«Valenza sappia dimostrare intelligenza nelle decisioni di scelta»
L'architetto Claudio Deangelis scrive ai suoi cittadini (e ai quattro candidati a sindaco)
Riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell’architetto valenzano Claudio Deangelis che, in vista della tornata elettorale del 2o e 21 settembre, si rivolge ai suoi concittadini e ai quattro candidati a sindaco.
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Scrivo questa breve incursione pubblica, in questo clima di crescenti preoccupazioni, da cittadino impensierito, da colui che tra pochi giorni sarà elettore senza riscontri alle proprie frequenti domande, in questo paese che sempre meno riconosco, benché io stesso sia un instancabile sostenitore dell’avvenire. Sento urgente il bisogno (se non il dovere) di un dialogo con la città, in caso particolare con i suoi cittadini che, come me, soggiacciono agli effetti dei governi locali, quali gestori legittimati di un patrimonio (tangibile e non) di cui tutti noi siamo, per privilegio, gli eredi (per effetto di quella inclusione anagrafica che sancisce il nostro legame d’appartenenza alla cultura di un territorio), del quale patrimonio soffrono la condizione di lento declino.
Avanzo le mie preoccupazioni su alcune contingenze che colpiscono la nostra “eredità urbana” guadagnata e conquistata nel tempo con gli impegni (lavorativo, sociale e civico) cioè col nostro essere presenti, partecipi, le stesse contingenze che riconosciamo come mancanze, scarsità, pecche; anche se esse spesso sfuggono alla comune percezione, vanno osservate, sentite e insieme comprese, facendo di noi stessi cittadini attenti osservatori della realtà (e non passivi spettatori di fenomeni e di eventi).
Risento la necessità – dopo la lettera aperta ai candidati dell’ultimo appuntamento alle urne – di aiutare chi non avverte o mal accoglie queste contingenze, facendo da guida con i miei stessi sensi a sostegno delle mie azioni. Lo faccio da erede civico interessato, da voce narrante che elabora le immagini frutto della propria esperienza, da cittadino parlante e osservatore assuefatto, per scelta, alla vita in questo territorio, dunque da “flaneur”, colui che passeggia svagato e curioso, quell’autoctono capace di notare e far notare, nella vita quotidiana, quei vistosi e ricorrenti segni di decadenza che interessano la nostra città; segni velati dalla consuetudine della vita, segni reali e all’apparenza normali che, qui, voglio riassumere nelle loro principali forme e significati: come la scarsa pratica manutentiva del patrimonio immobiliare pubblico e privato; come la presenza angustiante di alcuni patrimoni storici dismessi, la cui rappresentatività è ridotta a pura archeologia urbana; come il lento ma progressivo dissesto delle infrastrutture viarie, nonché alla sempre più fragile rete infrastrutturale sotterranea; come il declino degli spazi pubblici della centralità ai quali, impropriamente, è stata privata la funzione storica di luoghi relazionali e di manifestazioni sociali (per essere destinati a sosta veicolare), ma anche come il graduale impoverimento delle aree verdi così poco sentite e vissute dalle persone; come la crescente marginalità del centro storico aggredito da cospicui strappi al suo tessuto abitativo dovuti a carenze normative (ne è riprova la sentita esigenza di ridare l’ideale forma istitutiva ai quartieri storici nei quali i suoi abitanti si identificano, i cosiddetti luoghi di sociale appartenenza e rappresentanza); come l’abbandono di un parco immobiliare obsoleto e poco rispondente alle esigenze attuali, segnato dall’inesorabile calo demografico; come il livello elevato di sottoutilizzo e di dismissione dei piani terreni commerciali, precocemente invecchiati anche per effetto della grande distribuzione. L’elenco sarebbe ancora più lungo ma, per non tediare i lettori (e tutti i cittadini come me), preferisco destinare lo spazio seguente ad alcune analisi ed opinioni.
Sono questi i segni avversi che indeboliscono l’immagine della città e, conseguentemente, i suoi tratti caratteristici. Si riconoscono, dal generale al particolare, per essere assimilabili a fenomeni comuni ad altre realtà, ad altri contesti, ma la matrice deriva da fenomeni più profondi; essa proviene dagli effetti degeneranti dei cambiamenti sociali che hanno segnato quel processo inarrestabile di perdita identitaria dei luoghi, ovvero la crisi di quel legame storico avvenuta tra lo spazio urbano e la sua società; ma alla caduta dei valori fondanti dell’urbe – riconosciuti nella sua cultura e nella sua storia – ha concorso, senza dubbio, anche una presuntiva volontà umana. Si avvicina, dunque, la fine di un modello di città dopo un’epoca segnata da profonde trasformazioni e, spero, se ne realizzi uno consapevole, fattivo di azioni di recupero e di ripristino controllato delle situazioni compromesse, perché ogni decisione di cambiamento invita all’idea di rinascita e di una rinnovata vitalità dello spazio e dei luoghi. La condizione diffusa di declino e di oblio degli spazi rimanda all’occasione di ridare centralità alla “Pianificazione”, per intenderci all’urbanistica, alla quale va consegnato e consentito l’avvio di un nuovo processo, l’invito a disporre del futuro destino della città.
L’Urbanistica, però, deve fare fronte anche ad altri importanti temi, tra cui quelli definiti da essa stessa “contro-luoghi” (o meglio luoghi dell’alterità), quei luoghi “mancanti” nell’attuale paesaggio urbano, vere e proprie carenze che perpetuano un vuoto di rappresentatività nel già debole sistema monocentrico valenzano; di fatto, la loro importanza non può essere sottovalutata più a lungo. Spero che la lista seguente – supportata da brevi descrizioni di sostegno causale – faccia riflettere a dovere:
Valenza è una città senza Museo. Ne ha bisogno per rafforzare la propria rilevanza di polo produttivo, come lo dimostrano quelli di ultima generazione che si affermano sul mercato globale da veri e propri moltiplicatori economici e d’immagine. Infatti, al museo si riconosce la vocazione di luogo di identificazione della comunità locale nel quale si esprime la tipicità manifatturiera. Con un intervento di rigenerazione urbana si può dare vita a un complesso innovativo, connesso, interattivo e multidisciplinare, che può costituire un esempio di alta tecnologia applicata alla percezione dei sensi, un richiamo forte per lo sviluppo e la promozione delle eccellenze, senza dubbio un riferimento di cultura globale; per l’appunto un laboratorio di sperimentazione efficiente, un’azienda generatrice di opportunità e, non ultimo, un volano per la crescita economica e sociale di questo territorio.
Valenza è dotata di una Biblioteca insufficiente e obsoleta. Oggi più che mai le biblioteche sono importanti presidi della cultura nel panorama variegato della città; la biblioteca tradizionale fra poco non reggerà all’effetto del futuro digitale, quindi il suo spazio sarà da ripensare. La nuova biblioteca è costituita sullo scambio di informazioni sui propri depositi convertiti al digitale, lavora sullo sviluppo di piattaforme dedicate aprendo a dialoghi con utenti portatori di altre esigenze. Oltre ad occuparsi di attività complementari ad essa connesse, assolve anche al ruolo di laboratorio per lo studio, l’apprendimento e la creatività.
A Valenza si è esaurita gradualmente la formazione professionale. Si profila l’occasione di istituire un complesso High formation – per nuovi informatori e portatori di cultura dei mestieri – che promuove la formazione specialistica ma anche l’istruzione; un mix di conoscenze e competenze a disposizione delle tipicità lavorative dei metalli e del design del gioiello, dove la creatività di processo incontra le tecnologie tradizionali e quelle avanzate per concorrere ad un approccio ermeneutico e ontologico con le diverse discipline, anche nella ricerca.
Valenza è una città senza una Polarità universitaria adatta alle proprie dimensioni e ai propri bisogni. La sua presenza può costituirsi come emblematica della cultura scientifica a sostegno – con discipline specifiche e complementari – della tenuta e della durata del settore prevalente. Una via – un dispositivo di processo per la crescita – da imboccare per rinverdire, rivalorizzare e rivitalizzare il patrimonio storico esistente della città.
Valenza è città senza Spazi espositivi di rilevanza in grado di ospitare eventi significativi. Occorre localizzarli in ampie superfici di fabbricati – anche dismessi da riattare e riattualizzare – necessari per dare vita, in sinergia ad altre funzioni, ad un nuovo altro circuito attrattivo per il territorio.
Valenza è una città senza Piazze (parlanti) nelle quali, come accennato, si svolga la vita sociale di dialogo, di conversazione tra le persone, in altre parole “luoghi della relazione” e dello svolgimento della “ritualità urbana”, un aspetto mancante per la crescita della società affinché sia attiva e critica; ne sono la testimonianza il senso di vuoto trasmesso da questi spazi e la presenza dei cittadini confinata ai fianchi delle vie, spazi esclusivi della mobilità nei quali la sosta è marginale.
Valenza non è dotata di un Impianto natatorio. Il centro attuale, dismesso negli ultimi anni per inadeguatezza normativa, ha destato non poche polemiche. Un nuovo impianto – supportato e dotato di servizi per altre pratiche sportive – farebbe fronte ai reali bisogni urbani e territoriali.
Valenza non dispone di un Parco attrezzato periurbano – un ampio polmone di verde rigenerante – un’area del proprio contesto dedicato alle attività ludiche e alla ricreazione.
Valenza non dispone di un centro polisportivo, autonomo, dedicato alle attività di gioco e di intrattenimento, per il quale si sono alternati nel tempo progetti mai realizzati.
Valenza non dispone di strutture ricettive al momento funzionanti; il loro avvenire è strettamente connesso alla nascita di nuove polarità urbane, ovvero a quei fenomeni legati alla ripresa economica di cui l’aspetto turistico è componente indotta.
Non resta che porsi poche ma precise domande, da liberi cittadini che badano alla propria eredità, ridotta a falcidia da una congiuntura e da volontà non favorevoli: cosa fare per questa città sempre meno vivida – da riabilitare ai principi e alle ispirazioni della città contemporanea – ridotta quasi al rango di paese? Cosa fare per questa città che non si rinnova, che non si rigenera, che non è attrattiva e che non muta mai il proprio aspetto? Cosa fare di questa città che è “immobile” alle sollecitazioni di altre realtà virtuose e innovative, che è “ingessata” a causa del reiterato precario Rendiconto comunale?
Il compito di risposta spetta, senza dubbio, alla Governance comunale, alla propria capacità di elaborare un’Agenda urbana per la definizione di un Progetto politico di lunga durata. Posso purtuttavia avanzare – attratto dagli argomenti a me congeniali – una mia breve opinione che non ha valore né di proposta né di soluzione, ma che reca disponibilità collaborative nei confronti della città.
Pensare ad un futuro favorevole della città, come tutti si auspicano, significa diminuire gradualmente la sua posizione di debolezza strutturale prodotta negli anni, ponendo la giusta attenzione alla “pianificazione strategica” – come strumento previsionale dinamico – per promuovere un’economia che possa reggere alle azioni di un cambiamento; significa aprire l’accesso a nuovi modelli attuativi di azione controllata degli interventi – anche quando le finanze pubbliche non lo consentono – forti dei ruoli e degli impegni tra i diversi attori; significa, infine, aprire alla “democrazia partecipativa”, oggi protagonista sempre più attiva nell’ambito decisionale pubblico, al fine di costruire in forma consultiva un patto cittadini-soggetti attivi-Istituzioni.
Alla base di tutto questo bisogna dimostrare intelligenza nelle decisioni di scelta, nel saperla trasformare in programmi, in politiche e azioni a salvaguardia dell’eredità urbana e di chi la rivendica. In altri termini bisogna dimostrare di saper rispondere alle questioni urbane con la forza delle idee rivolte alla ripresa dell’economia post virus, bisogna saper rimuovere ogni pensiero rivolto ad azioni che possono confinare il lavoro della municipalità a semplice servizio amministrativo, bisogna licenziare definitivamente il PRG in corso, ormai vetusto, non più adatto a soddisfare il mercato del territorio e, in ultimo bisogna, al più presto, allontanarsi da questa condizione di stagnazione urbana per investire sulla città, sull’eredità urbana e sul benessere dei suoi cittadini.