Valenza negli anni ’60
Continua la rassegna di approfondimenti sulla storia cittadina
VALENZA – Il “miracolo economico” italiano dura sino al 1963 quando i cancelli dell’Eden si chiudono giacché si decide di mettere un freno alla spesa pubblica, di limitare il credito e di contenere i salari. L’economia italiana perde quindi i suoi connotati di stabilità, il livello dei prezzi e dei salari crescono velocemente, dando luogo ad un sensibile processo d’inflazione. Si conclude il periodo di sviluppo durato più di un decennio, eppure sono questi gli anni in cui molti italiani realizzano i propri sogni: l’automobile, la televisione, ecc.
Valenza, prima della classe tra le cittadine della provincia e non solo, è invece negli anni ’60 una città in rapida espansione e senza gravi problemi; ricca di case lussuose, d’autoveicoli e di comfort moderni: in poche parole, una città dal benessere diffuso con indici di reddito e d’occupazione elevati. Questo decennio diverrà un passato da rimpiangere (c’è sempre un’età splendida da recriminare).
Nel Comune, che conta nel 1961 una popolazione residente di 18.536 unità, si sono riversati in pochi anni circa 5.000 immigrati provenienti dal Meridione, dal Veneto e dalle zone limitrofe (da quest’ultime, in particolare, d’età giovanile). Dieci anni dopo, nel 1971, gli abitanti superano i 23 mila, i nati dell’anno sono 248, i morti 197, gli immigrati 614, gli emigrati 538. Gli anni dove la differenza tra immigrati ed emigrati è più alta sono il 1962 (+ 580) e il 1963 (+ 538). I pensionati passano da 1.703 ( 1961) a 3.412 (1971).
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Le abitazioni che sono 6.298 nel 1961 diventano 8.449 nel 1971 (occupate 7.720), di cui 2.053 con superficie fino a 50 mq; 4.442 da 51 a 95 mq; 1.157 da 96 a 120 mq. Nel 1971 il rapporto è di circa una stanza per abitante, il che manifesta una situazione di carenza sorprendente per una città a reddito medio-alto. Sempre nel 1971, su un totale di 7.606 abitazioni occupate fornite di gabinetto, 1.183 lo hanno esternamente, mentre 6.423 lo hanno all’interno; nel 1961 erano 2.599 e 3.464.
La ricchezza netta delle famiglie è però tra le più elevate, con un persistente aumento dei valori immobiliari, i quali offrono una sicurezza di fondo a larghi strati della cittadinanza. Gli operai si costruiscono la casa, si comprano l’automobile, gira più denaro, però a fine decennio qualcosa comincerà a diventare più torbido. Ma forse il dato più semplice e visivo del progresso che si sviluppa in questo periodo è questo: nel 1970 a Valenza risultano immatricolate circa 7.000 automobili, il doppio di 10 anni prima e più del doppio della media del Paese.
L’economia della città è ormai da tempo imperniata su due settori trainanti, l’oreficeria e le calzature, quest’ultima, al contrario della prima, è però in netta regressione rispetto al passato. La maggior parte dei giovani lavorano nell’oreficeria, diversi d’età media sono occupati nel settore della calzatura, mentre per i più anziani, non qualificati, l’occupazione prevalente è nell’edilizia e in altri settori subalterni dove svolgono per lo più lavori di manovalanza. C’è anche tanta economia sommersa, una situazione che rende molti lavoratori invisibili, privi di tutele e dei diritti fondamentali di una società veramente democratica.
La caratteristica più peculiare di Valenza è quella di essere sempre più strutturata in aziende orafe di ridotte dimensioni dove si vive in una condizione di sublimazione economica, dove il fisco è una vessazione per i pochi che lo pagano e un Eldorado per i tanti che lo evadono. Del migliaio di aziende orafe pochissime versano realmente quanto dovrebbero al fisco o alla previdenza sociale dei dipendenti. Regna un rapporto di lavoro paternalistico, il datore di lavoro è prodigo in premi, ferie, permessi e paga (per buona parte in nero), e il lavoratore è soddisfatto; alla sicurezza di un rapporto in regola preferisce, o subisce, la generosità benevola e interessata del datore di lavoro. Una stima effettuata sul reddito procapite del 1965 dà i seguenti risultati: Italia 553 mila, Provincia di Alessandria 557 mila, Valenza 800 mila.
Nel 1970 le imprese operanti nell’oreficeria sono circa un migliaio, quasi raddoppiate in 10 anni e hanno sfiorato le 1.300 verso la metà del decennio. Gli occupati nel settore (commercio compreso) sono nel 1970 circa 6.000, di poco superiori a quelli di dieci anni prima, ed anche questi hanno quasi raggiunto i 10 mila negli anni 1965-66.
È l’Associazione Orafa una delle realtà più attive per iniziative di promozione: la Mostra permanente, l’Export orafi, le mostre viaggianti. Presidente per quasi un ventennio (dal 1957 al 1974) è il carismatico Luigi Illario, il vero “ideologo” dell’oreficeria valenzana, senza troppe scosse, sempre in sella. Nel luglio 1965, in occasione del ventennale dell’associazione, è allestita, in via del tutto sperimentale e dimostrativo, una mostra del gioiello con 120 aziende espositrici; un’esperienza che dopo pochi anni diventerà un appuntamento fisso annuale.
Tra gli operai, in questi anni, continua il travaso dal settore calzaturiero verso quello orafo tanto che nel 1967 i lavoratori della calzatura si sono ormai ridotti a poco più di un migliaio (erano più di 2.000 all’inizio del decennio).
Nel commercio al minuto le licenze comunali (nel 1970: 235 alimentari, 233 non alimentari) hanno da sempre tutelato il singolo bottegaio dalla concorrenza, concedendogli una sorta d’esclusiva, ma per loro diventa ormai sempre più allarmante l’apertura di piccoli supermercati (sono già quattro nel 1970). Le unità locali di tutto il settore commercio sono 515 nel 1961 e 698 nel 1971, gli addetti passano da 974 a 1.612 (una buona parte è però commercio di preziosi che si rivolge all’esterno).
Tra gli operatori orafi esiste una particolare categoria di lavoratori liberi: i viaggiatori o venditori con “la valigia”. Essi rispondono alle esigenze dei dettaglianti di avere prodotti riservati o, almeno, molto diversificati, raggiungono tutti i venditori al dettaglio che comunque non verrebbero assiduamente ad acquistare a Valenza. Con lo spread della compra/vendita hanno finora controllato il mercato nazionale e spesso ottenuto utili superiori alle aziende produttrici. Questa fiammeggiante categoria, che in passato poteva essere definita con ragione privilegiata, ha però sempre più problemi. Il più scottante e drammatico è quello delle crescenti rapine,
Nei servizi gli addetti passano nel decennio da 145 a 220, nel credito-assicurazioni da 70 a 120, nei trasporti da 146 a 245. Gli attivi (tra i residenti) in agricoltura sono circa un migliaio nel 1960 che si riducono alla metà nel 1970.
Ancora rilevanti ai fini occupazionali sono in questo periodo le due aziende di laterizi che danno lavoro a circa 100 persone. Altro settore che assorbe un certo numero di dipendenti è quello dei caschi e delle selle (Agv di Amisano – Pronzato – Farris). Tra le aziende pubbliche locali il Comune, con circa 100, ed il Mauriziano, con circa 70, accolgono un numero rilevante di lavoratori. La Camera del Lavoro locale nel 1965 raccoglie 2.200 iscritti, di cui 950 calzaturieri.
Cresce la speculazione sulle aree fabbricabili, che nasce dal prezzo elevato dei suoli e che dipende dalla loro scarsità in rapporto alla domanda e alle limitazioni poste dalla normativa. Ne risulta favorita l’industria delle costruzioni che può contare su profitti cospicui e sicuri. Nei censimenti 1961-1971 le unità locali (imprese) del settore costruzioni passano da 25 a 108 e gli addetti da 375 a 401.
Le trasformazioni economico-sociali del nostro Paese negli anni 60 sono accompagnate, sul piano politico, da una nuova forma di governo, “il centro-sinistra”. Ma è il ’68, con la protesta collettiva giovanile, che fa scoprire una dimensione nuova del politico sociale.
A Valenza, dopo la solita affermazione socialcomunista nelle comunali del novembre 1960 (il PCI ottiene 13 seggi, la DC 10, lo PSI 4 e lo PSDI 3) e la riconferma del sindaco, nelle elezioni politiche dell’aprile 1963, per la seconda volta dal dopoguerra, entra un valenzano in Parlamento: è il sindaco della città Luciano Lenti che è eletto alla Camera nelle liste del PCI con ben 16.080 voti di preferenza (confermato di nuovo nel 1968). Alla Camera (1963) il PCI ottiene il 44%, DC 26%, PSI 13%, PSDI 8%.
Ben presto, nell’ottobre 1964, la locomotiva elettorale è nuovamente in pieno movimento, e i vari partiti stanno preparandosi ad affrontare la sfida che porterà al voto del 22 novembre per il rinnovo del Consiglio comunale. Annusando bene si sente odore di cambiamento, ma pochi prevedono il preambolo del periodo politico tanto convulso che resterà come uno dei più ricchi di contraccolpi nell’esercizio del governo di questa città. Si dovrà votare per ben tre volte in due anni per riuscire a dare una nuova Giunta comunale ed amministrativa alla città e la ricerca del dialogo tra le parti parrà una sorta di Santo Graal. Il fatto incontrovertibile che sconvolge il rapporto di maggioranza in queste, e nelle successive, elezioni amministrative comunali, è la divisione dei due partiti socialisti che certo non giova alla sinistra (lo PSI abbandona il PCI): è arrivato a maturazione uno scontro aspro e inusitato che si era manifestato già all’indomani della nascita dello PSIUP (principale e involontario artefice della crisi). Infine, dopo tre “match” infruttuosi finiti alla pari (15 a 15 i consiglieri eletti) e il logorio inglorioso e snervante della mediazione, dietro le minacce roboanti si avverte la volontà di scendere a patti per non seguitare a farsi male. Infatti, nella seduta del 19 febbraio 1966, viene eletta una Giunta “di salute pubblica”, chiamata anche tecnico-amministrativa, condotta dall’integro ed austero sindaco indipendente PCI Virginio Piacentini.
L’accordo viene visto come un piano di rifugio più che un patto con il diavolo, tra calibrature e compensazioni (giunta iniziale senza i DC, inseriti poi un anno dopo), sotto la morbosa necessità di stare assieme, anche se già dopo poco tempo non ci si sopporta più e non si combina granché. Un esecutivo comunale meticcio che non fa male a nessuno in modo particolare, ma a tutti in forma lieve.
Risultati delle elezioni comunali del 22-11-1964: PCI 43,03%, DC 31,95%, PSI 8,57%, PSIUP 5,48%, PSDI 7,90, PLI 3,07. In quelle del 28-11-1965: PCI 44,23%, DC 32,61%, PSI 7,63, PSIUP 4,47, PSDI 8,71, PLI 2,35. In quelle del 28-11-1966: PCI+PSIUP 48,94%, DC 32,29, PSI+PSDI 16,15%, PLI 2,62
Nelle politiche del maggio 1968 (Camera) il PCI ottiene il 44%, DC il 29%, PSU il 17%, PSIUP il 5%.
Infine, come in tutto il Paese, a fine anni 60 Valenza diventa un ampio e instabile container ove bollono, sotto il fuoco della contestazione studentesca e della ripresa consistente delle lotte operaie, vari presupposti o indirizzi politici. Centro sinistra, riformista, gradualista, sinistra istituzionale (al governo della città), rivoluzionaria (di una piccola ciurma irrequieta, che fa riferimento ai gruppuscoli extra parlamentari), di ritorno all’ordine (che fa riferimento ad una certa borghesia moralista a ciance) e qualche salotto snob con tutto il suo aureo vaniloquio (una specie separata da quella della gente comune): ciascun convinto d’avere ragione e d’essere vittima.