Sie, un impegno senza confini
L'associazione di Alessandria, tra Bosnia, Eritrea e... Valenza
ALESSANDRIA – Tutto cominciò al porto di Ancona dove si trovarono per caso Marco Santi e Paolo Ferrero. Il primo stava andando in Bosnia, portando aiuti con un furgone recuperato a Fubine; il secondo si imbarcava per la sua ennesima missione umanitaria nei Balcani, promossa da un gruppo del suo paese (Lu Monferrato) che stava sostenendo un sacerdote della diocesi di Casale, prodigo nei confronti di famiglie bosniache martoriate dalla guerra del 1991.
L’esperienza dell’associazione Sie, acronimo che sta per Solidarietà internazionale ed emergenze, nacque in attesa di un traghetto.
Era fine dicembre 1995. La Sie è attiva da allora, con la Bosnia come riferimento. E, a seguire, l’Eritrea.
Santi è stato il primo presidente, Ferrero il secondo. Poi è toccato a Francesca Bravi che ha passato il testimone a Claudio Vescovo, tuttora in carica.
Francesca, il motore
Francesca resta il motore di un gruppo che non si scoraggia. A fine anno, prima la trasferta in Bosnia (l’ultima era stata nel 2019, poi arrivò la pandemia…), dopo quella a Roma per incontrare le suore di Sant’Anna che hanno una missione in Eritrea, «dove la situazione è disastrosa e nessuno ne parla». In mezzo, visite alle scuole alessandrine Ferrero, Sabin, Zanzi e Campi, per regalare libri ai bambini (dalla Campi hanno ricambiato donando fiori di carta, consegnati poi ai loro coetanei bosniaci). Il tutto senza dimenticare l’attività ordinaria, fatta di sostegno a chi è in difficoltà, borse lavoro, opportunità di reinserimento offerte a persone svantaggiate, attivazione del laboratorio di cucito e la continua collaborazione con la Caritas. Senza dimenticare il progetto “Il recupero dell’anima” che ha per base Valenza: molto quel che viene buttato in discarica (mobili, sedie…) trova nuova vita.
Pap test, lo sconosciuto
La recente missione in Bosnia è servita a incontrare i referenti dell’associazione Anima, interlocutori della Sie, ma anche i medici dell’ospedale di Donji Vakuf dove è finanziata una campagna di prevenzione a beneficio di donne che mai si sono sottoposte a un pap test.
E poi sono state confermati i contributi per quei ragazzi che, usciti dai progetti di adozione, vogliono studiare e lo fanno con profitto. Solo così possono guardare al futuro con la speranza di vivere una vita dignitosa ma di sostenere anche la propria famiglia, che soffre ancora degli strascichi lasciati da una guerra mandata in archivio trent’anni fa, ma solo in teoria.
Il gemellaggio
E poiché bisogna guardare avanti, si sta ragionando su un gemellaggio tra Lu e Donji Vakuf, località a due ore e mezza d’auto da Sarajevo. Qui risiedono molti dei bambini adottati a distanza dalla Sie ed è avviato un noccioleto di duemila piante. Il gemellaggio ha senso perché da Lu è partito questo moto di generosità e perché i tecnici del consorzio luese Corilu stanno aiutando agronomi locali a coltivare nocciole, che potrebbero diventare un business importante in una zona che ha fame di opportunità di lavoro.