Dalla Valenza ligure a quella romana
Un nuovo approfondimento storico del professor Maggiora
VALENZA – La nostra zona inscritta alla tribù Pollia, ormai popolata da gruppi amalgamati di Celti e Liguri (Galli cisalpini), cade in mano ai nuovi conquistatori Romani verso l’anno 222 a.C. quando i Galli (tribù Insubri e Gesati) del nostro territorio sono sconfitti a Clastidium (Casteggio) e sottomessi. Poco dopo, le azioni belliche condotte dal console romano Gneo Cornelio Scipione Calvo insieme a Marco Claudio Marcello, si concludono con la presa della capitale insubre Medhelan (Mediolanum-Milano), ponendo fine per sempre alla lunga guerra di colonizzazione, per sottomettere l’Italia al loro dominio, una causa non troppo nobile ai nostri tempi.
A Roma questa regione è descritta da reduci e mercanti come una terra inospitale, fredda e selvaggia, cosparsa da lande deserte e foreste impenetrabili e abitata da gente testarda e astiosa. La vittoria delle legioni romane invece di arrecare pace, apre un nuovo capitolo di lutti e prepotenze per le nostre terre.
L’audace e invincibile cartaginese Annibale, pieno d’odio verso Roma, dopo un tormentato viaggio durato cinque mesi, nel 218 a.C. arriva in Italia dal Monginevro (pare) e si muove lungo la valle del Po. Le nostre genti si ribellano agli occupanti romani e si uniscono, insieme a molti altri popoli celtici cisalpini, all’esercito cartaginese, a cui forniscono notevoli risorse e uomini. Stringendosi il cappio intorno al collo, purtroppo divideranno con essi anche le sorti finali; perché, anche in quei tempi, com’è facile salire su un altare si fa ugualmente in fretta a finire sul patibolo.
Un primo scontro tra l’esercito punico e quello romano (entrambi con ragguardevoli contingenti gallici) avviene dalle nostre parti sul confine dell’adiacente Lomellina. Poi, nel novembre 218 a.C., i Romani, guidati dal console Publio Cornelio Scipione, sono sconfitti lungo il Ticino e a Piacenza e sono costretti ad abbandonare completamente la nostra zona, sottomessa a loro da poco tempo.
Dopo avere reso sicura la sua posizione, Annibale colloca le sue truppe per l’inverno fra i popoli nostrani, la cui abnegazione per la sua causa comincia ben presto a calare a causa dei costi di mantenimento dell’esercito invasore, composto da molte migliaia d’uomini. Il condottiero permane sino alla primavera del 217 a.C., quando decide di trovare una base per operazioni più protette a sud. Con le sue milizie, e l’unico elefante (Surus) sopravvissuto all’inverno, supera l’Appennino.
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Del passaggio di Annibale dalle nostre parti sono stati trovati segni concreti nell’area compresa fra Valenza e Casale Monferrato; qui, in un campo nei pressi di Frassineto Po, sono venute accidentalmente alla luce zanne d’elefante e resti ossei che gli esperti hanno ritenuto appartenenti al tempo in cui si svolsero gli eventi bellici in questione.
Più tardi, sconfitto Annibale e rasa al suolo Cartagine (202 a.C.), gli arroganti e cinici Romani volgono nuovamente le armi contro i ribelli “traditori” liguri e galli-celtici, compresi quelli collocati nella nostra area, nei quali il sentimento iniziale di invidia e di riscatto si è trasformato in rancore e odio, fatto che nocerà alla loro causa.
Siamo di fronte a una guerra sistematica, lunga e degenerata. E’ peculiare la resistenza delle tribù liguri a sud dell’alessandrino, che si difendono ferocemente (Carystum, oggi Acqui Terme, centro principale della tribù ligure degli Statielli è completamente distrutto) finché alla fine, sconfitte e disperate, chinano il capo e accettano il dominio romano. Questa guerra dalle nefandezze infinite si combatte dal 193 a.C. al 155 a.C. e si conclude con un’ultima vittoria delle legioni romane guidate dal console Marco Claudio Marcello.
Probabilmente, in questa fase bellica caotica il nostro agglomerato assume il nome Valentia (Forum Fulvi quod Valentinum si credeva, erroneamente, un tempo) dal magistrato e proconsole Marco Fulvio Nobiliore – occupante il nostro territorio ligure-celtico nel 158 a.C.- e sempre presumibilmente si evolverà dopo la guerra sociale del 91-88 a.C. in Municipia (comunità legata a Roma con un certo grado d’autonomia, ma con abitanti ancora privi dei diritti politici goduti dai cittadini romani). Oltre a essere un luogo di mercato e di amministrazione, è anche un importante punto fortificato e una straordinaria occasione di crescita. Sicuramente diventa presto una Castrum, vale a dire un accampamento militare aperto difeso da un fossato, messo a controllo del passaggio sul Po e un preludio alla colonia militare. Per la posizione geografica rivestirà un ruolo primario quale baluardo di frontiera a difesa del Po.
Si è anche ipotizzato che vi fossero due municipia romani denominati Forum Fulvi quod Valentinum, uno a Villa del Foro (Alessandria) e uno a Valenza, e una fondazione più tardiva di Valentia legata alla colonia romana di Derthona, intorno al 120 a.C. L’argomento “ex silentio” non può considerarsi definitivo.
Valentia è un nome parecchio frequente nel vasto territorio romano; secondo la terminologia antica, esso indica un luogo energico, valoroso e di rilevante interesse militare.
Purtroppo, inizialmente prevalgono da parte romana iniziative federative tese al controllo delle tribù autoctone della nostra zona attraverso la stipulazione di patti (foedera) che dovrebbero garantire senza conflitti l’egemonia romana. Invece, non tutto si svolge pacificamente, ci sono numerosi episodi di resistenza indigena repressi violentemente dai Romani con massacri e deportazioni, che fanno emergere il peggio.
La definitiva sconfitta della popolazione ligure-gallica apre infine una parentesi di pace. I Romani, ormai sicuri di avere il pieno possesso del territorio, danno inizio a un’opera di colonizzazione, seguendo la tradizionale politica “d’unione e tolleranza” verso i popoli oppressi, disprezzati e considerati “antecedenti inferiori”. Fondano nuovi e strutturati centri abitati (tra cui Valentia) e costruiscono numerose strade con lo scopo principale di permettere alle proprie truppe agevoli spostamenti, assicurando a loro i necessari approvvigionamenti. Infine disseminano lungo queste arterie un numero notevole di piccoli fortini all’interno dei quali è possibile procedere al cambio dei cavalli o sostare al riparo dalle intemperie. Fra questi avamposti ci sono: Pecetto di Valenza, Mugarone e Rivarone.
Tra le strade tracciate in questo periodo romano che hanno influito sullo sviluppo economico della nostra città bisogna ricordare quella di là dal Po che da Pavia, toccando Lomello, sfiorava Valenza, dove passava un allacciamento con la via Fulvia (realizzata nel 125 a.C. collegava Tortona con Torino). Tratti d’arteria sono stati rinvenuti nei pressi della Stazione Ferroviaria di Valenza e ai Pellizzari. In zona, nei pressi della villa Groppella e al bivio di Villabella, sono stati trovati armi, macine, vasellame, tegoloni per sepolcreti e una tomba che confermano sia esistita una necropoli in tempi antichi. Questi ritrovamenti suscitano alcuni interrogativi giacché evidenziano la presenza di piccoli nuclei urbani e non di un unico centro entro il quale si sarebbe svolta gran parte della vita degli abitanti di Valentia all’epoca che esaminiamo. Si ipotizzano anche due nuclei urbani: la Forum Fulvii e la fortezza (Oppidum).
Nel 125 a.C. il console Marco Fulvio Flacco, costruttore della via Fulvia e sostenitore degli ambiziosi progetti di riforma fondiaria dei Gracchi, favorisce e promuove l’insediamento di coloni centro-italici in questo territorio, spianando la strada a ulteriori incidenti e riottosità.
Dopo qualche anno, i dimoranti e le forze militari stanziate a Valentia sono coinvolti nella famosa Battaglia dei Campi Raudii, combattuta nel 101 a.C., fra l’esercito della Repubblica Romana, comandato dal console Caio Mario, ed un forte corpo di spedizione composto di tribù germaniche di Cimbri, in una zona a nord di Valentia alla confluenza del Sesia con il Po (nello stesso luogo in cui Annibale aveva combattuto la sua prima battaglia sul suolo italiano), limitrofa all’insediamento cimbro di Vercellae (Vercelli). I Cimbri sono totalmente sterminati – con più di 140.000 morti e 60.000 prigionieri, compresi moltissimi bambini e donne. Ma in questa terribile vicenda non tutti i vinti muoiono per mano romana: molti dei Cimbri sconfitti si uccidono l’un l’altro pur di non cadere nelle mani dei Romani, e parecchie delle donne che come loro tradizione hanno partecipato al combattimento tolgono la vita ai loro figli e s’impiccano ai carri posizionati ai bordi del campo di battaglia. Resta incertezza sul luogo, questa è la ricostruzione offerta da Plutarco. Come ricompensa per il loro prezioso e coraggioso servizio, Mario concede la cittadinanza romana ai guerrieri nostrani alleati.
Tuttavia, sulla soglia del I secolo a. C. siamo ancora distanti da una ristrutturazione territoriale e da una salda sistemazione amministrativa della nostra zona.
Riguardo alla vita mercantile, scorrendo un capitolo di uno scritto di qualche anno dopo di Plinio il Vecchio, dedicato ai luoghi che costeggiavano le rive del Po, si può facilmente apprendere l’importanza commerciale della Valentia romana, che da munito centro militare si è presto trasformato nel maggiore centro di collegamento con la riva sinistra del grande corso d’acqua. A questo proposito, Plinio narra le fatiche dei contadini che all’alba partivano dai luoghi d’origine per giungere dopo ore di viaggio nei pressi del porto valenzano e qui “lunga era l’attesa per essere trasbordati perché tanto era il traffico fra l’una e l’altra sponda”.
Una notizia particolare si desume nel paragrafo riservato alla religione valenzana. Plinio afferma che da queste parti era molto vivo il culto del Dio Urano, in onore del quale erano sacrificati animali. Inoltre presso il suo tempio vi era l’uso di gettare monete e monili in un pozzo allo scopo di propiziarsi la sua benevolenza. Una traccia molto approssimativa, ma significativa della venerazione del Dio Urano si può rintracciare nella zona della tenuta Voglina (sita lungo la strada Valenza-Alessandria) in un tempo lontano denominata Aurano e, pur non potendo asserire che il tempio alla divinità era collocato lì, vi è senz’altro una certa coincidenza. Dopotutto l’idea che ci affascina di più è che le certezze immutabili non sono di questo mondo, mai davvero limpido.