Le singolari elezioni comunali del 1991 a Valenza
Un passo indietro dedicato alla storia politica cittadina
VALENZA – All’indomani delle elezioni comunali del 1991, più temute che attese, Valenza sale alla ribalta dei più importanti quotidiani nazionali, che commentano la travolgente affermazione della Lega con il 23.5%. Questa città sembra essere diventata l’esempio strepitoso di quello che potrebbe accadere a livello nazionale.
Sembra definitivamente crollato il mito degli orafi con la tessera comunista in tasca. L’area del disincanto si è estesa ormai anche tra i più fedeli. I valenzani sono andati alle urne in maniera massiccia, con una percentuale superiore all’80%, e hanno manifestato il loro malcontento generalizzato verso i partiti tradizionali e i vecchi arnesi della politica premiando il partito del senatore Bossi, epicentro del terremoto politico, considerato da molti il paradigma assoluto dell’egoismo e dell’insensibilità verso gli altri, quasi un’occasione di vendetta verso i vecchi politici. Roba da gastroenterite acuta.
I voti del 12 e 13 maggio 1991 sono stati dei veri e propri macigni sulla testa dei antichi partiti. Nel giro di cinque, anni più di 4.000 elettori hanno lasciato PCI, DC e Polo Laico per altre soluzioni. Sono gli stessi voti che, in questi anni, sono andati ai Verdi valenzani, una formazione diversa da quelle nazionali, e alla Lega. Di questi 4.000 e più voti, 2.075 li ha persi il PCI (ora PDS), 1.077 il Polo Laico (PSI, PSDI, PRI e PLI), 307 il MSI e 575 la DC. Il pentapartito (DC più Polo Laico), che governava in Comune da cinque anni, è passato dai 7.897 ai 6.245 voti, 1.652 voti in meno. I votanti sono rimasti più o meno gli stessi: 16.034 nel 1991 e 16.075 nel 1985.
In queste elezioni comunali, l’infante PDS ex PCI subisce una sberla, perdendo 4 seggi (28,85%); la consueta DC contiene la perdita a un seggio (26,99%); il “modernista” Polo Laico Socialista esce con le ossa rotte, perdendo per strada un terzo della sua forza, poiché passa dai 6 ai 4 seggi (13,91%), all’interno si sono puntellati a vicenda, ciascuno per attestare la propria esistenza in vita; soddisfatti i Verdi con un seggio e nessun camerata da rimandare nelle fogne. Un bel quadretto, capire è difficile, litigare facilissimo: è in corso un processo di disintegrazione, prendendo lucciole per lanterne.
In queste elezioni, Valenza vive una vicenda politica stramba e complicata, rischiando di piombare nel marasma. Escludendo gli ultimi anni, è stata quasi sempre governata dai comunisti, una forza che in città raggiungeva percentuali altissime. Un giorno, però, si accorge di essere diventata diversa, con una metamorfosi la cui spiegazione non è mai del tutto convincente e facile. Si è addormentata costituzionalista e si è svegliata leghista. Si è scatenato un putiferio. Tutto quello che esisteva è diventato una maionese impazzita e non si capiscono più le geografie. In questa baraonda pluricromatica, la definizione più confacente è la seguente: un casino totale.
Pochi giorni prima del voto, in molti si sono stupiti dello straordinario concorso di gente al comizio di Bossi e meravigliati perché, in fondo, quel Bossi, atteso con scetticismo e sufficienza, “ insomma, qualcosa di sensato ha saputo dirlo” e “insomma, proprio tutti i torti non li ha”. Difficile capire chi stesse con chi e per che cosa. E, puntualmente, i timori dei partiti si sono avverati: il fantasma del voto di protesta contro il loro sistema ramificato in tutte le istituzioni, in tutti i gangli socio economici della nazione, si è manifestato in dimensioni forse ancora superiori alle più pessimistiche previsioni di quelli che dopo sapevano tutto prima.
Al politburo valenzano, in via Melgara, si consultano i libri di storia, gli annali, i giornali dell’epoca e, infine, arriva la notizia confortante e liberatoria: il PDS, cioè l’ex PCI, ha recuperato voti rispetto alle elezioni del 1921 (9%). I volti cupi, tesi, che fino a pochi minuti prima avevano inondato il Valentia, si rasserenano come per incanto.
Al circolo Libertas, in via Cavallotti, non si ride e non si piange, perché la parola d’ordine è di non sbilanciarsi. Da una parte, c’è chi azzarda la riproposizione del pentapartito e fa questi semplicissimi calcoli: 9 baciapile + 4 polli laici-socialisti frustrati + un grigioverde + un rosso annacquato e un transfuga della Lega per un totale di 16 consiglieri, cioè la maggioranza necessaria per governare assediata come il generale Custer a Little Bighorn. Qualcun altro, invece, sostiene timidamente che bisognerà fare alleanza con il PDS, ma nei primi giorni queste supposizioni gesuitiche di cerchiobottismo fanno parte della fantapolitica e in casa democristiana la fantasia al potere è vista con sospetto. Gli altri con allegro spirito democratico non hanno idea di dove andare a sbattere la testa, sono molto vicini alla dissoluzione per irrilevanza.
Ma la vera apoteosi, il pathos, avviene in viale Santuario, nella sede della Lega, diventata troppo piccola per contenere tanto tripudio e tanto giubilo. Qui, infatti, è un andare e venire di gente commossa con stupore infantile, di giornalisti, di telecamere, un’orgia di abbracci, di congratulazioni, di pacche sulle spalle. Per l’occasione, viene trasportato sul posto un carroccio, simbolo della Lega, e, sopra di questo, un banchetto da orefice, simbolo di Valenza. Vengono intonati canti in dialetto valenzano, ma, quando si scopre che il compositore è un noto esponente del PDS, la baldoria viene sospesa per dare spazio a più profonde e proficue valutazioni politiche. Quali saranno i programmi della Lega per amministrare Valenza? Ora è difficile capirlo, nonostante i fiumi di parole, di interviste e di comizi che sono stati propinati. Sembra, ma in questo caso il condizionale è d’obbligo, che verrà chiesto che Valenza diventi zona franca (abolizione dell’IVA e di tutti gli altri balzelli che soffocano l’economia valenzana) e che, al posto dei negozi di gioielli, sorgano punti vendita spontanei in cui i valenzani possano vendere i loro prodotti artigianali frutto della loro creatività e manualità, cioè una cosa un sacco bella e un sacco interessante.
Non è la prima volta che la città dell’oro si trova in difficoltà per la formazione di una maggioranza. Già negli anni Sessanta si era dovuto andare alle urne per ben tre anni consecutivi, con abiure e pentimenti, e si era reso necessario l’intervento di un commissario prefettizio. Da un quasi monocolore comunista si era passati all’alleanza di sinistra tra PCI e PSI e poi alla giunta di penta partito (o quadripartito), fino ad arrivare, ora, alla necessità di una nuova alleanza o di una maggioranza di “unità nazionale”, ma, con allegro spirito democratico, a proprio capriccio e a proprio vantaggio.
Le alternative sembrano essere solo due: l’alleanza tra PDS e DC (18 consiglieri) o una giunta unitaria, comprendente anche socialisti e laici, e con Verdi e Lega all’opposizione, come hanno tra l’altro dichiarato a caldo alcuni esponenti del partito che ha stravinto a Valenza.
Tre penurie non dovrebbero confezionare fortuna, ma DC e PDS, dissimulando un tonfo in un trionfo, ben presto escogitano qualcosa di nuovo e una sorprendente alchimia che porta alla divisione delle poltrone e, per parecchi, anche alla lottizzazione delle coscienze. Mai vista una conversione più rapida. Questa sì che è solidarietà, sorprendente e sospetta. Nessuno dei due ha intenzione di riporre la testa sul ceppo per farsela tagliare e, così, producono la mutazione, forse anche coraggiosa, cancellando quello spartiacque ideologico tra due mondi intesi da molti come il regno del Bene e il regno del Male.
A seguito del lavoro di qualche autorevole tessitore di alta scuola democristiana, il 3 luglio 1991 viene ufficializzata l’alleanza innaturale: ex comunisti e democristiani. Il copione è scritto: per i primi due anni e mezzo è eletto sindaco Mario Manenti (1930-2015). È il primo sindaco democristiano della città e un monopolizzatore di preferenze. Non si capisce se sia in odore di santità o di scomunica. Nella sua lunga militanza politica, ha ricoperto svariate cariche. È un vero democristiano: lo è nel cuore prima ancora che nella politica. Manenti scadrà come uno yogurt e, dopo, sarà sostituito nell’incarico da Germano Tosetti, vice sindaco e assessore al bilancio nel primo scorcio. È nato nel 1944 ed è un esponente comunista dall’adolescenza. Sarà sindaco dal 1993 al 2005.
Questi sono uomini di partito, furbi e cinici a sufficienza, due “monumenti sacri” che mangiano pane e politica sin dallo svezzamento e che hanno il carisma e la competenza per condurre la città in modo innovativo. Ora sono portati in trionfo anche da chi li ha odiati per decenni. Però se analizziamo gli eletti delle due fazioni, vediamo che la DC possiede dei grandi raccoglitori di consenso e dei fini mediatori politici. Il PDS, invece, presenta dei vecchi volponi della politica, che, per le carenze della controparte, finiranno per occupare i posti che contano, mentre le nuove leve provengono da un’area politica tutt’altro che moderata.
Infine, a Valenza sorge una domanda tra l’ironico e l’affettuoso: come potrà il paladino dell’anticomunismo valenzano andare a guidare una giunta composta da persone che, quando prendevano la parola in consiglio comunale, gli procuravano un travaso di bile?
Diversi esponenti sconfitti nelle urne ma incapaci di farsi da parte si baciano e si abbracciano, si cercano e si lusingano per l’ideale o per spirito di servizio, con rigorosa fedeltà alla nuova linea di fratellanza. Ieri, invece, era tutto un offendersi e un insultarsi. Sarà che l’essere comici è una peculiarità spesso premiata o sarà che, quando si è disperati, si diventa involontariamente comici, ma senza le pulsioni antidemocratiche e il surrealismo involontario che vediamo oggi. Fatto sta che, a Valenza, si avvera un’anomala vicenda capace di lacerare il precedente quadro politico, con amori sorgivi, veri e presunti, ma che diventeranno la normalità nello scenario futuro di questo Paese. Questo è un caso, con vanteria incorporata, che farà scuola per capire il realismo e il pragmatismo della politica futura, anticipando con più di vent’anni la svolta clericale della sinistra italiana: il passaggio dalla vecchia falce e martello all’ulivo con margherita.
Cronache sgarbate e poco serie di altri tempi quando nessuno meritava di perdere, ma nemmeno di vincere.