I podestà e i sindaci di Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia cittadina
VALENZA – Fin da tempi antichi Valenza sceglieva ogni anno un gruppo d’anziani per amministrare la città, ma è nel XII secolo che si dà vita ad un’iniziale autentica forma di governo comunale: quella consolare. Nel 1232 il diploma imperiale di Federico II concede a Valenza di avere suoi rettori (o consoli); è la prima struttura istituzionale d’ordinamento amministrativo locale. Rapidamente si afferma la figura politica del podestà (quasi un dittatore a termine) il quale si sostituisce a quella del Consiglio dei consoli. Tale carica, contrariamente a quella di console, può essere ricoperta da una persona non appartenente alla città che va a governare, è eletto dalla maggiore assemblea del Comune (il Consiglio generale) e dura in carica da sei mesi ad un anno.
Nel breve periodo di dominazione (1447-1454), Ludovico di Savoia concede a Valenza di eleggere ogni anno tre nobili al governo della città (uno di questi se lo sceglie lui); al loro fianco agisce il Consiglio locale dei Sapienti.
Valenza ritorna agli Sforza che nominano per più di due secoli dei signori feudatari i quali incaricano a capo dell’amministrazione cittadina un podestà o pretore, non certo sopra le parti, con l’approvazione puramente formale del Consiglio cittadino. Nessuno di loro farà prodigi. Per dimostrare ai cittadini che non sono messi da parte, gli statuti di Valenza del 1584 indicano ben 54 famiglie (agiate e in vista) che sono tenute a fornire 87 consiglieri per il Consiglio Generale del Comune.
Questi i Podestà di Valenza, dagli antichi statuti del 1397, un’appartenenza al Ducato di Milano che dura ben quattro secoli (1370-1707) sino al nuovo Regno di Sardegna del Settecento: 1397, Ottobono Salimbeni-1403, Antonio Bossi-1450, Bartolomeo Porro-1454, Giovanni Aimi-1456, Gerardo Colli-1458, Benedetto Corte-1460 Giovanni Aimi / P. P. Oliati-1462 Giorgio Pescarolo-1464 Pietro Fieschi-1466 Calcino Tornelli-1468,Tomero Trovamala / G. Caimi-1470, Pietro Torti / S. Ricci-1476, Quinteri Bassano da Lodi-1478, G. G. Cocconato / F. Langosco-1484, Pietro Andrea Inviziati-1496, Giovanni Tommaso Ghiaini-1497, Giovanni Tornielli di Parona-1502, G.B. Sannazzaro-1508, Agostino Caroli-1514, Battistino Bescapè-1516, Giovannone Reina / Mandriano-1518, Giovanni Andrea Cane-1520, Marco Cattaneo-1530, Giovanni Giacomo Acerbi-1532, Giacomo Grassi-1533, Stefano Paterino-1535, G.B. Arnoldi-1537, Pietro Reda-1540, Galeazzo Gallo-1541, Ottone Guasco-1543, Giovanni Maria de Ponticelli-1544, Massimiliano Pietrobono-1546, Carlo Malopera-1548, Mauro Rognone-1550, Bartolomeo Dagna-1552, Bernardo Cornilia-1554, G.B. Quadrio-1556, Stefano Cotta-1557, Stefano Cortellia-1560, Carlo della Sala-1562, G.B. Lova-1564, G.B. Bruno / G. Omacino-1566, Domenico Brusotto-1568, Andrea Picco-1570, Tommaso Capanna-1572, G.B. Castiglione-1573, Giovanni Pietro Spinola-1574, Agostino D. –Squarzafico-1576, Tommaso Capanna-1578, Andronico Piccio-1580, Francesco Masano-1582, Maurizio Brusati-1584, Andrea Marengo-1586, Giovanni Francesco Prati—1588, Cassio Caccia-1590, Giovanni Maria Ferrari-1592, Ottavio Arnolfi-1594, G.B. Carminati-1596, Giovanni Pietro Rosignoli-1598, Ercole Rosignoli-1600, G.B. Oliati-1602, Ercole Rosignoli-1604, Giovanni Maria Oliati-1606, Gerolamo Torelli-1608, Pirro Gattinara-1610, Giovanni Tosi-1612, Giovanni Andrea Torti-1616, Carlo Boidi-1622, Cesare Ferrari-1626, Sinibaldo Boidi-1628, Antonio Luigi Bianchi-1630, Giovanni Luigi Buzzone-1632, Antonio Luigi Bianchi-1634, Virginio Rocci-1638, Pietro Gamondio-1648, Lodovico Gambarano-1650, Francesco Burgario-1652, Carlo Francesco Uzardi-1656, Gabriele Mantelli-1658, Grassi Polati-1660, Giuseppe Tremoli-1662, Antonio Medici-1670, Francesco Villegas-1674, Canefri-1676, Bartolomeo Forti-1682, Orazio Pernigotti-1690, Biagio Aulari-1693, Gaspare Giuseppe Annibaldi-1697, Claro Antonio Calvino-1698, Giovanni Francesco Ribocchi-1700, Molo Bassano-1702, Tommaso Arcecabrera-1706, Giacomo Maria Arrigoni.
Cambia tutto con i Savoia e dal 1775 l’Amministrazione comunale è formata da un sindaco (il più anziano di elezione) e sei amministratori (consiglieri). Poi a fine secolo arrivano i francesi, freschi di rivoluzione.
Il dominio napoleonico introduce in Italia un impianto di poteri locali piramidale-gerarchico che riflette quello francese: il territorio è ripartito in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni. La pubblica amministrazione dei dipartimenti è confidata ai prefetti. I Comuni sono amministrati dalle Municipalità. I due condottieri dell’ordinamento locale sono quindi il prefetto e il podestà-sindaco. Quest’ultimo svolge nella Municipalità un duplice ruolo, sia quale capo di un’autorità locale che quella di funzionario del governo.
A Valenza (che nel 1801 conta 5.424 abitanti di cui 3.800 in città, il resto a Monte e nella campagna) i sindaci del periodo con simpatie napoleoniche, o meglio “Maire” alla francese, sono Tommaso Ricchini dal 1801, Del Pero dal 1806 (Maire aggiunto Annibaldi-Biscussi), il conte Francesco De Cardenas dal 1813 (prescelto per rivestire il ruolo di capro espiatorio, se n’andrà sbattendo la porta), Angelo Simone Cordara Pellizzari dal 1814 (un ricco funambolo trainato dagli eventi su una corda ormai instabile). Sono servizievoli uomini politici d’occasione con pochi poteri.
Con la fine di Napoleone e la restaurazione dei precedenti ordinamenti monarchici, nel Regno di Sardegna il sistema d’organizzazione amministrativa è sommariamente conservato. La regia patente del 31 dicembre 1815 stabilisce che la nomina dei sindaci delle città e luoghi con più di tremila abitanti come Valenza (ne ha circa 6.300) venga attuata da sua maestà. I sindaci restano in carica per due anni (dal 1838 saranno estesi a tre), mentre i consiglieri scadono ogni sei mesi.
I primi cittadini risultano: Annibaldi dal 1816, Del Pero dal 1819, Menada dal 1821, Cassolo dal 1824, Annibaldi dal 1827, Taroni dal 1829, Mario dal 1831, Menada dal 1833, Annibaldi dal 1837, Lorenzo De Cardenas dal 1840, Gerolamo Menada dal 1846. Sanno di salotto perbene, di razza padrona per decreto divino, ma sotto il coperchio la pentola risorgimentale ribolle anche in questa città che ha più di 8 mila abitanti. Alcuni sono dei vecchi leoni in quiescenza, un tempo ruggenti, altri spavaldi come Rodomonte. Tutti piuttosto occultati.
Sempre nel nostro Regno di Sardegna la legge elettorale emanata da Re Carlo Alberto il 17 marzo 1848 prevede che a esercitare il diritto di voto siano solo i maschi di età superiore ai 25 anni, che sappiano leggere e scrivere e che paghino al Regno un censo di 40 lire. Sono ammessi a votare, indipendentemente dal censo, anche i magistrati, i professori e gli ufficiali. L’amministrazione comunale resta composta di un sindaco (sempre scelto dal Re tra gli eletti), di un vice sindaco, dal Consiglio di credenza e dal Consiglio comunale.
Nel turbolento anno 1848 sindaco è ancora Gerolamo Menada a cui, dopo la disfatta piemontese contro gli austriaci, succede Alessandro Cassolo sino al 1849 quando viene chiamato l’avvocato Giovanni Terraggio (giudice mandamentale). Ritorna in auge quale primo cittadino, dal 1850 al 1858, Alessandro Cassolo: il più lesto di tutti. In questi tempi la città è in mano ad una coalizione non particolarmente entusiasta verso il governo anticlericale piemontese (Cavour – Rattazzi). Un rondò moderato clericale poco pacifista, ruotante attorno a quell’ape regina che è il sindaco, segnato fin dall’inizio da esaltazioni e qualche tradimento. Seguono, a capo dell’amministrazione comunale, dal 1958 al 1859 l’avvocato Angelo Foresti e dal 1860 al 1867 Pietro Paolo Camasio.
Come di prassi, questi “funzionari” locali, a cui lo Stato demanda determinati compiti, sono tribuni che hanno sempre ragione, costantemente fieri del loro retaggio e anche capaci di suscitare entusiasmi; ormai risentono fortemente il laicismo ateo e anticlericale dei governi.
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Nel 1865 viene promulgata la legge che regola le elezioni amministrative in tutto il Regno d’Italia. Accanto al Consiglio comunale, eletto a suffragio ristretto su base censuaria, opera il sindaco (in carica per tre anni), nominato con Regio decreto, e la giunta scelta tra i consiglieri eletti. Nel 1867 Felice Cassolo diventa sindaco e resta in carica sino al 1875, quindi dal 1876 sale l’avv. Giuseppe Terraggio e dal 1881 al 1888 l’avv. Carlo Annibaldi Biscussi.
I testi unici del 1889 e la legge n.164 del 4 maggio 1898 stabiliscono che il sindaco e la giunta siano eletti dal Consiglio comunale nel proprio seno e restino in carica 4 anni. Il ricambio nell’amministrazione della città sembra quindi concretarsi con la nomina del primo cittadino che non è più regia ma compete finalmente al Consiglio comunale, il numero dei consiglieri è portato da venti a trenta (gli abitanti superano i 10 mila). Per la sinistra locale si tratta di semplici mosse borghesi di trasformismo, si apre la corsa impetuosa per il nuovo inquilino del Comune.
Nella prima elezione consiliare del 1889 si riafferma l’avvocato Giuseppe Terraggio (un moderato liberale), segue nel 1892 Vincenzo Ceriana (proprietario della filanda, cugino del deputato) che si dimette nel 1897. Quindi, il 25-9-1897 il Consiglio comunale con 18 voti a favore, 1 per Ceriana e 2 schede nulle, elegge l’avvocato liberale Ferdinando Abbiati (1864-1943), un autorevole accentratore, cultore delle virtù borghesi della responsabilità e della sobrietà: uno sceriffo che non ha concorrenti alla sua altezza, carico di malizia e d’esperienza. Nel cammino municipale si dimette (1899) ma viene caparbiamente riconfermato. Le elezioni del 13-7-1902 sanciscono la vittoria liberale e il 25-9-1902 Abbiati viene riconfermato sindaco. Poi, dopo le elezioni del 9-7-1905, avendo Abbiati manifestato l’intenzione di non essere rieletto, il nuovo Consiglio comunale in data 16-7-1905 assegna la città al geometra Luigi Vaccari. Un personaggio equilibrato e quasi al di sopra delle agguerrite parti. Viene eletto in Consiglio con 21 voti a favore 1 scheda bianca e 3 astenuti. Difficile da credere, i prosperanti socialisti hanno escluso dalla propria lista elettorale i repubblicani (quelli da cui “stare alla larga”) procurandosi la sconfitta.
Finora i primi cittadini valenzani sono stati generalmente personaggi benestanti, di tenenza autocratica e personalistica, guidati da motivazioni poco ideali, non perfidi sovranisti bensì stimati liberali. Nessuno di loro ha avuto caratteristiche d’apostolo puro né di combattente indomito, ma ormai per loro non sarà più facile rimanere sulla cresta dell’onda, il clima è ormai un altro, il tonfo dei liberali conservatori sarà clamoroso.
I socialisti sono i più forti tra il popolo, meno tra chi vota, vincono le elezioni del 26-6-1910 (votano in 1.371 su 2.295 iscritti) e il 16-7-1910, con 16 voti su 23 consiglieri, eleggono nuovo sindaco il commercialista socialista prof. Luciano Oliva. Il risultato è un colpo di scena, una vittoria che probabilmente è una sorpresa anche per chi ha vinto. Oliva ammaglia il popolo della sinistra, è l’archetipo dell’intellettuale socialista utopico con gusti moderati (a metà strada fra i non pochi ultrà).
Nelle amministrative del 12-7-1914 Valenza riconferma la sua fiducia alla passata amministrazione, portando a Palazzo Valentino l’intera lista socialista che riconferma il 23-7-1914 Oliva con 23 voti su un totale di 23 consiglieri presenti.
In questi anni sono numerose le manifestazioni antimilitariste, poi, dopo la Libia, l’Italia entra nella Grande guerra: sarà una carneficina. Valenza avrà 139 morti, 36 mutilati e molti altri feriti o deceduti per le conseguenze.
In un clima di contrapposizioni feroci, alle Comunali del 1920 stravincono i socialisti. Nella prima seduta consiliare del 25-10-1920 viene riconfermato sindaco Oliva con 23 voti, mentre la minoranza non interviene alla seduta, ma, l’8-12-1920, Oliva, in seguito all’avvenuta nomina a membro della deputazione provinciale (chissà se non un pretesto), presenta le proprie dimissioni e si procede all’elezione a sindaco dell’assessore Giuseppe Marchese (fabbricante orafo) con 22 voti favorevoli su 28.
A seguito della violenta reazione delle squadracce fasciste, anche consequenziali all’assassinio del giovane squadrista Alferano (8 giugno del 1921, nei pressi del Circolo comunista valenzano di via Magenta), l’11- 6-1921 il sindaco e la giunta rassegnano le dimissioni. Il prefetto chiama a reggere il Comune il valenzano Pietro Farina, ragioniere capo dell’amministrazione provinciale, il quale resta in carica sino alle elezioni amministrative del 18-6-1922. Una vittoria scontata del blocco fascista ed elezione all’unanimità a sindaco del cav. Luigi Vaccari, già primo cittadino dal 1905 al 1910 (uno stile di vita), il quale diventa nel 1926 il primo podestà della città (sono aboliti i Consigli comunali).
Sono podestà, istituiti dal fascismo in sostituzione dei sindaci (alcuni sono apolidi in politica, ma pure loro, dopo la sconfitta, saranno ignorati e posti all’indice come fossero degli indegni): Luigi Vaccari (dal 1922 sindaco poi podestà, e ulteriormente nel 1936), Mario Soave (dal 1928), Eugenio Grassi (dal 1934), E. Pagella (dal 1934), Anselmo Ceva (dal 1937), Aldo Zacchetti (dal 1941). Saranno commissari prefettizi e straordinari durante la guerra: Luigi Vaccari (C.P dal 20.9.1939 al 1940), Massimino D’Alessio (C.P. nel 1940 e nel 1944), Carlo Illario (C.P. dal 1941 al 1943), Edoardo Pantano (C.S. nel 1944), Alfredo Berardinelli (C.S. nel 1944) e Carlo Vaccari (C.S. nel 1944-1945). Navigator nell’arte di barcamenarsi (le decisioni vengono prese altrove), spesso non per convinzione ma per convenienza, deluderanno, ma negli anni futuri, più attigui a noi, si riuscirà a farli persino rimpiangere. Spesso il tempo è galantuomo, anche se, ad un secolo di distanza, in molti continua a persistere l’idea che non si potesse essere fascisti e capaci.
Dopo la caduta del fascismo, l’amministrazione transitoria dei comuni è disciplinata con R.D.L. 4 aprile 1944 che l’assegna, fino al ripristino del sistema elettivo, a un sindaco e ad una giunta comunale nominati dal prefetto su proposta del CLN. Il 30 aprile 1945 i componenti del CLN insediano in Municipio il sindaco della Liberazione Guido Marchese.
E siamo al secondo dopoguerra, finalmente votano anche le donne, il sistema elettivo viene ripristinato con D.L.L. 7 gennaio 1946. L’iniziale compattezza di chi ha combattuto il fascismo è solo un ricordo. Valenza pensa a sinistra; con clamore giacobino, nelle elezioni comunali del 31-3-1946 trionfano i socialcomunisti (73,62%) e la carica di sindaco è confermata il 6-4-1946 al socialista rag. Guido Marchese (1906-1951). Egli, timoroso gregario dei comunisti, è parcamente accorto a scaldare e incoraggiare i valenzani, al contrario di quanto sta facendo il sistema produttivo locale.
Si ritorna al voto il 10-6-1951, vince nuovamente la coalizione PCI-PSI e dal 27-6-1951 il nuovo sindaco è Giovanni Dogliotti (1911-1986): un operaio orafo perso nel sogno d’antichi ideali comunisti. Di grande solidarietà sociale è molto popolare, ma seduto su quella poltrona deve adattarsi alla realtà e patire, con spirito di sottomissione, anche alcune dolciastre insolenze.
Nelle comunali del 27-5-1956 si rinnova il successo dello PSI che sale al 22% e vede confermati sette rappresentanti in Consiglio, mentre il PCI si mantiene sulle medesime posizioni delle precedenti comunali (35%). E’ riconfermata la guida del Comune al gruppo socialcomunista, sindaco della città viene eletto il dr. Luciano Lenti (1924-2007), un autorevole politico comunista, col piglio del leader condurrà per circa un ventennio il Comune di Valenza quale sindaco (dal 1956 al 1964 e dal 1973 al 1983). Nelle elezioni politiche del 28-4-1963 (IV legislatura) Lenti è eletto alla Camera con oltre 16.000 preferenze ed è riaffermato il 19-5-1968 (V legislatura, 5-6-1968 / 24-5-1972). E’ riconfermato sindaco dopo le elezioni comunali del 6-11-1960.
Nell’ottobre 1964 la locomotiva elettorale è in pieno movimento, e i vari partiti stanno preparandosi ad affrontare la sfida che porterà al voto del 22 novembre per il rinnovo del Consiglio comunale. Annusando bene si sente odore di cambiamento, ma pochi prevedono il preambolo del periodo politico tanto convulso che resterà come uno dei più ricchi di contraccolpi nella storia di Valenza. Si dovrà votare per ben tre volte in due anni (22-11-1964, 28-11-1965, 27-11-1966) per riuscire a dare una giunta definitiva alla città. Dopo due “match” infruttuosi finiti alla pari (15 a 15 i consiglieri eletti) un commissario prefettizio (Antonino Nelfi) e il logorio inglorioso e snervante della mediazione, nella seduta del 19 febbraio 1966, viene eletta una giunta transitoria “di salute pubblica”, chiamata anche tecnico-amministrativa, condotta dall’integro ed austero sindaco indipendente PCI dr. Virginio Piacentini (1912-2000), ma ben presto sciolta. Tutto riaffermato con fatica dopo le elezioni del 27-11-1966. Piacentini, primario radiologo, è rieletto il 4-2-1967: un galantuomo d’altra epoca che piacerà finché servirà allo scopo.
Il 22-1-1973 (elezioni del 26-11-1972) e il 13-6-1978 (elezioni del 14-5-1978) viene riconfermato sindaco Luciano Lenti. Successore di se stesso, comunisti e socialisti sono schierati al suo fianco come ausiliari nella speranza di splendere con lui.
Ma, negli anni ’80, in Italia trionfa il pentapartito e l’intesa comunale scricchiola. Infatti, nell’ottobre 1983, senza elezioni, Lenti deve cedere il trono al socialista Franco Cantamessa (21-9-1983) che un anno dopo lo lascia al socialdemocratico Gino Gaia (9-10-1984). Infine, tutti gli equilibri passati saltano, alle elezioni del 20-10-1985 i tifosi della dittatura del proletariato ricevono la spintarella finale e devono lasciare Palazzo Pellizzari; i socialisti si alleano con democristiani e Polo Laico (PRI-PSDI-PLI) e ricevono i voti per regnare sulla città. Eleggono sindaco l’ingegnere Cesare Baccigaluppi (2-12-1985), uno stimato professionista socialista. Al netto delle giravolte, in tre anni nel Municipio si sono dati il cambio ben quattro sindaci: Lenti, Cantamessa, Gaia e Baccigaluppi.
All’indomani delle elezioni comunali del 12-5-1991, più temute che attese, l’infante PDS ex PCI subisce una sberla, mentre impressiona la travolgente affermazione della poppante Lega (23.5%). Il 3 luglio 1991 viene ufficializzata l’alleanza, al momento per molti ancora innaturale, tra ex comunisti e democristiani e dal 3-7-1991 il nuovo sindaco è Mario Manenti (1930-2015), un vero democristiano, che nel 1993 scambia la poltrona con il pidiessino Germano Tosetti, il quale, battendo ogni primato, resterà sul trono per ben 12 anni.
Nelle elezioni comunali dirette del giugno 1996, le prime con la nuova legge elettorale (si vota direttamente per un sindaco che, se vincitore, ottiene per la sua maggioranza il 60% dei seggi del Consiglio comunale) i valenzani confermano sindaco Germano Tosetti.
Il 16 aprile 2000 i valenzani sono chiamati alle urne per il rinnovo del Consiglio comunale e per lo scranno principale a Palazzo Pellizzari. Germano Tosetti punta ad ottenere il secondo mandato per guidare la città. E’ appoggiato dai DS, dai Verdi, dai Comunisti italiani, dai Democratici, da “Per Valenza. Si riconferma al ballottaggio del 30-4-2000 con 5.739 voti contro 4.814.
Si torna alle urne Il 3-4 aprile 2005. I sindaci si stanno ormai trasformando in una specie di “ras locali”, disposti a riconoscere ai partiti solo la funzione di portatori d’acqua (e di voti). Il centrosinistra, sfruttando il ruolo di vice che Tosetti per lungo tempo gli ha offerto, candida alla carica di primo cittadino Gianni Raselli (abituato a volteggiare nel centro). Egli guida un’ampia coalizione composta da cinque liste: DS, Per Valenza (lista che fa riferimento alla Margherita ed allo SDI), Partito della Rifondazione Comunista, Valenza Insieme (lista civica). Dopo lo scrutinio, Gianni Raselli e il centro sinistra festeggiano (dalle parti del centro destra un po’ meno) perché il successo se lo aspettavano in molti, ma senza ricorso al ballottaggio lo speravano in pochi. E invece già dopo il primo turno Valenza ha un nuovo sindaco che dalle parti di Palazzo Pellizzari è di casa: consigliere, assessore, vice sindaco. Raselli ottiene 6.790 voti pari al 54,72% (pressoché un plebiscito).
Il 12-4-2010 la roccaforte rossa cade, un esito clamoroso alle elezioni comunali. La new entry Sergio Cassano, un frizzante e arguto imprenditore trovato fuori dei partiti, vince sontuosamente al ballottaggio con una coalizione di centrodestra. Egli per poco non è già incoronato al primo turno (48,65%). Mentre nella consultazione del 2015 la baracca del centro-destra frana completamente. L’esperto Gianluca Barbero, esponente del partito democratico, commerciante e navigato politico locale, si riprende il Palazzo che gli altri si sono pigliati in noleggio per cinque anni. Il 14 giugno 2015 i pochi votanti del ballottaggio (43%) danno a Barbero il 54% ed a Cassano il 46%.
E siamo a pochi giorni fa: il 4-10-2020. Dopo cinque anni il sindaco e la giunta tornano al centrodestra. Il leghista Maurizio Oddone supera al ballottaggio Luca Ballerini del centrosinistra. Una vittoria al fotofinish, 3.999 contro 3976: differenza 23 voti, salvo un riconteggio poco credibile. Oddone è un negoziante di gioielli da qualche tempo numero uno del Carroccio valenzano.
Il dubbio è però che prevalga ormai in molti un concetto agonistico della politica, come fosse una gara per eccellere e non per governare, tanta è la varietà ideologica e individuale.