerino Edoardo (10 occupati), Ceva Salvatore (23 occupati) Ferrario Pasquale (8 occupati), Illario e Ricci (45 occupati), Marchese Ernesto (10 occupati), Marchese Giacomo (19 occupati), Mensi Carlo (7 occupati), Montanara Francesco (19 occupati), Pavese Ettore (27 occupati), F.lli Ponzone (30 occupati). Provera Lorenzo (10 occupati), Società Anonima Cooperativa (61 occupati), Melgara e C. (38 occupati). Numerosi erano anche gli addetti che prestavano la loro opera nell’indotto.
Durante la Grande Guerra, grazie alle commesse militari, la produzione e i profitti dell’attività calzaturiera cresceranno sensibilmente. Queste fabbriche saranno in grado di accogliere una numerosa manodopera femminile non specializzata e di renderla produttiva in tempi brevi, sostituendo gli uomini chiamati al fronte con facilità.
A partire dai primi anni del Novecento, questa piccola città si affermava come uno dei poli più importanti e influenti dell’industria calzaturiera nazionale ed internazionale. Diverse realtà imprenditoriali locali, come l’azienda La Stella che produceva pantofole e altre industrie specializzate nella realizzazione di scarpe da donna, contribuirono a consolidare la fama e la reputazione di Valenza come distretto calzaturiero di eccellenza.
I prodotti calzaturieri valenzani si distinsero per la loro qualità superiore, la cura dei dettagli e l’abilità artigianale che li contraddistingueva. Questa peculiarità li rese estremamente apprezzati e ricercati sui mercati nazionali e stranieri, diventando veri e propri best seller in Italia e all’estero. Il saper fare calzaturiero di Valenza, frutto di una lunga tradizione manifatturiera radicata sul territorio, divenne un modello di riferimento per l’intero comparto, inspirando e influenzando positivamente altri distretti produttivi simili.
Purtroppo, nonostante l’indiscusso valore e l’importanza strategica di questo settore per l’economia locale e nazionale, nel secondo dopoguerra il distretto calzaturiero valenzano diventerà sempre più asfittico, e non riceverà alcun adeguato riconoscimento né la dovuta attenzione da parte delle istituzioni, se non qualche chiacchiera ideologica, pro domo sua, priva di concretezza e incapace di incidere.
Prima di entrare in recessione profonda, quando alcuni imprenditori veterani rassegnati lasciarono morire l’azienda, sarebbe stato opportuno intervenire pubblicamente per valorizzare maggiormente questo patrimonio di competenze, abilità e know-how produttivo, promuovendone lo sviluppo e l’affermazione anziché raccontar (si) balle rassicuranti a tavolino, intrise di demagogia e formule astratte, contribuendo così in maniera decisiva a una fine ingloriosa per tutti. E non ci sarà mai il tempo per riflettere su quanto male è stato fatto, sui rapporti di lavoro nel calzaturiero di questa città, dall’irriverente contestazione dei sessantottini, fatta da una piccola minoranza ideologizzata di valenzani.
Ma come si spiega il passaggio dalla prevalente attività agricola a quella artigianale orafa? Un concetto più semplice da intendere che da spiegare. Si sono formulate diverse ipotesi, ma una ragione precisa non s’è mai trovata. Si è parlato di genialità artistica valenzana, di un impegno lungo e faticoso di generazioni e trasmissione di saperi, della particolare posizione geografica della città, di un fatto casuale che ha generato una replica a catena, dopo l’avvento pionieristico di un primo imprenditore orafo capace di intuire e sviluppare questa lavorazione. Ovviamente sono solo un’ipotesi o tesi indimostrabili, ma scarsamente confutabili, per alcuni quasi ovvie. Un patrimonio robusto che fa invidia a molti.
Dalla rilevazione del 1837, a Valenza risultavano due orefici senza nome, forse Giuseppe Conte e Carlo Merlo, che possedevano piccolissimi laboratori per riparazioni e che svolgevano minute prestazioni di produzione, con un garzone ciascuno.
Chissà poi se Vincenzo Morosetti, padre dell’oreficeria valenzana, quando intorno alla metà dell’Ottocento decise di avviare la sua attività artigianale in Valenza, potesse immaginare l’impatto che la sua scelta avrebbe avuto sull’economia e la cultura della città. Morosetti, figlio di una famiglia di modeste condizioni, aveva imparato l’arte orafa sin da giovanissimo, lavorando come apprendista presso i migliori maestri della regione. Con dedizione e abilità, era riuscito a perfezionare le sue tecniche, sviluppando uno stile unico e riconoscibile. Quando decise di aprire il suo laboratorio a Valenza, la città era ancora profondamente radicata in un’economia tipicamente agricola, con una popolazione dedita principalmente alla coltivazione della terra e alla produzione di vino, mentre le attività produttive locali più importanti erano i filatoi della seta con 3 aziende di filatura e 215 telai sparsi per la città che trattavano canapa e lino, e 4 fabbriche di mattoni e tegole.
Tuttavia, l’arrivo dell’intraprendente orafo avrebbe segnato l’inizio di un processo di trasformazione industriale destinato a cambiare per sempre il volto di Valenza. Morosetti, con il suo lavoro appassionato e innovativo fuori dai vecchi schemi, riuscì ben presto ad attirare l’attenzione di clienti facoltosi, che richiedevano gioielli di alta qualità e di design raffinato. La sua fama si diffuse rapidamente, tanto che molti giovani aspiranti orafi iniziarono ad affluire nella città, desiderosi di imparare l’arte dalle mani esperte del maestro. In breve tempo, intorno al laboratorio di Morosetti, si sviluppò un vero e proprio distretto orafo, con numerosi artigiani che aprirono le proprie botteghe, dando vita a una vivace e fiorente economia incentrata sull’oreficeria. Un modello imprenditoriale originale e di successo.
L’impatto di questo mutamento fu dirompente: Valenza, da piccolo centro rurale, si trasformò pian piano in una città industriale, con una popolazione in crescita e un’economia basata sulla lavorazione dell’oro e della calzatura. Artigiani orafi come Caramora, i fratelli Conti, Merlo, Reggio, Zacchetti, Bigatti, Porta e soprattutto Melchiorre, con grande e sovrana acutezza, seguirono le orme di Morosetti, dando vita a un vero e proprio “miracolo” economico che ha reso Valenza famosa in tutto il mondo per la sua eccellenza nella produzione di gioielli.
Questi sono anche gli anni della grande emigrazione che vedono la fuga verso le Americhe di molti valenzani in cerca di fortuna, anche se alcuni disillusi faranno presto ritorno poiché per guadagnare soldi bisognava lavorare come da noi e a far niente si stava meglio qui. Sono anche gli anni di un nuovo esagitato fermento politico e sociale con legittime ancorché fallaci convinzioni.
La città di Valenza si è ben presto profondamente trasformata, adattandosi gradualmente ai continui mutamenti del mercato e aprendo le proprie porte al mondo intero, non più limitandosi ai confini nazionali. Dopo la Grande Guerra e alla rinnovata fiducia, Valenza vivrà un vero e proprio boom economico, con la nascita di tante aziende orafe e gioielliere. La loro produzione saprà conquistare una posizione di primaria importanza a livello globale, dovuta a diversi fattori chiave: l’estetica unica e inconfondibile dei prodotti, la spiccata creatività e fantasia dei suoi designer, nonché l’abilità e la maestria degli artigiani orafi locali nel lavorare i metalli preziosi. Questi elementi hanno conferito all’oreficeria e gioielleria italiana, e in particolare a quella valenzana, un prestigio e una reputazione di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo.
Il costante impegno, la passione e la dedizione di questi pionieri hanno contribuito allo sviluppo di questo pregiato distretto produttivo e hanno rappresentato i veri pilastri del successo dell’industria valenzana.
Ma siccome Il tempo non è galantuomo, bensì smemorato, scorda e non si appassiona più a certe reminiscenze. Ha ragione Cronin: le stelle stanno sempre e solo a guardare.