“Via col vento”: uno ‘scandalo’ a posteriori
Un grande film, a prescindere dagli stereotipi di cui è infarcito e che oggi, a distanza di anni, fanno persino un po’ sorridere nella loro vetustà
CINEMA – «A mezzogiorno penso che sia sublime, a mezzanotte penso che sia uno schifo. A volte penso che sia il più grande film di sempre. In realtà, se anche solo si rivelasse essere un grande film, ne sarei soddisfatto». (David O.Selznick, produttore di Via col vento)
Chi l’avrebbe mai detto? Via col vento (Gone with the Wind, Victor Fleming, 1939), uno dei film più visti e amati della storia del cinema, campione d’incassi – 400 milioni di dollari, 60 milioni di biglietti dopo quattro anni dall’uscita – a livello mondiale per oltre un quarto di secolo (ancora oggi, fatte le debite proporzioni relative all’inflazione), vincitore di dieci premi Oscar (miglior film, regia, attrice protagonista, attrice non protagonista – Hattie McDaniel, prima afroamericana a conquistare la statuetta – sceneggiatura, fotografia, scenografia, montaggio, oltre a un premio speciale e a uno alla memoria), è stato temporaneamente “censurato” e rimosso dal catalogo di Hbo Max, nuova piattaforma streaming della WarnerMedia.
«Mantenerlo così, senza spiegare e denunciarne il razzismo, sarebbe irresponsabile. Tornerà quando sarà “contestualizzato e risituato nel suo periodo storico”»: questo lo scarno comunicato ufficiale che ha determinato la nascita di uno “scandalo” a posteriori (ma anche molto sconcerto e riserve nelle file degli appassionati di cinema e del pubblico in genere) legato alla prospettiva di racconto e allo stile di una pellicola di certo espressione del proprio tempo come dell’epoca storica in cui è ambientata la vicenda (il profondo Sud degli Stati Uniti, ultra-conservatore e razzista, in piena guerra di Secessione, come già nel romanzo-fiume di Margaret Mitchell, 1936), ma probabilmente non meritevole – al pari di qualsiasi altra opera dell’ingegno umano – di un frettoloso “oscuramento”. Del resto, come affermò molto sagacemente Hattie McDaniel già all’epoca della vittoria agli Oscar a chi le domandava se non le pareva di rafforzare, mediante il personaggio di Mami, il luogo comune del domestico di colore: «Credo che il pubblico sia meno ingenuo di quello che pensano i più critici». Lo stesso Clark Gable, l’affascinante Rhett Butler della storia, minacciò di disertare la “prima” di Via col vento – il 15 dicembre 1939 al Grand Theatre di Atlanta, in Georgia – se non fosse stato concesso agli attori afroamericani presenti nel film di partecipare alla serata. Evento – quest’ultimo – che, purtroppo, non si verificò.
Per dovere di cronaca: l’eccesso di “politically correct” ha avuto inizio con la messa in sospensione da parte di Netflix di un altro film, The Help (Tate Taylor, 2011), con un cast quasi interamente al femminile, ambientato nella cittadina di Jackson, Mississippi, sullo sfondo dei conflitti razziali degli anni Sessanta. È seguito, più di recente, l’editoriale sul Los Angeles Times a firma di John Ridley, premio Oscar nel 2014 per la miglior sceneggiatura non originale di 12 anni schiavo di Steve McQueen. Nell’America del caso George Floyd e del movimento Black Lives Matter l’afroamericano Ridley invita a boicottare Via col vento e a censurarlo, dal momento che non rende conto della tragedia della schiavitù della popolazione di colore, mette in buona luce i secessionisti ed è dichiaratamente razzista. Secondo Floyd il suo mantenimento sulle piattaforme streaming deve passare necessariamente dalla presenza di cartigli esplicativi che rendano palesi tutti i limiti e stereotipi dell’opera. Forse che gli spettatori odierni, abituati a una molteplicità di proposte cinematografiche e di sicuro smaliziati, non siano in grado di comprendere e giudicare da soli?
Sull’onda di questa rivendicazione, il Rex – storica sala parigina contenente lo schermo più grande di Francia – ha fatto sapere di avere annullato la proiezione speciale di Via col vento prevista per il prossimo 23 giugno, in occasione della riapertura dei cinema nazionali dopo l’emergenza sanitaria, contribuendo all’inasprimento degli animi.
È indubbio, nonostante l’amaro in bocca lasciato dalla negazione del principio di autodeterminazione dello spettatore, che Via col vento resti un grande film, a prescindere dagli stereotipi di cui è infarcito e che oggi, a distanza di anni, fanno persino un po’ sorridere nella loro vetustà. La pellicola, autentico kolossal della durata integrale di quattro ore, è la massima espressione del cinema hollywoodiano dell’epoca, con le sue immense epopee, le magniloquenti scenografie, i drammi passionali riproducenti che stagliano emozioni e sentimenti primari (odio, amore, gelosia, vendetta, desiderio di riscatto) sullo sfondo di periodi salienti della storia americana.
Il romanzo della Mitchell da cui è tratta, della lunghezza di oltre mille pagine, era molto popolare all’epoca delle riprese e quel 15 dicembre 1939 più di duemila si accalcarono nella sala del Grand Theatre di Atlanta, stimolati dalla curiosità di vedere dal vivo i propri divi preferiti, coloro che avevano prestato i loro volti ai personaggi romantici (proprio perché animati da istinti e pulsioni primarie) di Rossella O’Hara, Rhett Butler, Ashley Wilkes e Melania Hamilton, fra l’altro in un lungo periodo di lavorazione piuttosto travagliato.
Il trentenne produttore O’Selznick, innamoratosi del romanzo, era riuscito con non poca fatica a ottenerne i diritti, investendo moltissimo denaro in ciascuna fase organizzativa, dalla scrittura del soggetto alla regia e al reclutamento degli attori. La sceneggiatura venne riscritta più volte, da differenti mani (comprese quelle dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, costretto a non utilizzare parole che non si trovassero nel testo originale).
All’inizio la regia andò a George Cukor – il “regista delle donne” – che dovette subire le ripetute pressioni del produttore (sembra, inoltre, che fosse inviso a Clark Gable): dopo il suo abbandono arrivò Victor Fleming, ancora impegnato con il montaggio de Il mago di Oz. Fleming riuscì a portare a termine il film, non senza passare attraverso le forche caudine di O’Selznick (ragion per cui non si fece vedere all’anteprima, secondo alcune voci disturbato dal suo atteggiamento autocelebrativo).
Quanto alla costruzione del cast, O’Selznick preferì Clark Gable – allora sotto contratto con la potente Mgm – a Gary Cooper (il quale commentò: «Son felice che a rovinarsi con questo film sarà la faccia di Clark Gable e non quella di Gary Cooper») e ritardò l’inizio delle riprese per poterlo scritturare. L’attrice inglese Vivien Leigh – rivelatasi in seguito perfetta per il ruolo di Rossella O’Hara – venne scelta dopo una serie di provini a cui parteciparono più di mille candidate.
Furono allestiti una novantina di set differenti: le riprese si protrassero oltre cento giorni e videro l’utilizzo di più di duemilacinquecento comparse (si pensi soltanto alla grandiosa scena dell’incendio di Atlanta). La pellicola presentava anche la particolarità di essere girata in Technicolor.
In ultima analisi – come ha scritto John Wiley Jr. scrittore ed esperto sia dell’opera letteraria che cinematografica – Via col vento si è rivelato «il film in cui Hollywood fece Hollywood più che mai».
Via col vento (Gone with the Wind)
Regia: Victor Fleming (dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchell)
Origine: Usa, 1939, 217’
Cast: Clark Gable, Vivien Leigh, Leslie Howard, Olivia de Havilland, Thomas Mitchell, Hattie McDaniel, Laura Hope Crews, Evelyn Keyes, Ann Rutherford, Butterfly McQueen, Barbara O’Neil, Harry Davenport, Victor Jory
Soggetto: Margaret Mitchell
Sceneggiatura: Sidney Howard, Ben Hecht, David O. Selznick, Jo Swerling, John Van Druten
Fotografia: Ernest Haller, Lee Garmes
Musiche: Max Steiner, Adolph Deutsch, Heinz Roemheld
Montaggio: Hal C. Kern, James E. Newcom
Scenografia: William Cameron Menzies
Costumi: Walter Plunkett
Effetti: Jack Cosgrove, Lee Zavitz
Tratto da: romanzo omonimo di Margaret Mitchell
Produzione: David O. Selznick per Selznick International Pictures