Lo smartphone come nuovo specchio
La ricerca del selfie perfetto può comportare l'interiorizzazione di un rischioso falso sé perché la realtà non somiglia mai a un filtro. Il parere delle psicologhe
In modo più o meno invasivo i social network hanno cambiato il modo di interpretare il nostro quotidiano: questo cambiamento lo portiamo direttamente in tasca e ha la dimensione di uno smartphone.
Possiede un potere reticolare che intercetta sfere profonde dell’animo umano e non è più una curiosa panoramica sul mondo, un divertissement, in questi anni è cambiato anche il modo in cui ci guardiamo allo specchio, è mutata l’attitudine all’auto narrazione di sé, un bisogno innato che si lega all’essere e all’esser-ci per dirla alla maniera dei filosofi, ma che oggi si è trasformato in un bisogno di auto fiction esasperato, in cui nulla è davvero reale, c’è sempre un filtro di mezzo.
Dobbiamo corrispondere al miglior profilo possibile su Instagram, Facebook (ovvero Meta), Twitter, TikTok, ma che ripercussioni ha tutto questo? Il narcisismo si trasforma in frustrazione, la forma o il volume di un labbro in ossessione, bisogna catturare lo scorcio migliore, il locale in palette.
Un dato? Un sondaggio condotto a fine 2020 dall’organizzazione inglese “Girlguiding” ha rilevato che il 39% degli utenti si sente “infastidito” dal non apparire nella vita reale come nelle foto ritoccate tramite i filtri messi a disposizione dalle piattaforme.
Lo smartphone è il nuovo specchio, si cerca sullo schermo il riflesso di ciò che vorremmo essere, ma la realtà aumentata rischia di trasformarsi in una realtà falsata piena di rischi, in agguato ci sono l’insicurezza, l’inadeguatezza e una serie di trasformazioni che possono mettere a rischio la salute mentale di ognuno, in particolar modo i giovani.
In cerca di una soggettività
Dott.ssa Sara Angeleri
La psicologa Sara Angeleri spiega il fenomeno in questi termini “Per quel che riguarda i teenager, la percentuale di iscritti a una piattaforma come TikTok è oggi altissima, questo social in particolare è un mondo virtuale fatto di eccessi, lì si possono creare delle realtà virtuali immaginarie. Il fatto è che il sé, nei giovanissimi, si costruisce con le figure primarie di riferimento per poi strutturarsi attraverso feedback relazionali interattivi, reali. Nel mondo del selfie e dei profili social, questi feedback sono completamente autoreferenziali, manca lo sguardo autentico dell’altro e rischia di costruire un pericoloso “falso sé”, disancorato dalla realtà. I like non sono sguardi, perché sono rinforzi falsati da premesse irreali, ritoccate, e rinforzeranno questo falso sé a lungo andare.
In questo mondo parallelo c’è spazio solo per l’accettato e l’accettabile. Nel momento del confronto in presenza, quindi dal vero, il rischio è quello di non riuscire più a riconoscersi nella propria identità reale e qui nasce il disagio”.
La Dott.ssa Angeleri pone infine una domanda “Questo stare continuamente sui social è una fuga o un rifugio? Bisogna lavorare sui vuoti, i genitori sono chiamati a non sottrarsi”.
Genitori e figli
La riflessione non può che inglobare dunque anche il ruolo degli adulti, in particolar modo i genitori , che si trovano oggi a dover far fronte a una serie di necessità nuove da parte dei figli: dall’ultimo modello di smartphone al ritocco dal chirurgo per assomigliare al filtro preferito.
Dott.ssa Elisa Domanico
“L’adolescenza è una finestra temporale in cui si definisce l’immagine che si ha di sé – spiega la Dott.ssa Elisa Domanico, psicologa – L’auto narrazione dà senso alla nostra realtà ma oggi attraverso la fotocamera dei social esiste un’immediatezza dell’esperienza della propria immagine grazie alla realtà aumentata. Il ritocco nella moda, sulle riviste, è sempre esistito, le modelle degli anni Novanta apparivano già modificate, oggi quelle app e quelle modifiche sono diventate accessibili a tutti. I filtri modificano la persona, ci si vede meglio in qualche modo, più belli, più in linea con un canone irrealizzabile, così cambiamo i volumi della nostra fisionomia e quando il disagio si radica spesso si ricorre anche alla chirurgia estetica, è il fenomeno della Selfie-dismorfia, non ci si riconosce, si genera una forte discrepanza fra realtà e finzione. I genitori non devono minimizzare il disagio dei figli, la vulnerabilità va riconosciuta, per non acuirla. La pandemia non ha aiutato ma è importante investire in attività socializzanti sane e autentiche”.
Eppure l’estetica dell’apparire, il dover essere belli e senza imperfezioni, sembra essere una priorità quasi assoluta sui social, elemento fondante per avere più like, più follower e quindi più approvazione. L’auto narrazione procede foto dopo foto, storia dopo storia, il bisogno di mostrare genera un attaccamento istantaneo a prodotti come stile di vita, luoghi e situazioni dalla durata di un flash, al massimo 15 secondi di storia, purché tutto sia patinato, ai limiti dell’invidiabile.
Dott.ssa Emanuela Serafino
Secondo la psicologa Emauela Serafino “Il focus è più che mai il corpo, tra elemento morale e involucro da filtrare – spiega la dottoressa – C’è un bisogno enorme e narcisistico di adeguarsi a canoni estetici attinenti al pop o ai limiti del cartoonesco, che poco hanno a che vedere con la fotografia e con la realtà di un viso. Questa tipologia di cultura trasforma il gusto delle persone, ma l’impatto con la realtà è poi complesso. Tutto si gioca su un livello che oscilla tra frustrazione e gratificazione, ma l’interiorità sembra scollata dal corpo in queste situazioni. Non essere considerati belli, una foto venuta male, un profilo social inadeguato, provoca un crollo nell’autostima e dunque serve sempre uno schermo e un filtro in più per ritrovare una gratificazione sempre più necessaria.
Il non essere conformi ha poi prodotto gravi episodi legati al body-shaming o al bullismo. Servono strumenti critici per ripensare la realtà e la propria immagine, l’appiattimento verso ideali di perfezione irrealizzabili crea disagi gravi, instaurare relazioni off-line è diventato più complicato per i giovanissimi, richiedono impegno a differenza dello schermo” conclude Emanuela.
L’orizzonte del possibile
Le piattaforme social esistono, servono addirittura a vendere e spesso somigliano a un infinito spot pubblicitario grazie agli influencer: non vanno escluse dal presente e si evolveranno ancora, ciò che conta è disambiguare, narrare se stessi senza finire per narrare qualcun altro.
Su questo grande palco chiamato web servono dunque creatività, indipendenza e una narrazione in grado di includere anche il difetto, sviluppare una visione più fluida e comprensiva della propria esteriorità, perché se il filtro adula, lo specchio e la quotidianità non mentono mai.