“Io ti salverò”: nel labirinto della mente
Speciale Hitchcock: un film sulla psicoanalisi e nello stesso tempo un’opera profondamente critica verso la stessa e della quale vengono messi in evidenza limiti e irresolutezze
CINEMA – A Hollywood dalla fine degli anni Trenta – messo sotto contratto dalla Paramount del potente David O. Selznick – Alfred Hitchcock approda nel 1945 alla sceneggiatura di Io ti salverò (Spellbound nella versione originale inglese, aggettivo del tutto azzeccato che mette in rilievo lo stato di fascinazione, di “incantamento” di cui sono preda i protagonisti della storia), tratta dal romanzo The House of Dr. Edwardes di Francees Beeding (1927).
«Era il romanzo che era veramente folle», confessa il regista nella lunga intervista concessa a Francois Truffaut e pubblicata nel libro Il cinema secondo Hitchcock (1966). «The House of Dr. Edwardes era un romanzo melodrammatico e raccontava la storia di un pazzo che si impadronisce di un manicomio; anche le infermiere erano pazze e facevano cose assurde. La mia intenzione era più ragionevole, volevo solo girare il primo film di psicoanalisi. Ho lavorato con Ben Hecht che aveva frequenti contatti con psicoanalisti famosi».
È proprio nell’affermazione hitchcockiana, in parte contraddittoria, sulla volontà di realizzare “il primo film di psicoanalisi” che si fonda la complessità della pellicola, con l’evidente discrasia fra l’obiettivo del produttore O. Selznick di approfondire la tematica e l’esito finale, «una storia di caccia all’uomo, presentata qui in un involucro di pseudo-psicoanalisi», secondo la definizione dello stesso regista.
Io ti salverò si rivela, dunque, un film sulla psicoanalisi (la didascalia iniziale ne esplicita forme e contenuti, a uso e consumo dello spettatore) e – nello stesso tempo – un’opera profondamente critica verso la stessa e della quale vengono messi in evidenza limiti e irresolutezze: soprattutto per quanto concerne la pratica dell’ipnosi terapeutica, come ben testimoniato dalla vicenda sentimentale e professionale che coinvolge la dottoressa Constance Petersen (Ingrid Bergman, che qui inizia una proficua collaborazione con Hitchcock, divenendo una delle sue figure femminili archetipiche), in forze alla clinica psichiatrica Green Manors, e il dottor Anthony Edward/John Ballantine (un Gregory Peck dal viso inquieto e ombroso, impegnato in un doppio ruolo).
La narrazione trascolora quasi subito nell’ambiguità di un serrato thriller a sfondo psicologico, in cui l’irresistibile sentimento che nasce fra Constance e Anthony/John (da un lato lo psichiatra affermato, autore – non a caso – di un testo quale Il Complesso di Colpevolezza, dall’altro il paziente nevrotico e ossessionato, anche a livello visivo, da un passato oscuro) non fa che rafforzare il paradosso dell’assunto iniziale.
Se è vero, infatti, che l’intervento terapeutico con l’impiego dell’ipnosi praticato dal dottor Brulov (Michael Chekhov, nipote dello scrittore Anton e maestro di recitazione di molti divi hollywoodiani dell’epoca) si configura come risolutivo per l’emergere della verità e la risoluzione del caso, è anche assodato che ci si approda grazie alla profonda convinzione da parte di Constance dell’innocenza di Ballantine.
Il film è un sapiente e spettacolare gioco di specchi, di rimandi incrociati, di incastri, che si avvale per tenere alta la suspence di un’affascinante messinscena, tesa a rendere visibili agli occhi dello spettatore il senso d’angoscia, il complesso di colpa, la rimozione del trauma, il sogno, ma facendo a meno dei tradizionali effetti tecnici sino ad allora sfruttati.
Nello specifico, la scena in cui Brulov offre un bicchiere di latte a Ballantine, con il biancore della bevanda che finisce per espandersi all’interno dell’inquadratura, saturandola (il rimosso dell’uomo si esprime spesso attraverso la fobia procurata dalla visione di righe nere parallele su di un fondale bianco), acquista un altissimo valore immaginifico, così come la ben nota sequenza del sogno, per cui Hitchcock richiede l’intervento del genio del surrealismo Salvador Dalì.
«Quando siamo arrivati alle sequenze oniriche, ho voluto rompere nella maniera più assoluta con il modo tradizionale in cui il cinema presenta i sogni, con la nebbia che confonde i contorni delle immagini, lo schermo che trema, ecc.», ricorda il regista nella celebre intervista a cura di Truffaut. «Ho chiesto a Selznick di assicurarsi la collaborazione di Salvador Dalì. Selznick ha acconsentito, ma sono convinto che ha pensato che volessi Dalì per la pubblicità che ci avrebbe fatto. L’unica ragione era la mia volontà di ottenere dei sogni visivi con dei tratti netti e chiari, con delle immagini più chiare di quelle del film. Volevo Dalì per il segno netto e affilato della sua architettura – De Chirico è molto simile – le ombre lunghe, le distanze che sembrano infinite, le linee che convergono nella prospettiva… i volti senza forma…».
Straordinaria anche la scena finale (che richiese la costruzione di un’enorme mano fittizia da piazzare davanti alla macchina da presa), con la canna della pistola del vero responsabile di quanto accaduto che – dapprima rivolta verso Constance – ruota di 180 gradi, puntando direttamente sullo spettatore.
Con Io ti salverò Hitchock è riuscito a dar corpo visivamente a una materia – i movimenti dell’inconscio – troppo sfuggente per ambire, almeno sino a quel momento, ad una rappresentazione meno eterea.
Il tema psicoanalitico, così come le complesse relazioni tra i personaggi, immersi nel contesto di una trama poliziesca, rendono l’opera una curiosa ma riuscita commistione di elementi narrativi eterogenei, espressione di quella marca stilistica che ha reso così riconoscibili nel tempo le produzioni hitchcockiane, ammantandole di classicità.
La pellicola, premiata con l’Oscar per la miglior colonna sonora, è fruibile in streaming gratuito sulla piattaforma di YouTube.
Io ti salverò (Spellbound)
Regia: Alfred Hitchcock
Origine: Usa, 1945, 118’
Interpreti: Ingrid Bergman, Gregory Peck, Art Baker, Leo G. Carroll, Michael Chekhov, Donald Curtis, John Emery, Wallace Ford, Rhonda Fleming, Steven Geray, Bill Goodwin, Paul Harvey, Norman Lloyd, Regis Toomey
Sceneggiatura: Ben Hecht
Fotografia: George Barnes
Montaggio: Hal C. Kern
Colonna sonora: Miklós Rózsa
Produzione: Selznick International Pictures, Vanguard Films