Fine secolo XIX a Valenza e zona
Gli anni del passaggio da un'economia tipicamente agricola a una di tipo industriale
VALENZA – Come in tutto il paese, anche a Valenza lo sviluppo economico di fine Ottocento genera un notevole fermento sociale. Nel movimento operaio socialista valenzano, si è formata una mentalità progressista e battagliera, che in parte si lega a una tradizione giacobina e risorgimentale e in parte a esperienze anarchiche, con un acceso anticlericalismo e un’ostilità verso la destra conservatrice, tradizionalista e liberale e, ben presto, anche verso i repubblicani, da cui provengono molti socialisti. Spesso, le idee sono radicali, incoerenti e intrise di disprezzo e c’è ancora una visione sacrale e rituale del mondo, estranea al presente, con ambizioni di egemonia culturale: amano il popolo finché sta alla larga da loro.
I liberali non hanno un partito organizzato, ma una consorteria di persone con principi e attese simili, chi per convinzione e chi per convenienza, che raggruppa le varie correnti in un’associazione. Sono gruppi conservatori ormai stagionati, composti da quasi tutta la borghesia locale benestante e spocchiosa, con annesso delirio di onnipotenza, che ha abbandonato i grandi ideali dell’unità d’Italia, che frequenta assiduamente il circolo Casinò Sociale e ha anche una sala riservata al Caffè Mazzini. Sono appoggiati apertamente da una chiesa locale in fermento, ormai ammorbidita nei confronti dello stato laico, un mondo religioso ancora popolato di superstizioni, preghiere e processioni.
È però il tempo del positivismo che diventa credenza, sia per le avanguardie liberali che per quelle socialiste nemiche della cristianità, ma tutta la zona è politicamente divisa e ci sono due tribù in guerra permanente che domineranno la scena per più di un decennio.
A Valenza, in questi ultimi anni dell’Ottocento, si assiste al passaggio da un’economia tipicamente agricola a una di tipo industriale, caratterizzata da oreficerie, fabbriche di tomaie giunte, filande e fornaci.
La fabbrica reclama braccia e la campagna risponde all’appello. Sono molte le congetture per spiegare il passaggio dall’attività agricola a quella artigianale-industriale, ma è difficile trovare una ragione precisa. Hanno concorso la debolezza e la legnosità dei piccoli proprietari terrieri, refrattari alle innovazioni tecnologiche utili ad accrescere e a diversificare la produttività. Inoltre, il vino locale subisce la concorrenza francese e la filatura della seta non regge più la concorrenza del cotone. Questi settori si sono scoperti più deboli e più esposti e, perciò, anche maggiormente preoccupati per il proprio futuro.
La maggiore redditività dell’oreficeria riguardo ad altri compartimenti produttivi conduce all’assegnazione di più alti salari e a più dignitose condizioni di lavoro, contribuendo a creare una situazione ambientale speciale per cui la lotta di classe, spacciata come progresso, è meno aspra che altrove. Nel corso di questi anni di liberalismo economico, aumenta sempre più il numero di coloro che, attirati dalla prospettiva di comodi profitti, costituiscono dei piccoli laboratori orafi, passando dalla condizione di operai a quella di imprenditori, con l’arroganza che circonda sempre chi arriva a disporre dei mezzi.
Nel circondario, una regione agricola per eccellenza, la collina è tutta una vite e il suo vino è abbastanza pregiato; sarà la fillossera nell’autunno del 1901 a rovinare tutte le vigne con un effetto pervasivo. Cresce sempre più la coltivazione di cereali, soprattutto nella piana di Bassignana. L’impegno delle donne in questa coltivazione inizia già in primavera. Altre attività, affidate tradizionalmente alle donne e molto praticate in campagna, sono l’allevamento dei bachi da seta e dei numerosi animali da cortile.
È abbastanza diffusa una ristrettezza economica nelle famiglie, da non confondere, però, con la miseria. Nelle lunghe serate invernali, la stalla è il salotto in cui i gruppi di famiglia si riuniscono alla fioca luce del lumino a petrolio. Un mondo duro, aspro, povero, ingiusto e ignorante.
Le vie di questi paesi abbondano di negozi, rivendite e laboratori di ogni genere. Sono numerosi quelli di alimentari e le panetterie. In questi anni, ogni attività fiorisce: ci sono rivendite di vino sfuso o imbottigliato, falegnami, fabbri, sarte, calzolai, fornitori di bozzoli e di sementi.
Negli ultimi anni dell’Ottocento, nella zona si manifesta una crescita costante della popolazione. Bassignana supera i 3000 abitanti, San Salvatore ne ha quasi 7500, Montecastello quasi 1500, Rivarone supera i 1000 e Pecetto i 2000. Alcuni di questi fanno il grande passo e vanno a popolare gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile e altre parti del mondo, dove molti di loro faranno fortuna.
Nei politicanti locali di questi paesi, tra aspre contrapposizioni, domina l’assenza di contenuti istituzionali, mentre insulti e offese sono all’ordine del giorno tra certi personaggi intolleranti e rancorosi, ma, al contrario di Valenza, sono quasi tutti impastati di dogmatismo cattolico con la puntuale partecipazione alla messa domenicale, come quasi tutta la gente comune, con grande rispetto per le parsimoniose e virtuose sacre famiglie locali farcite di velleità revansciste, come avviene da sempre.
A Valenza, il nascente partito socialista ottiene buoni risultati grazie al dinamismo del gruppo dirigente composto da Giusto Calvi, il dominus, Alfredo Compiano, Luciano Oliva, Carlo Balzano, Carlotta Garrone e altri malati di ideologia, generalmente atei se non dichiarati anticlericali che furono battezzati, cresimati e comunicati. È un cenacolo di pensatori rivoluzionari con l’aria di chi la sa lunga, impegnato nella battaglia contro il capitale, allergico al dissenso, che raduna anche un’élite sussiegosa che spesso ne offusca la ragione: profeti di un’umanità sempre più disagiata e rabbiosa.
Il nuovo periodico pseudo-socialista, che si è presentato al pubblico valenzano il 5 aprile 1896, è il Gazzettino di Valenza FFV, stampato nella tipografia di Lorenzo Battezzati (1861-1933). Esso vuole puntare sulla cronaca e dichiara d’essere impolitico, cioè di non essere contagiato da alcuna corrente ideologica: in questi anni, è una dichiarazione poco meno che artificiosa, anche se il giornale non saprà darsi un indirizzo istituzionale chiaro e coerente. Ma è sempre pronto a lanciare messaggi di rottura e di scontri frontali con un vitalismo che è croce e delizia di tanti, quasi compiaciuto ogni volta che arriva una sventura per la città: al confronto Cassandra era ottimista. Esce la domenica, l’abbonamento semestrale costa due lire, una copia cinque centesimi. Dopo 111 numeri, il giornale, boicottato e poco sostenuto da alcuni esponenti dell’amministrazione comunale, verrà chiuso il 28 maggio 1898.
Nel 1897, i marxisti sono numerosi e compatti; in poco tempo, a Valenza si è formata un’associazione socialista di oltre 500 persone e nei circoli della zona si tengono conferenze e riunioni frequenti con vigorose discussioni. Anche l’Associazione degli operai orefici valenzani, trascinata con enfasi nella mischia con posizioni ambigue e feconde di eresie, conta oltre 200 soci socialisti, anche donne.
In questi tempi, la sezione locale del partito si dedica ad aumentare il numero di iscritti alle liste elettorali, anche istituendo corsi gratuiti per permettere agli analfabeti di acquisire le conoscenze e il titolo richiesto per essere elettori. Infatti, l’obiettivo principale dei socialisti valenzani è la conquista del Comune, da lungo tempo amministrato da un manipolo di conservatori-liberali, che include alcuni esponenti umorali ultraconservatori, ormai stagionati, delle vecchie casate nobiliari e rappresentanti della fresca e imprevedibile borghesia imprenditoriale, che raccoglie la maggior parte dei suoi voti nelle campagne e nella frazione di Monte Valenza. Più difficile, invece, è imporsi alle elezioni politiche, in cui i liberali possono contare sul numero di suffragi provenienti dagli altri comuni del collegio, grazie alla candidatura dell’avvocato e conte Lodovico Ceriana Mayneri (1857-1905), deputato dal 1892 e considerato dai conservatori una guida per tutta la zona, a un passo dall’idolatria personalistica. Lui, custode di una certa ortodossia, è l’unico in grado di raccogliere il consenso di tutti i rappresentanti del collegio, formato dai comuni e dalle frazioni di Alzano, Alluvioni, Grava, Bassignana, Mugarone, Castelletto Scazzoso, Castelnuovo, Molino dei Torti, Guazzora, Isola S.Antonio, Lu, Monte, Montecastello, Pavone, Pecetto, Pietramarazzi, Piovera, Rivarone, Sale, San Salvatore e Villabella (Lazzarone), che scorgono in lui, un competente possidente terriero osannato e riverito, un difensore dei loro interessi economici fondati sull’attività agricola.
A conferma di quanto detto, nelle elezioni politiche del 21 marzo 1897, i socialisti, pur presentando un personaggio noto quale Enrico Bignami (1846-1921), un fervente mazziniano e poi socialista, a Valenza raccolgono solo 299 voti, contro i 722 di Ceriana Mayneri, mentre nel collegio il distacco è ancora più ampio: 4.085 al rieletto Ceriana Mayneri, contro i 1.445 del rivale.
Dopo lo scontro elettorale, a Valenza i toni si alzano e il clima si infiamma: realtà e fandonia si mescolano continuamente, abusando della credulità popolare per spargere allarmismo, certi miglioramenti locali vengono annunciati, discussi , tutto fuorché fatti.
Già da tempo, nella filanda di Vincenzo Ceriana, sindaco di Valenza dal 1892 e cugino del deputato, regna lo scontento per le cattive condizioni di lavoro: le giovani filatrici, prossime alla schiavitù, lavorano 12-14 ore al giorno, con le mani immerse nell’acqua bollente e tra esalazioni nocive insopportabili. Dopo un iniziale tentativo di ribellione, che causa l’allontanamento di alcune operaie discernitesi nella protesta, segue uno sciopero di tre giorni, organizzato da un centinaio di filatrici e identificato come qualcosa di pericoloso dall’autorità di pubblica sicurezza della provincia, che interviene. Il 6 e il 7 aprile 1897 si scatenano altri disordini con particolare astio, che portano all’arresto, per eccitamento allo sciopero, di Ettore Cantatore, Angela Fava e Carlo Sannazzaro, osannati o mal digeriti.
A seguito di questi eventi, ci si accorda per la riduzione dell’orario di lavoro di un’ora e un quarto, ma, nel mese di maggio, non essendo stato ancora messo in atto quanto concordato, le maestranze proclamano un nuovo sciopero, a cui il titolare Ceriana risponde con la chiusura della filanda, presentata come sacrosanta e necessaria, ma che provoca una fervente e copiosa indignazione.
Nel marasma che segue, Vincenzo Ceriana (1853-1934) e il contabile dell’azienda e consigliere comunale Carlo Carones, barricati dentro dogmi padronali oppressivi fuori dal tempo e ostracizzati dal loro stesso partito, abbracciano l’arma dell’antipolitica e presentano le dimissioni dal consiglio comunale, che, il 25 settembre 1897, elegge Ferdinando Abbiati (1864-1943) nuovo sindaco di Valenza, con una maggioranza incompleta e una deliberazione di 18 voti contro 1 di Ceriana, 2 schede nulle e gli altri assenti.
Dal 1988, il numero dei consiglieri comunali di Valenza è stato elevato dai 20 ai 30; essi restano in carica per sei anni, salvo sorteggio per il rinnovo parziale che avviene ogni due o tre anni.
All’inizio del 1898, in tutto il paese nascono una serie di proteste e di agitazioni che sfociano in scontri e manifestazioni di lavoratori; il fatto più grave si verifica il 6 maggio a Milano, quando la repressione condotta con armi e cannoni dal generale Bava Beccaris provoca 80 morti e centinaia di feriti.
Neanche Valenza resta immune al clima vessatorio e di abiezione instauratosi e, in un clima così arroventato, l’incidente è dietro l’angolo. L’occasione più propizia per lo scontro sono i festeggiamenti socialisti del primo maggio. Il programma collettivista locale prevede una passeggiata mattutina, una conferenza per invito a mezzogiorno e una cena alla sera. Se la passeggiata e la conferenza procedono in tranquillità, il banchetto nel circolo elettorale socialista ha un finale imprevisto e tumultuoso.
Accalorati e senza prudenza, forse anche a causa del vino trangugiato, i banchettanti giacobini intonano l’inno dei lavoratori con toni alti e parole fuori controllo, forse come gesti indocili di riscatto sociale, cosa che provoca l’irruzione del delegato all’ordine pubblico Basso, spalleggiato da una dozzina di carabinieri, e un tafferuglio in cui la razionalità è completamente soppiantata dall’impulsività e in cui alcuni partecipanti sono infine arrestati. Si tratta dell’avvocato relatore Riva, Giulio Forti, Carlo Balzano, Pietro Pavese, Enrico Bonzano, Menotti Sannazzaro, Ernani Cavallero, Giuseppe Ferro e Alfredo Baggio, accusati di aver trasgredito agli ordini dell’autorità.
In fretta e furia, il giorno dopo Baggio e Ferro sono condannati dal pretore a 20 lire di ammenda e il 4 maggio si tiene il processo per gli altri sette arrestati, imputati di “essersi associati allo scopo di incitare all’odio fra le varie classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità e per grida e manifestazioni sediziose”. La sentenza assolve Riva e Forte e condanna tutti gli altri a 4 giorni di arresto, 5 per Sannazzaro perché recidivo. Ma il procuratore del re, che aveva chiesto 5 mesi e 6 giorni a testa, ricorre in appello e il 24 luglio 1898, nel processo che si tiene a Casale, le condanne diventano molto più grevi e impietose: 5 mesi per Balzano, Bonzano, Pavese e Cavallero, 9 mesi per Riva e Forti, mentre Sannazzaro, con una prova quasi schiacciante, è assolto per non aver partecipato al banchetto.
Pochi giorni dopo l’episodio, viene sciolto il Circolo elettorale socialista e sono perquisite numerose abitazioni di pseudo-marxisti. Poi, il 2 giugno 1898, il prefetto scioglie anche l’Unione cattolica e il Comitato parrocchiale e, per eccitamento al disprezzo della legge, il 28 maggio 1898 viene soppresso il Gazzettino di Valenza.
Le successive perquisizioni e gli interrogatori, con menzogne preparate e mezze verità sottaciute, portano a un altisonante processo, che si tiene il 18 gennaio 1899 ad Alessandria. Gli imputati, che mantengono la loro autorevolezza anche nella burrasca, che non piegano la testa poiché convinti di essere i migliori, accusati di aver fatto parte di un’associazione deleteria, il circolo elettorale, “allo scopo di eccitare alla disobbedienza delle leggi e all’odio tra le classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”, sono Carlo Balzano, Vincenzo Morosetti, Enrico Bonzano, Ettore Cantatore, Vincenzo Ceriana, Ferdinando Keller, Stefano Giordano, Adolfo Mazza, Pietro Pavese, Carlotta Garrone e, in contumacia, Edoardo Bonelli e Ernani Cavallero.
Gli avvocati che siedono alla difesa, paladini degli oppressi, sono il deputato Enrico Ferri, l’onorevole Alberto Merlani e Giuseppe Pugliesi. Il pubblico ministero cerca di dimostrare il carattere sovversivo dell’associazione affiliata al partito socialista, ormai scomposto: accusa gli imputati di aver aizzato allo sciopero, collegando il socialismo all’anarchia, e chiede 10 mesi di reclusione e 800 lire di multa per ognuno.
A difesa degli imputati, sono uditi esponenti conservatori-liberali valenzani di spicco – Giovanni Barbero, Carlo Angeleri, Carlo Carones e il presidente della deputazione provinciale Fedele Mayoli. Nell’occasione, sono tutti capitani coraggiosi e sussiegosi travestiti, concordi nel non ritenere gli antagonisti a processo dei fomentatori e nell’elogiare il clima in cui si svolge il contradditorio politico a Valenza; è un colpo di scena e un canto trionfale di misericordiosi, che fa sembrare quasi di essere in chiesa. Hanno tramutato subdolamente la malevolenza in venerazione, eliminando ruggini e incongruenze, fanno finta di niente con alacre indifferenza.
Contestando la legittimità del provvedimento, il carismatico difensore Ferri afferma che la lotta di classe è sovversiva solo se barbarica, che lo sciopero non è reato, che cantare l’inno dei lavoratori non è un delitto e che gli imputati non sono anarchici, ragion per cui ne chiede l’assoluzione, che, con una punta di sobrio trionfalismo, in funzione simbolica e soprattutto declaratoria, viene confermata con la sentenza, poiché non è stata provata la reità, lasciando da parte spiegazioni e ulteriori congetture prive di veridicità. Non c’è più il dramma, al massimo la farsa.
Pochi mesi prima, il 25 ottobre 1898, a San Salvatore, ci sono stati gravi tumulti e scontri di piazza, iniziati a Frescondino, cavalcati con solidarietà ribellistica e imprudenza da esponenti valenzani, in un clima di guerra sociale, e aggravati dall’uccisione di 7 manifestanti da parte dei repressivi carabinieri. Nel consequenziale processo del 21 dicembre 1898, dove le imprecisioni e le forzature scivolano via senza intaccare la narrazione ufficiale, sono condannati 28 imputati a pene variabili dai 25 ai 75 giorni di reclusione, per resistenza alla forza pubblica e danneggiamento, con diversi effetti collaterali.
Le repressioni dei moti popolari del 1898 e la stretta liberticida e censoria allenta la crescita del PSI, che decide di promuovere un’alleanza, sconveniente per molti, di tutti partiti dell’estrema sinistra – socialista, repubblicano e radicale – non troppo amalgamabili e non certo dovuta a fiducia o simpatia nei loro confronti. La ragione politica può più delle vecchie ruggini, anche quelle personali e feroci, un vizio tuttora in auge, plasmato da una finzione di democrazia.
Il 16 luglio 1899 si tengono le elezioni amministrative parziali, che erano state rinviate l’anno prima dal governo in seguito alla situazione creatasi nel paese. A Valenza, i consiglieri da sostituire sono 15, 12 di maggioranza e 3 di minoranza: Arzani, Gervaso e Reverdy deceduti; Farina, Gropello, Terzano, dimissionari; Angeleri, Cavalli, Comolli, Compiano, Corones, Cunioli, Majoli e Raiteri scaduti per sorteggio; Passoni la cui elezione non fu mai convalidata.
I socialisti presentano quattro candidati, Balzano, Carlo, Ferraris Paolo, Gota Paolo e Morosetti Vincenzo, ma la lista comprende anche i repubblicani Cavalli Costanzo, Melgara Giuseppe, Rigone Carlo, e Visconti Gerolamo. La lista liberale è formata da Abbiati Giuseppe, Angeleri Carlo, Bianchi Vincenzo, Compiano Alfredo, Corones Carlo, Cunioli Francesco, Farina Camillo, Majoli Fedele, Raiteri Luigi, Salvi Del Pero, Terzago Giuseppe, e Travella Guido. I votanti sono 1.154 su 1.612 aventi diritto. Risultano eletti tutti gli otto candidati socialisti e repubblicani, più i liberali Majoli, Angeleri, Terzago, Compiano, Corones, Abbiati e Cunioli.
In seguito alla debacle elettorale con l’insuccesso della lista liberale e alle variate condizioni del consiglio, il sindaco Abbiati, un pragmatico in chiave nazional-risorgimentale, molto attento agli sviluppi del potere, presenta le dimissioni. Così assume notevole importanza il consiglio comunale del 31 luglio 1899, dove, essendo il sindaco dimissionario, presiede la seduta l’assessore anziano Barbero Giovanni, alla presenza di 24 consiglieri su 30. L’avvocato liberale Abbiati Ferdinando con un piglio da meritevole, viene però riconfermato sindaco, con 14 voti a favore e 10 schede bianche: chiunque altro sarebbe stato crocifisso, ma lui no. La nuova giunta comunale, quindi, risulta composta dagli assessori Angeleri Carlo, Visconti Vincenzo, Vaccari Pietro e Vaccari Luigi. Insomma, non ci sono novità all’orizzonte, soltanto qualche avvicendamento di routine tra soggetti collaudati, i soliti nomi che da anni fanno il bello e il cattivo tempo nella gestione comunale, anche se di unità vera ce n’è poca e la longevità è incerta.
Poi, nella primavera del 1900, il re, per venire fuori dalla pesante situazione politica creatasi nel paese in seguito ai fatti del 1898, decreta lo scioglimento della Camera e indice nuove elezioni, che si svolgono il 3 e il 10 giugno. Nel collegio di Valenza, come già nel 1897, si scontrano il deputato uscente Ceriana-Mayneri e il candidato socialista Enrico Bignami, appoggiato anche dagli incerti democratici. L’esito delle urne è ancora favorevole a Ceriana-Mayneri, anche se il margine fra i due contendenti si riduce rispetto alle precedenti consultazioni: nel collegio Ceriana raccoglie 3.598 voti contro i 2.032 di Bignami, mentre a Valenza l’esito è di quasi parità, con 571 voti contro 486.
I soddisfacenti risultati ottenuti dai socialisti nelle elezioni del 1899 e del 1900 generano uno scontro accanito con il partito liberale che contrassegnerà la vita politica della zona fino alla Prima guerra mondiale, una scenario di arte varia pieno di criticità. Ormai, i discorsi pubblici prevalenti hanno preso strade dissimili, abbandonando l’oggettività e il popolo di riferimento a favore della manipolazione ideologica fondata su miti utopistici e sull’ipocrisia di molti, al contrario del perseguimento del solo bene comune. Ma il popolo di Valenza, prevalentemente di sinistra, è pronto per un nuovo capitolo, passando negli anni a venire dal rancore alla stanchezza e, infine, alla rassegnazione.