Il Teatro Sociale di Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia cittadina
VALENZA – La storia del Teatro Sociale di Valenza inizia in piena epoca risorgimentale (1853), quando Valenza fa ancora parte del Regno di Sardegna. Costruito in stile neoclassico, è collocato ove prima sorgeva la chiesa di San Francesco (una costruzione in stile gotico lombardo a tre navate), sorta a sua volta su un’antecedente chiesa romanica.
La sintesi della triste parabola, o della vera e propria catastrofe, rammenta che il 5-9-1842 San Francesco prende fuoco e si salva solo una parte delle mura perimetrali (pare che vi fosse già stato un incendio nel 1834). Il complesso religioso occupava l’area dell’attuale piazza Verdi, adiacente a corso Garibaldi (la “contrà granda”), mentre ove ora si trova il Teatro si rinvenivano la sagrestia e l’educandato.
Dopo la distruzione, la chiusura completa e l’allontanamento dei religiosi, il Comune accetta la proprietà e, esponendosi ad una magra figura, affitta ciò che rimane della chiesa come magazzino e il resto del convento ad abitazione.
Poche sono le idee sul cosa fare e pure quelle sono confuse. Infine, a sette anni dall’incendio, il terreno e relative rovine sono messe all’asta dall’autorevole e carismatico sindaco Alessandro Cassolo. Ma, purtroppo, l’incanto va a vuoto; si scatena una polemica intestina e si comincia a riflettere sull’idea di dotare la città di un teatro, confacente alle opportunità del periodo. Sono tempi in cui si afferma fortemente la lirica e ogni città smania di possedere un teatro. Una bramosia venuta ragionevolmente a rivelarsi ormai anche a Valenza.
Si dice di tutto e il contrario di tutto. Insomma, emerge con fatale evidenza che dopo alcune mire e richieste del Comune, non andate a buon fine, la situazione s’ingarbuglia e le difficoltà di trovare una soluzione aumentano. Pertanto, alla fin fine, il Comune accetta di cedere l’area, a canone puramente nominale, ad una costituenda coraggiosa associazione locale (Società del Teatro) composta dalle famiglie più abbienti della città, le quali sponsorizzano in questo modo la costruzione del teatro cittadino: iniziativa ammirevole per la temerarietà economica. Tra i politici qualcuno batte le mani, altri invece storcono il naso.
Il 23 Novembre 1856, il Re Vittorio Emanuele II dichiara con proprio decreto, controfirmato da Urbano Rattazzi, il “nulla osta” alla realizzazione. Anche il regolamento del Teatro è approvato dall’assemblea dei soci palchettisti finanziatori. L’incarico per la direzione dei lavori viene affidato all’ingegnere alessandrino Ernesto Clerico.
Cominciato nel 1857-58, il teatro è inaugurato nel 1861 ad unità d’Italia compiuta. La tipologia rispecchia quella tipica del teatro nostrano, con planimetria tripartita: una riservata agli ambienti di servizi, una centrale destinata agli spettatori, una terza per il palcoscenico. La sala, a pianta ferro di cavallo, comprende tre ordini di palchi, gli ingressi sono rivolti verso l’attuale corso Garibaldi.
Bisogna però rilevare che per alcuni anni la gestione è oggetto di dibattito e contese tra la Società del Teatro, l’appaltatore e l’Amministrazione comunale, la quale continua ad accampare alcuni diritti e franchigie sull’area. Ma gli spettacoli si dipanano e avvincono il pubblico. Sono ospitate periodiche rappresentazioni d’opere teatrali e liriche, anche di un certo rilievo in rapporto al pubblico di un piccolo centro qual è Valenza. Si svolgono anche attività diverse: riunioni, banchi di beneficenza, balli di società.
Vent’anni dopo l’inaugurazione, nel biennio 1882-1883, il teatro viene sottoposto al primo ciclo di restauri e nel 1908 la grande novità è rappresentata dall’allestimento nel teatro di un cinematografo. La guerra rallenta un po’ tutto, poi, dal 1917 al 1919, mentre la programmazione teatrale è completamente interrotta, il cinema riscuote sempre più le simpatie dei valenzani.
Naturalmente, in questi anni di fibrillazione “dadaista”, non manca la polemica politica nei confronti dei palchettisti che appartengono alla borghesia liberale: praticamente un ceto sociale destinato a finire nel tritacarne dell’esuberante sinistra locale (al potere della città). Quasi per confutazione o imperativo morale, nel 1923, mentre si sta consolidando il regime fascista, si eseguono interventi relativi alla platea e alla volta della sala: le due parti rimarranno sostanzialmente invariate fino agli ultimi recenti interventi. La platea termina di essere uno spazio per il popolo più minuto e diventa un posto attraente anche per le classi più agiate.
Durante il fascismo, il Teatro Sociale, con la rivista e la prosa, ottiene reiterate affermazioni, ma il pubblico valenzano ha ormai preso la via del cinema, il quale irrompe sempre più nella vita quotidiana; indi arriva la televisione, si riducono decisamente gli spettacoli dal vivo e, con l’espansione della televisione, anche quelli cinematografici.
Negli anni ’80 la tradizione si è del tutto dispersa, l’utilizzo del locale è ridotto a pochi spettacoli teatrali l’anno organizzati dal Centro Comunale di Cultura, peraltro, con un incessante calo d’abbonamenti e una certa povertà nel volume delle entrate. All’interno funziona l’unico cinema di Valenza, con orari ridotti e, pietosamente, a “luce rossa”, per vedere di nascosto l’effetto che fa. In pratica, è la rappresentazione speculare di questa città dormitorio che ha relegato ad un ruolo marginale il suo già pregevole teatro.
Tra il rassegnato e il bistrattato, nel 1986, il sopravanzo della Società del Teatro stabilisce (in modo poco concorde) di liquidare le proprie quote di proprietà (51 totali) al Comune di Valenza che, nel novembre del 1988, ne acquisisce 41 dai singoli soci, ultimando l’operazione, nel dicembre del 1990, con l’acquisizione delle 6 restanti, divenendo pertanto l’unico proprietario del malconcio teatro, reperto di una radicata tradizione e di un antico trascorso luminoso.
Si affrontano subito le linee d’intervento per il recupero e il restauro dell’opera, da troppo tempo trascurata. Il cantiere viene aperto nel 1994, sarà a durata “permanente” e a costi “copiosi”. Termina solamente dopo molti anni (a costruire l’intero teatro ne sono bastati tre) e in città l’indignazione è generale e profonda.
La nuova saletta cinematografica (98 posti) viene inaugurata nel novembre 2000, nell’attesa paziente della conclusione dei lavori dell’opera completa la cui l’inaugurazione avviene, finalmente, il 19 gennaio del 2007.
Il nuovo Teatro sociale dispone di 475 posti, di cui 204 in platea, 67 per ciascuno dei tre ordini di palchi e 70 nel loggione. Un accordo con l’Azienda Teatrale di Alessandria (ora T.R.A. Teatro Regionale Alessandrino) affida ai cugini la gestione, in un sistema integrato, e rende complementari le programmazioni (facile a dirsi, difficile a farsi).
Oggi, probabilmente persino domani, zombie della pandemia, ibernati in una vita asettica e virtuale senza l’umanità dei volti, che ne sarà degli spettacoli teatrali dal vivo diffusori d’emozioni? E dei troppi soldi dilapidati negli ultimi interventi senza sortire il fine fantasticato?