I conti di Valenza
Proseguono gli approfondimenti sulla storia cittadina di Pier Giorgio Maggiora
VALENZA – Il XV e il XVI secolo sono quelli che ci appaiono segnati col nome Rinascimento, la stagione più creativa della storia d’Italia, il momento più splendido della vita letteraria e artistica italiana. È un periodo di trasformazione e di rinnovamento, ma anche di tensioni bellicose con lotte armate, in modo particolare in questa zona, e a risentirne gli effetti peggiori sono sempre le fasce più deboli.
Non è cambiata solo la cornice, è mutato il quadro generale, si rafforzano gli stati moderni (le Signorie italiane, gli Stati nazionali). È l’esaltazione di una concezione laica e brillante, pure se controversa e non miscredente. Ma la storia, da queste parti, non s’è tenuta di lato e anche questa città sta ora indicando nuove vie. Localmente, si va sviluppando una vantaggiosa attività commerciale, anche se la struttura feudale non è ancora completamente dissolta. Titolati ed equivalenti però non sono disponibili a perdere la loro fetta di potere, anche se qui il feudatario è ormai debole e decaduto in molte prerogative, la cui influenza non è più quella di una volta; sopravvivrà sino alla fine del XVII secolo con diversi benefici, ma con poco cuore.
Filippo Maria Visconti (1392-1447, ultimo duca di Milano della dinastia viscontea), pragmaticamente e col cappio al collo, si rende conto della necessità di utilizzare il bastone congiuntamente alla carota. Inizia ad elargire e creare nuovi feudi a beneficio di condottieri (il Feudo al condottiero costituisce spesso un modo per far fronte alla cronica difficoltà di pagare condotte e salari ai soldati), membri della corte, nobili e forestieri, uomini d’affari e creditori. Un’investitura a ricompensa di favori, alleanze, prestazioni o crediti. Una colorita fauna di mercenari, faccendieri e parassiti con una strabiliante capacità di adattarsi ai più drastici cambiamenti.
A Valenza, i feudatari dell’epoca, capaci di qualche luminosità e di parecchie nefandezze, pur dovendo ubbidire ai dettami e agli interessi del Ducato milanese (una specie di suocera esigente e all’occorrenza esperto di carognate a non finire), saranno spesso disorientati dal loro strapotere, tra le scorribande dello straniero di turno. Avranno facoltà di nominare i podestà (con libera scelta, purché si scelga di pensarla come il conte) la cui designazione solo dopo la nomina è sottoposta all’approvazione, puramente formale, del consiglio cittadino. Godranno d’ampie forme d’immunità e d’esenzione. Sovente, approfittando della loro immeritata carica, si comporteranno da despoti. Alcuni li definiranno i principi-conti di Valenza, altri i principi-conti delle tenebre.
Saranno quasi tutti discendenti della famiglia Gattinara Lignana (lo scettro passa generalmente in eredità) che si dissolverà solo sul finire del XVII secolo. Prima che il capostipite dei Gattinara, conte di Valenza, riceva il Feudo nel 1522, ci sono altre infeudazioni, puramente personali. Nel 1446, il Feudo è donato dallo zio Filippo Maria Visconti a Giacomo Visconti e aggiunto a quello di signore di Tortona. Ai valenzani e al podestà-governatore Bossi, non piacciono i Visconti e per proprietà transitiva non è gradito Giacomo.
Molti problemi sorgono quando Valenza è ceduta al duca Ludovico di Savoia: una maldestra gestione, anche se l’alienazione durerà ben poco. Infatti, nel 1454, Francesco Sforza, nuovo duca di Milano, manda il suo generale Liberto ad occupare Valenza, togliendola ai Savoia, e nomina conte feudatario Gaspare da Vimercate (d’antica e nobile famiglia valenzana, 1410-1467). Algido e superbo condottiero di ventura al servizio di Francesco Sforza, e a lui molto familiare, è investito nel luglio del 1454 (in seguito sarà governatore di Genova), come pure il nuovo governatore di Valenza Biagio Sommo e il podestà Giovanni Aimi. Nonostante le preghiere contrarie del Consiglio Generale della città e del vecchio podestà, svilito e messo in un angolo, per certi comportamenti troppo padronali del conte ma, soprattutto, per i vecchi legami che costoro hanno avuto con lo stato sabaudo sconfitto dai milanesi e ormai sottomesso anche alla supremazia della monarchia francese.
Morto il Vimercate, Galeazzo Maria Sforza (duca di Milano dal 1466 al 1476) assegna nel 1468 il Contado di Valenza al fratello Sforza Maria Sforza duca di Bari, mentre mancano notizie sulle altre infeudazioni sino al 1513 quando Valenza, mollata brevemente dai francesi (dal 1512 al 1515 ritornano gli Sforza con Massimiliano, figlio di Ludovico), passa ad Ottaviano Maria Sforza vescovo di Lodi, ma nello stesso anno l’atto è revocato e il contado è assegnato al fratello alter ego del duca Massimiliano, Francesco II Sforza duca di Bari (1495-1535), intortato da ben altri sovrabbondanti carichi.
I podestà del periodo sono: 1468 Tomero Trovamala / G. Caimi, 1470 Pietro Torti / S. Ricci, 1476 Quinteri Bassano da Lodi, 1478 G. G. Cocconato / F. Langosco, 1484 Pietro Andrea Inviziati, 1496 Giovanni Tommaso Ghiaini, 1497 Giovanni Tornielli di Parona, 1502 G.B. Sannazzaro, 1508 Agostino Caroli, 1514 Battistino Bescapè, 1516 Giovannone Reina / Mandriano, 1518 Giovanni Andrea Cane, 1520 Marco Cattaneo.
Quando Francesco II Sforza diventa duca di Milano, nel 1521 (Carlo I, re di Spagna, casa d’Austria, ha già scacciato i francesi), al posto del fratello Massimiliano, già spodestato dai francesi nel 1515 (i quali, con un trappolone politico, nel 1519 avevano ceduto per 20 mila scudi il nostro Feudo al marchese Giulio da San Severino, illustre uomo d’armi 1475-1555), attribuisce il Feudo valenzano (eretto a Contea) ai Gattinara: una nobile famiglia piemontese, ramo del consortile di Arborio, il cui primo pezzo grosso era stato Florio.
Lo splendore di questa famiglia, che nel 1404 ha fatto dedizione ad Amedeo VIII di Savoia, rifulge con Mercurino Arborio, una specie di padreterno illuminato che dividerà i suoi feudi tra i nipoti, onde il formarsi di varie linee: i marchesi di Gattinara, i marchesi di Breme duchi di Sartirana, i Gattinara-Lignana conti di Castro, i conti di Valenza.
Mercurino Arborio marchese di Gattinara (Mercurino I, 1465-1530) è un autorevole e carismatico cardinale, studioso religioso vercellese avveduto e sagace che sarà vicino ad essere candidato alla tiara, con stabili possedimenti in Piemonte. La donazione della Contea di Valenza avviene il 12-12-1522, pare a ricompensa per l’intermediazione di Mercurino alla Corte spagnola dell’Imperatore in favore della nomina a duca di Francesco II Sforza (privato precedentemente del suo Ducato da Francesco I Valois).
Forte è la speranza e l’illusione del popolo valenzano che fa suo il nuovo conte, attribuendoli quella grandezza che in realtà qui non si vedrà mai. Poco tempo dopo, settembre 1523, i francesi di Boufflers riconquistano la città e la saccheggiano, seguono altri attacchi spagnoli di riconquista e razzie. Né più né meno di com’è accaduto già tante volte: di male in peggio, con assoluta mancanza di strategie.
Elisa (Elisia ?) Gattinara Lignana, figlia di Mercurino I, stravagante, colta e indipendente, il cui fascino, ancor più che dalla bellezza, scaturisce dall’intelletto, ottiene in eredità il Feudo alla morte del padre (1530). Già vedova del marito Alessandro Corradi di Lignana signore di Settimo, mantiene la sua abituale dimora nel castello di Valenza dove muore il 24-7-1536. Agente dell’Elisa è il valenzano Antonio della Chiesa, il suo Richelieu burattinaio, obbediente con scrupolo omertoso, mentre suo ineffabile protetto è il governatore di Valenza Gerolamo Ranzo (un oriundo vercellese imparentato coi Gattinara), in un sottobosco di relazioni e pillole avvelenate che circolano fra questi dominanti. Una cupola d’affaristi e cicisbei. Sono ben quattro i podestà surrogati in pochi anni (una macchina persecutoria): Marco Cattaneo (nominato nel 1530), Giacomo Grassi (1532), Stefano Paterino (1533), G.B. Arnoldi (1535). Del resto, servirebbe più di tutto che si cominciasse a progettare il giusto anziché solo il conveniente.
Sotto il governo di Elisa è drammatico l’anno 1532 quando l’esercito del marchese Del Vasto, generale di Carlo I, passa da Valenza (governatore Battistini Bescapè, già podestà) e cagiona alla città moltissimi danni, mentre di molto peso è l’anno 1533 quando vengono riformati gli statuti con l’assistenza del giureconsulto Ludovico Moresino, Vicario generale ducale. Poi nel 1535, per la morte di Francesco II Sforza, senza figli, lo Stato di Milano passa sotto il dominio dell’imperatore Carlo I e il suo luogotenente Antonio Leva prende possesso di tutte le città e fortezze tra cui Valenza. E’ sempre più evidente la riduzione dello spazio politico per gli “angusti feudatari”.
In seguito alla morte di mamma Elisa, dopo una soap opera imbottita di proroghe, abbinata ad un lungo braccio di ferro con la Camera Ducale, è investito Mercurino II Gattinara Lignana, capostipite dei Gattinara-Lignana, nipote di Mercurino I: nel 1545 giuramento di fedeltà, nel 1549 conferma dei privilegi.
Personaggio mediocre e greve con tendenze eccessivamente autoritarie, molto più attaccato alle gioie materiali che al destino dei suoi sudditi, non risiede nel contado di Valenza in modo abituale e trascura quindi il governo della città. La sua politica troppo favorevole agli spagnoli non sfugge ai francesi e, quando nel 1557 questi occupano la città, uno dei primi atti del comandante francese Brissac (Carlo de Cossé, conte di) è di rifilare una pedata al conte con la confisca dei beni e la demolizione del suo castello: da allora i conti feudatari di Valenza dovranno alloggiare in palazzi privati. Egli, senza condivisioni e solidarietà di sorta, torna in qualche modo nel 1559 quando conchiusa la pace tra Francia e Spagna, Valenza torna ad essere una sorta di colonia spagnola. Ma non sempre questo sarà un male.
La cerimonia d’insediamento del giovane Mercurino II è celebrata il 22 dicembre 1545 con particolare solennità secondo le tipiche forme d’ossequio verso l’incarnazione del potere. Questo lo scenario e il resoconto a modello: egli, dopo aver varcato le tre porte della città (Alessandria, Casale, Bassignana) in pompa magna, raggiunge la soglia del castello (ubicato dietro gli attuali oratori di viale Vicenza sul suolo del vecchio macello) ove sono ad attenderlo una fastosa tappezzeria di massime autorità civili, militari e religiose, tra cui il podestà Massimiliano Pietrobono e il governatore Gerolamo de Ranzo che gli danno in custodia il sigillo della città e le rituali chiavi. Un avvinghio pieno d’ipocrisia e di falsità.
Poche ore dopo la sua investitura, Mercurino II emana un’ordinanza attraverso la quale impone a tutti i capi famiglia di recarsi nel duomo di Santa Maria Maggiore, ove si sarebbe svolto il rito di fedeltà alla sua persona e chi non avesse ottemperato all’imposizione sarebbe stato punito al pagamento di duecento scudi d’oro: una cifra che un popolano non conseguiva neppure durante il lavoro di tutta una vita.
Nella cerimonia religiosa, il giovane conte, in posa plastica come un sirenetto, seduto al centro dell’altare con in grembo una bibbia e la totale remissione dei peccati, in modo solenne e umiliante ordina ai suoi sudditi di inginocchiarsi e di giurare fedeltà incondizionata alla sua persona. Infine, accorda un’amnistia generale e si dichiara disposto a rispettare l’architrave del governo: gli antichi statuti locali. È un culto con caratteristiche religiose che include forse anche i miracoli, e se l’obiettivo è l’incutere paura per ottenere devozione sicuramente viene raggiunto.
Più di tutto, però, l’intera vicenda descrive la protervia e il narcisismo di questi feudatari, poco orientati alla costruzione del consenso e tutt’altro che alieni alla ricerca del piacere, con il declino morale e reale di quest’istituzione in via d’estinzione: ringhiano con i deboli e belano con i forti.
Dal 1564 la poltrona va ad Alessandro Lignana Gattinara, figlio di Mercurino II. I valenzani non pensano certo che sia un gran fautore della democrazia ma almeno sperano sia prudente. Il nuovo conte di Valenza è però di carattere pacifico, al contrario del padre, e vive per la maggior parte in questa città. Insigne benefattore del nuovo ordine dei Cappuccini, sostiene la costruzione di un convento fuori della Porta Alessandria e della chiesa di SS. Trinità e Assunzione di Maria. Nel suo periodo, i padri Domenicani abbandonano il convento e la chiesa fuori le mura ormai distrutte dagli assedi (diventa il Forte del Rosario) e fabbricano un nuovo convento entro la città (San Domenico). Alessandro è religioso e colto, ma soprattutto sofferto e sofferente (deve anche sorreggere la città nell’inondazione del 1567), tuttavia connivente per via indiretta o per paura con chi ha il vero potere politico (etica di convenienza), ossia i nuovi e tanti governatori spagnoli che si avvicendano (Andreas de Mesa, Don Alonso de Varga, Martin Flores, Diego de Cordova, Muzio Pagani, Ernando Acosta, Giovanni Narbaez, Luigi de Villar, Luigi de Cerezeda). Vorrebbe realizzare molto ma potrà realizzare solo alcune sue idee e, purtroppo, ci mollerà persino qualche penna. Con la sua carica utopica mette in gioco anche la propria vita. Muore a Valenza il 16-7-1588 (26-11-1588?) ed è sepolto in San Francesco, accanto ai suoi parenti.
Mercurino III Gattinara Lignina, nominato dal 1588, è il primogenito di Alessandro. Egli deve rivaleggiare con i fratelli per i diritti di successione su pezzi del vasto e disperso territorio che va dal Ducato di Monferrato a quello di Savona e di Milano: una bomba ad orologeria che potrebbe deflagrare. Egocentrico e di vocazione autoritaria, conduce una vita dispendiosa da star capricciosa, confondendo spesso la realtà con le proprie ambizioni. Soprattutto, un perditempo impopolare che inciampa in vistose e infelici cantonate durante la peste del 1598, per questo chiassosamente attaccato, dileggiato e persino insultato. Mantiene quasi un clima da curia vaticana ai tempi dei Borgia, ma artefici principali delle scelte, di controllo e oppressione, sono sempre i governatori spagnoli (una casta che rende conto solo a se stessa): 1587 Cesare Aragona, 1594 Alonso Bezzerra, 1611 Michele della Fora. Il conte muore nel 1633.
Durante il suo potere, si decide di elevare e abbellire il Duomo, conservando il vecchio campanile, mentre nel 1616 Don Pietro di Toledo, governatore di Milano e i capi dell’armata spagnola tengono a Valenza un Consiglio Generale di guerra contro il Duca di Savoia. Nefasta è la terribile pestilenza del 1630-32 che elimina una consistente porzione di popolazione locale la quale continua a rosolarsi nel piagnisteo.
Ultimo dei conti feudatari è Gabrio (o Gabriele) Gattinara Lignana: dal 1633. Figlio primogenito di Mercurino III, malinconico e introverso, con vocazione al vittimismo permanente, un algido ponziopilato dall’aria assorta che riflette una costante incertezza. Di carattere non facile e spigoloso, come capo di questa città non sarà un granché, il suo verbo non è più il vangelo ma spesso dei tragicomici abbagli. Agli inizi, nel 1635, deve porre riparo ai terribili sfaceli causati dall’assedio delle poderose truppe di Vittorio Amedeo e di Odoardo Farnese al comando del generale Créquy (Carlo I de Blanchefort, marchese de Créquy) nel nuovo conflitto tra la Francia e la Spagna.
Il Feudo viene poi diviso con il fratello Alessandro cui vanno possessi monferrini. Il potere è pero in questi primi anni nelle mani del marchese Leganés (Diego Felipe de Guzmàn), governatore dello Stato di Milano e comandante del presidio valenzano, il quale nel 1636 mette in fuga i francesi del Créquy tornati vicino alla città e nel 1637 trasferisce il convento dei Padri Cappuccini (fuori le mura) dentro la cinta in zona Colombina, dove viene ricostruito con relativa chiesa. Molti i governatori che si sono dati il cambio durante la sua reggenza: 1635 Martino Galliano, 1635 Don Alonso de Cordova, 1635 Francesco de Cardenas, 1636 Gabriele de Cardenas, . 1650 Antonio de Leon, 1656 Agostino Segnudo, 1657 Francesco Augusto Villevoire, 1663 Agostino Segnudo, 1676 Michele de Cordova y Alagon. Altrettanto i sindaci-podestà: 1635 Martino Galliano, 1635 Don Alonso de Cordova, 1635 Francesco de Cardenas, 1636 Gabriele de Cardenas, 1650 Antonio de Leon, 1656 Agostino Segnudo, 1657 Francesco Augusto Villevoire, 1663 Agostino Segnudo, 1676 Michele de Cordova y Alagon. Gabrio muore nel 1681 senza lasciare eredi maschi.
Il contrado Lazzarone invece, che fa Comune a sé dal 1460 e che si regge con statuti propri, avrà nel tempo quali feudatari i Visconti, i Busca, gli Scazzosi, i Merli, i Curoni Guazzi di Olivola e i Sannazzaro consignori di Giarole.
Gli ultimi decenni dei Conti di Valenza potremmo definirli il patetico crepuscolo degli dei di una casata vistosamente ritrosa, pur se a fasi alterne, condannata ad un finale di disgregazione e dispersione. Poi, nel 1681, essendosi estinta la discendenza dei Gattinara-Lignana, il Feudo di Valenza è devoluto alla Regia Camera. Una fine amara di un drappello di privilegiati e miracolati, anche con eccellente erudizione, che faranno figura alle pareti, ma poco propensi a battersi in favore del popolo e con eccessivi cedimenti alle influenze straniere, antropologicamente distanti dalla gente.
Successivamente sono molti “Cetto La Qualunque” a pretendere il Feudo, schiudendo una serie di cause, tutte infine tumulate con la conquista sabauda del 1706.