I primi anni del Duemila a Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia della Città del Gioiello
VALENZA – Il secondo millennio si chiude tra speranze, tristezze e preoccupazioni. Entrata in punta di piedi e manifestata a crescendi esponenziali, la globalizzazione è ormai gestita dal potere forte economico-finanziario sopranazionale. Il nuovo secolo sarà segnato dall’incubo e dal panico del terrorismo. Nel maggio del 2001, Berlusconi ritorna alla guida del Paese, ma il mondo del Duemila è troppo articolato per assoggettarsi a certi schemi e alle sue costumanze peroniste. Egli sarà il più amato e il più maledetto dei nostri presidenti del consiglio.
Il 16 aprile 2000, i valenzani sono chiamati alle urne per l’elezione del nuovo consiglio regionale, per il rinnovo del consiglio comunale e per lo scranno principale a Palazzo Pellizzari. Germano Tosetti punta a ottenere il secondo mandato per guidare la città. È appoggiato dai DS, dai Verdi, dai Comunisti italiani, dai Democratici e da “Per Valenza” Centro popolare riformista.
Le tre liste di centro destra (FI, AN e Forza Valenza) presentano il giovane imprenditore Luca Bariggi, già consigliere e coordinatore di Forza Italia. La Lega Nord propone l’esponente Fabio Faccaro. Qualcuno ha tagliato la corda dal suo vecchio gruppo per opportunismo, qualcun altro per presunzione e diversi hanno cambiato partito ogni volta che erano di cattivo umore. Indipendenti e dipendenti, indecisi e misteriosi, dottrinari e pretendenti, scettici. Tutti un po’ sprovveduti che, nonostante la loro azione vivace e temeraria, finiranno per rivelarsi innocui.
Come previsto, vanno al ballottaggio Tosetti (44,7%) e Bariggi (37,8%). L’elettorato valenzano ha premiato il sindaco uscente, che parte in pole position, ma nulla pare scontato. Bariggi ha buoni motivi per sperare, in quanto, nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, riesce ad ottenere l’appoggio della Fiamma, del CDU, d’Insieme e della Lega – per il rinato legame Bossi-Berlusconi – una nuova amicizia elegiaca, poco forgiata a Valenza e che risente localmente della divisione alessandrina della Calvo. Tutti alleati con quelli che un giorno prima venivano considerati come nemici. Promossi o meno a seconda delle utilità politiche del momento.
Ufficialmente, Tosetti non ha nuovi apparentamenti. Anche la vecchia alleata Rifondazione Comunista, delusa sulla soglia della camera di rianimazione, resta ancora sull’Aventino; su tanti temi, le posizioni sono talmente distanti da essere inconciliabili. Siamo al “c’eravamo tanto amati” intriso di risentimento.
Forza Italia, invece, ha stravinto alle regionali, doppiando i DS, ma il voto per il Comune, è cosa ormai nota, fa storia a sé. Infatti, Tosetti si riconferma al ballottaggio con 5.739 voti contro i 4.814 di Bariggi. Il PDS minoritario come entità politica (solo 20%) amministrerà la città. La scelta dei valenzani può essere riassunta in una sola parola: continuità.
Tosetti è sindaco di Valenza dal 1993. Ogni passaggio della sua carriera lo ha conquistato un po’ con le sue forze e un po’ aiutato dalla “spintarella” politica. C’è chi lo ritiene un freddo burocrate dalla straordinaria destrezza d’orientamento. È sempre stato molto abile nel costruirsi l’immagine domestica di politico moderno, con tempismo e varietà di toni. È bravo e, in un panorama popolato da tante mezze firme, finisce per diventarlo ancora di più. Un gallo cedrone, non un germano, che gioca con le allodole.
Con la nuova legge, già operante dal 1996, la giunta comunale è scelta dal sindaco, anche fuori del consiglio comunale, che, da organo autonomo, è ora divenuto quasi sussidiario.
Il 16 aprile 2000, anche a Bassignana hanno avuto luogo le elezioni amministrative ed è stata eletta sindaca Rosalba Pelizzari Lenti, con una lista civica.
Nel maggio del 2001, Berlusconi ritorna alla guida del Paese. Per la terza volta consecutiva, alle elezioni politiche, questa città riconferma la propria fede al Polo della Libertà e lo fa in modo chiaro. Rispetto all’ultima consultazione elettorale, quella dell’aprile del 1996, il partito che guida la coalizione, Forza Italia, accresce il numero dei suoi consensi a scapito dei suoi alleati, passando al proporzionale dai 4.580 voti (30,35%) ai 6.322 (42,60%); non è un trionfo, ma poco ci manca. Al contrario perde consensi AN, che passa dai 2.137 voti (14,6%) agli odierni 1.355 (9,13%). In netto calo è anche il mondo dei terzisti, in tendenza con il resto del Paese, e anche la Lega Nord scende a 938 voti (6,32%), circa mille in meno rispetto al 1996. Crolla il CCD-CDU, che ottiene solo 192 voti (1,29%); nel 1996, i voti erano stati 439.
Nonostante la forte flessione, i Democratici di Sinistra si confermano la seconda forza politica locale, con 2.431 voti (16,38%) contro i 3.201 (21,21%) delle precedenti politiche. Rifondazione non sfonda con 515 voti (3,47%), così come il Nuovo PSI, che si ferma a 81 voti, la Fiamma che si ferma a 100, e la lista Di Pietro che si ferma a 336 (2,26%). È un successo, invece, per Democrazia e Libertà, con 1.379 voti (9,29%). Ma ormai i partiti sono esangui, con poca identità, privi di radicamento territoriale e sulle ambiguità e le furbizie scivolano troppo facilmente. Ormai, quasi scomparsa una certa ottusità ideologica, ridicola e anacronistica, non si va a votare per pigrizia.
Passano pochi mesi e il mondo si ferma a guardare un’angosciante diretta televisiva: quella dell’11 settembre 2001 a New York, quando due aerei dirottati da terroristi si schiantano contro le Torri Gemelle, facendole crollare. Ricominciano le guerre per il mondo. Da quando esiste, il cervello umano non è mai riuscito a eliminarle; forse, servirebbe il nuovo cervello artificiale per demolire l’ostinazione di quello naturale. L’unico modo per evitare certi disastri sarebbe smettere di credere che i buoni siamo solo noi e i cattivi gli altri. Molti cristiani hanno abbandonato la chiesa ma anche la fede.
Poi, nel 2002, arriva l’Europa dell’euro, caso originale di una moneta unica nata senza unità politica, ma per volontà di un manipolo di banchieri. È una specie di torre di Babele, senza una lingua comune, senza un sentire condiviso, dove ognuno tira acqua al suo mulino. È l’Europa della burocrazia, dei troppi trattati e delle mille regole, delle frontiere aperte come invito all’immigrazione selvaggia.
Nel Comune di Valenza, è sempre più difficile far quadrare i conti. Nel 2001, i trasferimenti da parte dello Stato sono poco più di 3,6 miliardi di lire e le entrate comunali circa 10 miliardi, tra Ici, Irpef, trasferimenti dalla Regione, ecc. Alle spese contribuiscono notevolmente il personale, gli interessi passivi e il conferimento dei rifiuti in discarica. Il deficit maggiore si registra per la casa di riposo (1,6 miliardi), per gli asili (1,2 miliardi), per la biblioteca e il centro di cultura (circa 900 milioni) e per i centri sportivi (oltre 700 milioni). Municipalizzate, consorzi, cooperative all’uopo e varie continuano a bruciare risorse facendo acqua da tutte le parti. Proliferano i dipendenti, quasi tutti di comprovata fede politica, e i costosi amministratori di parte. I nostri politici lasciano sempre a casa il pallottoliere. L’amministrazione pubblica possiede il master in burocrazia, mentre per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro è rimasta alle elementari. Anche qui qualche dipendente pare addirittura in collera con il lavoro.
In economia, il momento magico di Valenza, durato quasi un secolo con uno sviluppo economico costante, sembra però quasi archiviato. Nel 2001, tra la popolazione residente ci sono 1.878 lavoratori in proprio (nel 1991 erano 2.339), 815 imprenditori e liberi professionisti (nel 1991 erano 752) e 236 coadiuvanti familiari (nel 1991 erano 361). Quasi un record d’indipendenti, più del doppio delle medie nazionali e regionali. I dipendenti residenti sono 5.757, meno di un quarto della popolazione. Nel 2001, gli occupati, residenti e non residenti, sono così suddivisi: dipendenti 8.033 (maschi 4.092, femmine 3.941) e indipendenti 3.936 (maschi 3.034, femmine 902). L’indice di occupazione a Valenza, pari a 64,1 addetti per 100 residenti, rivela, però, ancora valori nettamente superiori alla media nazionale di 33,3 addetti per 100 residenti, come pure il tasso d’industrializzazione, 39,5% contro l’11%.
Anche nell’AOV la squadra è debilitata, a causa di certi personalismi e una percepita antichità, soprattutto, per l’iter seguito alla programmazione del nuovo palazzo mostre, tanto che, nel 1999, si arriva alle dimissioni di alcuni membri dell’esecutivo e, più tardi, ben 12 consiglieri, oltre la metà, cosa che provoca cambiamenti e nuovi organigrammi nell’associazione e nelle due società AOV Service srl (dimissioni di Api) e FIN.OR.VAL. (dimissioni di Canepari) Un segnale simbolicamente forte, alla faccia dei miti fondatori, ma sul piano pratico poco efficace, per lo più immaginario, con qualche ragione e molti rischi. Poi, nell’aprile 2000, cercando di dipanare l’aggrovigliata matassa, si procede alle nuove elezioni. Il nuovo presidente per il triennio 2000-2002 è Vittorio Illario, figlio del carismatico e prestigioso Luigi.
Nel 2007, in un clima ancora confuso, hanno inizio i lavori del nuovo palazzo espositivo. Secondo l’opinione di sedicenti esperti, dall’alto del loro complesso di superiorità, il palazzo sarà la vetrina e la salvezza dell’economia valenzana. L’inaugurazione ufficiale avverrà nell’ottobre del 2008, in occasione della XXXI edizione di “Valenza Gioielli”, con intenzioni eccellenti ma risultati scadenti. Il nuovo Centro Fieristico Expo Piemonte o Palafiere, volutamente esagerato, assurdo, ma pieno di fascino, è il più grosso e inutile investimento di denaro pubblico a Valenza degli ultimi decenni. Sembra, però, un feto adulto, decomposto senza essere mai nato. Sorge su un’area di 139.000 metri quadri, una struttura con circa 8.000 metri quadri destinati all’esposizione e circa 4.000 metri quadri destinati ad attività commerciali e di servizio. Il costo finale è di una trentina di milioni di euro. Poi l’edificio verrà abbandonato, e molti saranno incerti se mettersi a ridere o il contrario.
Le piccole imprese valenzane sono sempre più gravate da costi di gestione, ormai insostenibili, e tutto ciò incide anche sul prezzo degli oggetti, che già subiscono la forte concorrenza dei prodotti fabbricati nei paesi orientali, dove i costi di manodopera sono molto bassi e sono diventati fortemente competitivi. Sono le aziende che producono oggetti di media fascia a subire maggiormente la crisi del settore. Si registrano forti cali nell’esportazione e non solo. L’industria locale orafa è ammalata di superproduzione, cioè genera più di quanto il mercato possa assorbire.
Come può un giovane pensare di intraprendere la strada di artigiano orafo? E chi lavora in proprio come può assumere qualcuno innescando una catena di obbligazioni distruttiva?
Nei primi anni del Duemila, ancora lastricati di buone intenzioni, molti valenzani portano a casa stipendi mediocri. Negli anni successivi, però, parecchi saranno cacciati dall’attività produttiva e il fenomeno è di gran lunga peggiore della vecchia situazione in cui era il figlio ad avere difficoltà d’impiego. Ci saranno presto diverse famiglie in cui il padre avrà perso e mai più ritroverà un lavoro nell’oreficeria, in cui i figli e le figlie sgualciranno un inservibile diploma e in cui molti nonni offriranno la pensione ai nipoti, che, forse, ancora più paradossalmente, non l’avranno mai. Ma, per fortuna, dopo un decennio tutto si ribalterà.
I valenzani, così, sono tagliati fuori dal benessere sempre più numerosi. Quelli più deboli, i ragazzi, sono l’emblema della precarietà e dell’incertezza, si sentono sradicati, non hanno più la prospettiva di andare a lavorare nella fabbrichetta orafa come i loro padri e i loro nonni, che avevano una certezza che non esiste più: che i loro discendenti avrebbero vissuto un’esistenza migliore della loro. Un disagio sociale poco ascoltato.
Questa è anche una storia d’orgoglio ferito, di artigiani senza santi in paradiso e senza sindacati che scioperano per loro. Però, guardando le tabelle del fisco, si scopre, secondo copione, che i negozi e i bar guadagnano come un operaio (circa 17 mila euro annui), meno le parrucchiere e le estetiste (14 mila euro), meno ancora gli ambulanti, mentre molti imprenditori lavorano in perdita e molti professionisti si barcamenano con un reddito pari a quello di un pensionato statale.
Nel 2001, la popolazione residente occupata è così distribuita: 132 nell’agricoltura, 4.926 nell’industria, 1.681 nel commercio, 110 nel trasporto, 605 nel credito-assicurazioni e 1.302 in altre attività. Il totale degli occupati è di 8.756; nel 1981 era di 9.456 e nel 1991 di 9.139.
Sempre nei primi anni del nuovo secolo, a Valenza ci sono quasi 5.000 pensionati (in tutta Italia 15 milioni), 70 ogni 100 occupati che determinano un diverso equilibrio domestico e sociale. Nel 2002, il grado d’invecchiamento della popolazione – indice di vecchiaia, ovvero il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni e il numero dei giovani fino ai 14 anni – è di 195, cioè 195 anziani ogni 100 giovani.
Nel 2003, i residenti oltre i 60 anni sono 5.738, di cui 2.374 uomini e 3.364 donne, e quelli che hanno superato i 70 anni sono 2.952, di cui 1.091 uomini e 1.861 donne, quasi il doppio dei bambini dagli 0 ai 10 anni, che sono 1.698.
Nel 2001, ci sono 131 padri soli con figli e 746 madri sole con figli. Le coppie senza figli sono 2.170 e quelle con figli 2.989. In questi anni, i maschi valenzani hanno il primo figlio dopo aver superato i 33 anni, 4 anni in più rispetto alla generazione di chi è nato negli anni Cinquanta, con tanti già incanutiti che ripudiano di accollarsi la responsabilità di una paternità, ma sono ancora molti quelli che adorano la famiglia almeno quanto detestano lo Stato. Le donne diventano madri per la prima volta a 27 anni, 3 anni più tardi della generazione precedente. Per molte, l’idea della maternità si pone in vista solo di fronte allo spettro biologico, che scandisce il tempo di una menopausa sinistramente vicina. Il fenomeno dell’uscita dal mercato del lavoro a causa dell’arrivo dei figli non è affatto scomparso.
La casa di riposo comunale sarà presto trasformata nell’istituzione denominata “L’Uspidalì”, che ne assumerà la gestione. La struttura ospita circa 150 persone, parte delle quali non autosufficienti.
In circonvallazione Ovest, sta sorgendo la Residenza Sanitaria Assistenziale per anziani non autosufficienti, che sarà inaugurata il 18 dicembre 2006. Ha una capienza di 60 posti, è opera della fondazione Valenza Anziani, costituitasi nel 1997, e avrà un costo finale di circa 10 milioni di euro.
Nel 2001, la municipalizzata diventa una società per azioni, interamente di proprietà del Comune, denominata Azienda Multiservizi Valenzana Spa. Nel 2002, verrà costituita Chiara Gaservizi Spa (nome forse inappropriato), che effettuerà la vendita del gas metano, e, nel 2003, la Valenza Reti, allo scopo di custodire e gestire le reti gas, fognature, ecc. Ma su tutte queste istituzioni è sempre l’amministrazione comunale a condurre la danza e a pagare il biglietto.
La cittadinanza locale continua a partecipare alle varie iniziative ritualistiche pro-ospedale, il che vuol dire che sono vanamente replicati cortei, comitati, raccolta firme, iniziative con i bambini, consigli aperti e chi più ne ha più ne metta. Mancano solo i Re Magi e qualche dispensatore di miracoli, anche se non scarseggiano sfumature intemperanti di carattere politico fra i protagonisti pubblici sempre animati da nobili principi e pronti per un miracolo improbabile .
Il valenzano va ad Alessandria per acquistare una cravatta, ma la tac la vuole sotto casa. È un cortocircuito periglioso, poiché gli azzeccagarbugli politici confezionano sovente opzioni populistiche avendo come obiettivo non il buon governo ma il consenso per il potere (alla gente stanno a cuore più gli ospedali che i bilanci pubblici).
Dopo una penosa interminabile opera di restauro e troppi milioni spesi, nel 2007 si rialza finalmente il sipario sul Teatro Sociale. Sempre vigente, sino ai giorni nostri, il fastidioso acufene della piscina comunale, degradata poi a pollaio, che nel nuovo millennio condizionerà non poco la “delikatessen” della politica locale.
Se negli anni Novanta la scolarità valenzana è ancora frenata, negli anni Duemila la situazione generale delle iscrizioni alle superiori si capovolge rispetto al passato: ora, la quasi totalità dei giovani valenzani prosegue gli studi dopo la media inferiore. Conseguentemente, in questi istituti emergono diversi problemi strutturali – aule, mense, strutture ricettive collettive – e d’integrazione – servizio trasporti con quello scolastico.
I figli dei titolari d’imprese non desiderano seguire le orme paterne e ambiscono a impieghi amministrativi – molti genitori valenzani conservano il cliché dei parvenu che hanno raggiunto la ricchezza, ma non lo status sociale del pezzo di carta – mentre la collettività ha necessità d’iniziative e d’intraprendenza. Le nuove generazioni offrono principalmente la disponibilità a essere mezze maniche in queste scuole o in università poco distanti. I giovani non imparano quasi nulla che serva per trovare un’attività in via d’estinzione: il lavoro.
Anche a Valenza la scuola superiore diventa un luogo comodo in cui “parcheggiare” tanti giovani in età puberale-adolescenziale in attesa o alla ricerca della prima occupazione, una sorta di ammortizzatore sociale con un rilevante costo per la collettività. I tre vecchi istituti scolastici valenzani vengono raggruppati nell’Istituto di Istruzione Superiore B. Cellini, al cui interno, quindi, troviamo le sezioni del liceo scientifico, dell’istituto tecnico commerciale e dell’ istituto statale d’arte, che poi diventerà liceo artistico.
I valenzani analfabeti sono 111 e gli alfabeti privi di titolo di studio 1.395; con licenza elementare sono 5.584, con licenza media 6.649, con diploma 4.734, con laurea 940.
Per Valenza l’annata sportiva 2000-2001 è una strepitosa ed eccezionale stagione che oggi sembra lontanissima, cui il Covid ha aggiunto addirittura una cornice che sa di preistoria. La squadra di volley femminile vince il campionato e viene promossa a quello nazionale di B1 e la Valenzana Calcio ottiene la promozione in C2. In questi primi anni del nuovo secolo la Valenza che gira di più è quindi quella sportiva. Oggi, però, proviamo anche pudore nel rimpiangere un certo passato, qualcosa che è ormai consegnato alla storia. Ma non può essere altrimenti, anche se del doman non v’è certezza.