L’eccidio della banda Lenti a Valenza
A pochi giorni dall'anniversario
VALENZA – Dall’estate del 1944 la nostra zona è stata pesantemente segnata dalla guerra ai civili e da ripetuti rastrellamenti dovuti al comando tedesco Platzkommandantur 1014 e al reparto della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR).
Ogni componente della società locale venne coinvolta; per tanti giovani si pose impellente il problema della scelta della parte da cui combattere. Ciascuno formulò una risposta che fu il risultato dei propri convincimenti, della capacità di valutare la situazione, del contesto familiare e sociale e delle aspettative per il futuro. Fu anche una scelta individuale e un fatto collettivo che alimentò una diffusa ostilità nei confronti della guerra e di chi ne sosteneva la continuità.
Il movimento partigiano fu per i tedeschi una ragguardevole minaccia militare e per i fascisti soprattutto una minaccia politica. Dalle nostre parti, per mantenere il controllo sul territorio e per isolare il moto antifascista, adoperarono la macchina della repressione attraverso operazioni di rastrellamento, da cui scaturirono effetti imprevisti, che mischiarono partigiani e civili in un unico indifferenziato processo di repressione, toccando picchi di follia. Il costo in termini di vite umane, violenze e distruzioni diventò elevato, ma comportò anche per gli aggressori un pesante costo politico e provocò rigetto e avversione nelle popolazioni colpite, tra scontentezza e rassegnazione. Perfino lo spirito comune di cittadinanza, con ipocrisia omerica, sarà posto dopo l’affiliazione ideologica e politica, fascista, liberale o marxista che fosse.
La banda Lenti fu una brigata partigiana che si costituì dopo l’8 settembre 1943 attorno alle figure eccezionali dei fratelli Agostino e Pietro Lenti e di Mario Manassero, ufficiali di complemento del Regio Esercito, che ben presto divennero un punto di riferimento e di aggregazione per una decina di ragazzi originari di Camagna Monferrato e renitenti alla leva. Era un gruppo di giovani che si opponeva alla guerra, pronto a sfidare la pena inflitta ai disertori; forse inizialmente solo per sfuggire alla chiamata alle armi dei bandi nazifascisti, ma proseguendo poi il cammino che li porterà alla lotta armata.
La banda Lenti sviluppò presenza e controllo in tutta l’area collinare fra San Salvatore, Vignale e Casale Monferrato. Organizzò una rete di punti di avvistamento e controllo degli accessi all’area. Assunse la dimensione di formazione organizzata e autonoma, vitale e vivace, fu il riferimento del dissenso e dell’offensiva anti-tedesca, confermando più volte questa prerogativa sul campo. I fascisti casalesi, perciò, iniziarono presto a meditarne la cattura.
L’arco di tempo compreso tra il novembre del 1943 e il maggio del 1944 passò in relativa tranquillità, solo nel giugno del 1944 si mise in atto la prima vera azione tesa a liberare un giovane catturato dalla milizia repubblicana: gli uomini della Banda Lenti affrontarono il pullman di linea Altavilla-Casale su cui un drappello di fascisti trasportava un giovane di Camagna, che venne liberato. L’impresa fece clamore, la gente comprese l’efficacia dell’azione partigiana: una china pericolosa e imprevedibile.
All’alba del 31 luglio, i fascisti casalesi, con 90-100 uomini e una quindicina di mezzi motorizzati, giunsero a Camagna e rastrellarono il paese. Furono perquisite le case dei Lenti, dei Manassero e di altri sospettati partigiani. L’avvenimento determinò un ridimensionamento della banda, che passò da un organico di 50 persone a uno di meno di 30.
Dopo questo avvenimento, gli interventi del gruppo s’intensificarono e stimolarono la nascita di nuovi raggruppamenti in tutte le località collinari comprese tra Casale e Valenza, dando così inizio ad una collaborazione abbastanza stretta tra le varie bande sviluppatesi sul territorio, che poi si unirono alle Brigate Matteotti attive nella zona, una formazione partigiana tra le più importanti della Resistenza in Monferrato. In un crescendo rossiniano, questi partigiani si votarono alla protezione dei raccolti, contrastando la borsa nera, tornando a far produrre il pane a un prezzo calmierato e cercando anche di salvaguardare tanti giovani renitenti alla leva.
Dopo azioni di guerriglia in cui, nell’arco di pochi mesi, riuscirono a distruggere gli elenchi dei registri annonari e quelli di leva dei Comuni di Camagna Monferrato, Cella Monte, Cuccaro, Terruggia, Rosignano, Altavilla, Vignale, Ottiglio, Frassinello e Olivola, al fine anche di evitare altre ritorsioni per la popolazione di Camagna, decisero di spostarsi da quel contesto cittadino di paese, che li aveva in qualche modo protetti fino a quel momento, alla collina, poco distante da Grazzano Badoglio, in località Madonna dei Monti, in un casolare abbandonato, la cascina Rampone, un territorio al confine tra le province di Alessandria e Asti, formalmente nel Comune di Ottiglio, adottando una tecnica di attacco più frazionata, incisiva e improvvisa.
A fine agosto, la banda Lenti diventò l’VIII Brigata Matteotti, con alla guida sempre Agostino Lenti e, come vicecomandante, Mario Manassero. Assaltò una pattuglia della Divisione Monterosa, della Brigata fascista antipartigiana, fra Roncaglia e Stevani di S.Martino Rosignano. In altre due operazioni nei primi giorni di settembre, morì un ingegnere tedesco progettista di fortificazioni e furono presi due camion con mitragliatrici.
Pur incidendo poco sull’andamento del regime e nonostante qualche insuccesso, il dinamismo della banda Lenti e il consenso dilagante fra la popolazione, sempre più oltraggiata dall’arroganza fascista e tedesca, preoccuparono i gerarchi casalesi, che si sentirono ormai più esposti e, dunque, più angosciati, poiché combattevano sapendo di aver perso. Così, nei giorni dell’ira e di una strana presunzione compatibile con il loro giustizialismo spiccio, venne preparato un intervento estremo ed esemplare di antiguerriglia per dissimulare i propri insuccessi: un fallimento storico disastroso per tutti.
Nella notte fra l’11 e il 12 settembre 1944, alcuni reparti fascisti provenienti da Casale, altri da Asti e da Alessandria, con i tedeschi della Flak, la forza antiaerea della Luftwaffe, si diressero verso il cascinale di Madonna dei Monti, dove avevano individuato in precedenza la sede operativa della banda Lenti. L’idea di un tradimento resta plausibile, poiché a volte il peggior antagonista è proprio chi si crede sia un compagno di lotta.
Nel raggio di pochi chilometri, fra le colline di Casorzo, Ottiglio e Grana, si erano nel frattempo insediate la banda Lenti, ora VIII Brigata Matteotti, la VII Brigata Matteotti, con capo Tom, e la VIII Brigata Autonoma Grana della Divisione Langhe, guidata da Tek Tek (Luigi Acuto). Quella notte, i partigiani di Tek Tek erano accampati in tenda, a 300 metri dal cascinale dei Lenti. Per quella giornata era perfino previsto l’arrivo di altri gruppi e un coordinamento operativo.
Iniziò a piovere e alcuni tedeschi sorpresero Tek Tek mentre si avvicinava al cascinale dei Lenti, ferendolo. Il capo partigiano, temerario come sempre, reagì sparando all’impazzata e riuscì a scappare fra i filari, anche se raggiunto alla schiena da un proiettile. Si fermò dopo mezzo chilometro e, nascostosi fra i cespugli, vide uscire dal cascinale tutti i componenti della Lenti con le mani alzate.
Tek Tek raggiunse la banda Tom e lì discussero sull’opportunità di contrastare i tedeschi-fascisti con un attacco subitaneo, ma, travolti dalla rabbia, ritennero che le forze in campo fossero troppo squilibrate e che sarebbe stato un inutile suicidio, lasciando interdetti alcuni valenti compagni disposti alla lotta, facendoli quasi sentire in colpa. Sconsolatamente, pensarono che i tedeschi non decretassero una fucilazione, ma che procedessero solo alla cattura e poi alla deportazione in Germania. Per molti verrà poi considerata una risposta apocrifa e crudele, che sarà in seguito via via distorta e offuscata.
In occasione dell’attacco, i tedeschi colpirono anche Rosa Berruti, figlia dell’affittuario (Pietro) di quella cascina Rampone diventata rifugio della banda; la donna fu ferita gravemente poiché si era affacciata alla finestra ad osservare quello che stava succedendo. Come ulteriore sanguinosa rappresaglia, il fratello Riccardo sarà invece catturato il giorno successivo, condotto in una vigna, ucciso con un colpo di pistola alla nuca e sepolto lungo un filare.
I partigiani della banda Lenti, dunque, furono sorpresi quasi nel sonno, alle prime luci del giorno, e non fecero in tempo a opporre resistenza; alcuni di loro erano arrivati disgraziatamente solo la sera prima.
Agostino e Piero Lenti, preoccupati della salvezza dei loro compagni, discussero con il capo degli assalitori ed ottennero la garanzia che avrebbero ucciso solo loro e catturati gli altri, salvando la vita a questi ultimi. Ma non ci fu tempo per formalizzare in qualche modo una resa leale e i nazifascisti, colmi di risentimento, ingannarono impudicamente la banda.
Caricarono i 28 partigiani su due camion e alcune autovetture e li trasportarono a Valenza, presso la sede del Kommandantur 1014. L’ingresso a Valenza avvenne intorno alle 12:30, ma, all’altezza di porta Bassignana, resosi conto che le esigue promesse strappate non erano vere, Agostino, in auto con Niko alla guida, tentò di immobilizzare i due aguzzini, un maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana e un sottotenente dei bersaglieri. Nicola Marchis (Niko) si gettò fuori dall’automobile e, bersaglio di ripetute scariche di mitra, nonostante le gravi ferite riuscì a dileguarsi, mentre Lenti non ebbe nemmeno l’opportunità di muoversi e venne subito giustiziato: il maggiore repubblichino lo freddò con una scarica di pistola alla nuca. Il partigiano Niko, fuggito dall’auto, si diresse verso il Po e, raccolto dai partigiani della 108ª Brigata Garibaldi, fu curato dal medico di Pecetto; morirà poi a Vignale, il 12 aprile 1945, in un combattimento alla vigilia della Liberazione.
Gli altri 26 componenti della banda vennero sottoposti a un farsesco processo nelle scuole Ciano di Valenza. Furono interrogati e bastonati senza scampo, con la malvagità che solo l’uomo è capace di infliggere ai suoi simili. Qualcuno nutriva ancora la speranza di essere trasferito in Germania, come deportato. Le illusioni svanirono alle 16:30 di quell’orribile 12 settembre 1944. Tutti i morituri furono condotti nello spiazzo adiacente al muro di cinta del cimitero valenzano. Furono legati sei per sei, mani dietro la schiena. Il primo gruppo fu preso di mira da un plotone di soldati austriaci, alla presenza di fascisti della GNR e delle Brigate Nere, nonché dei comandanti tedeschi Graff e Müller. I proiettili non li ferirono mortalmente, forse i tedesco-austriaci vollero risparmiare le vittime da morte certa. Intervenne, allora, per l’implacabile eliminazione, il maresciallo tedesco Müller della Kommandantur 1014, che li finì a uno a uno con colpi diretti alle tempie. Unitamente ai 27 martiri della banda Lenti, quel pomeriggio venne fucilato anche Karl Barth, disertore dell’esercito tedesco catturato a Isola Sant’Antonio.
A un centinaio di metri di distanza, molti valenzani assistettero inorriditi e impotenti al massacro. Mai lo dimenticheranno, sarà un tarlo ricorrente che stringerà il cuore come una corona di spine. Il ricordo di quel sacrificio, unitamente a quello dei valenzani caduti, diventerà sacro.