“Un giorno devi andare”: Augusta alla scoperta del mondo
Un film molto più complesso di quanto appaia, sospeso tra due precipizi - la nascita e la morte - che il regista bolognese esplora in punta di piedi e con grande rispetto
CINEMA – Un giorno senti che devi cambiare vita, che non puoi più stare dove stavi, che devi andare, devi essere, devi sperare.
Augusta (Jasmine Trinca, premiata con il David di Donatello 2020 per La dea fortuna di Ferzan Özpetek e oramai una consolidata certezza per il cinema italiano) è una giovane donna in fuga: la natura della pena da cui cerca di allontanarsi non è – tuttavia – un elemento fondamentale, nel film di Giorgio Diritti, l’autore de Il vento fa il suo giro (2005), L’uomo che verrà (2009) e del recentissimo Volevo nascondermi, premiato la scorsa primavera alla Berlinale per la miglior interpretazione maschile di Elio Germano.
Quello che conta è il viaggio, il lungo percorso che la condurrà all’incontro con un altro pianeta – l’Amazzonia – agli antipodi rispetto all’Occidente, eppure già così miseramente pregno dei suoi scarti, delle sue ambiguità e contraddizioni.
Non è neppure questo, in fondo, il tema portante della storia, supportata – come spesso accade nelle opere di Diritti – da una splendida fotografia di scenari naturali che rivendicano, a tratti, la medesima carica affabulatoria di certi panorami herzoghiani.
Quello di Augusta è un viaggio interiore che inizia da uno sguardo, da una luna che trascolora nell’ecografia di un bambino (molto probabilmente) mai nato, e si conclude a contatto con l’utero caldo, fecondo e liquido di una terra-divinità, senso e misura del mondo.
L’Amazzonia di forti contrasti, di vivide luci e colori, di suoni, è l’immagine opposta e speculare del Trentino dall’algida bellezza che rappresenta le origini di Augusta: mentre i silenzi dello spirito e del cuore sembrano farsi materia pesante in rapporti parentali e di fede interamente declinati al femminile. Lo testimonia la madre stessa della giovane donna, Anna (Anne Alvaro), francese, a sua volta da sola a confrontarsi con la scomparsa del marito, la malattia dell’anziana madre (Sonia Gessner) e l’allontanamento da Augusta, entro una comunità religiosa le cui regole e liturgie finiscono con l’apparire, di fronte al misticismo spontaneo e gioioso praticato dalla comunità locale di Manaus in Brasile, nient’altro che vuoti apparati.
Fondamentale, per il cammino di ricerca intrapreso da Augusta, è un’ulteriore figura femminile, quella incarnata da suor Franca (Pia Engleberth), che le offre un modello possibile di religiosità e di struttura sociale, pur lasciandola libera di compiere – alla fine – una scelta radicalmente diversa.
«Già nel film precedente, L’uomo che verrà, c’era una dimensione femminile molto forte», ha spiegato Diritti nel corso di un’intervista a due voci rilasciata a “Movieplayer” nel 2013. «Purtroppo la storia ci racconta di uomini orgogliosi, potenti, importanti, ma che spesso si comportati male nei confronti della società; la donna invece è tutela della vita, anzi è il tempio della vita e per sua natura è accogliente. Lo sguardo delle donne ha un senso di apertura e fiducia nel mondo, la sensibilità femminile è preziosa in ogni ambito. Nelle donne sento una capacità di rapportarsi alle cose della vita con accoglienza».
«Ora voglio essere terra, dimenticarmi di Dio… la fede sei tu, quello che senti nella tua anima», afferma Augusta in un momento del suo viaggio, accompagnata – non a caso – dalla lettura di “Attesa di Dio” della mistica Simone Weil: ma la sua domanda sul senso, come quella di ciascun uomo, non si esaurirà nel semplice movimento che scandisce il trascorrere dei giorni e il finale della storia (come accade nella vita) rimarrà aperto ad ogni possibile e soggettiva risposta.
«Volevo cogliere l’occasione del viaggio per spingere gli spettatori a fare un percorso al fianco di Augusta, quel percorso che la spinge a scoprire le cose, le emozioni interiori», ha sottolineato il regista durante l’intervista. «È stata anche un’occasione per confrontarsi con quelle cose che definisci le priorità. Il cuore di questo film è forse il desiderio di essere felici o di vivere meglio. Anni di consumismo e di promesse ci hanno portato sì ad un’evoluzione tecnologica e sociale, ma anche ad un senso di oppressione, pesantezza, angoscia. Non bisogna per forza andare in Brasile per scoprire questa cosa, anche camminando per Roma o per Fregene si può realizzare questa scoperta, ossia vedere le cose in modo diverso, farsi travolgere dalla risata di un bambino che corre verso di te».
«Chi è Augusta?», ha aggiunto Jasmine Trinca. «È una donna che fugge dalle proprie certezze, da casa sua, da una famiglia femminile, una persona che trasforma il suo dolore in un interruttore, che trova nella disperazione una strada e che, a dispetto del fatto di non poter più avere figli, e si rigenera e fiorisce. Perché in fondo riesce ad essere madre anche con le altre persone ed è bello che a incarnare tutto ciò sia una donna».
Un giorno devi andare è un film molto più complesso di quanto appaia, sospeso tra due precipizi – la nascita e la morte – che il regista bolognese esplora in punta di piedi e con grande rispetto.
Dove si trova, allora, Augusta, alla fine del viaggio? Risponde Diritti: «È nel suo cuore, dove sta bene».
Il film è fruibile in streaming gratuito sulla piattaforma Rai Play.
Un giorno devi andare
Regia: Giorgio Diritti
Origine: Italia, 2013, 110’
Cast: Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner, Paulo De Souza, Amanda Fonseca Galvão, Federica Fracassi, Eder Frota Dos Santos
Soggetto: Giorgio Diritti, Fredo Valla
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Tania Pedroni, Fredo Valla
Fotografia: Roberto Cimatti
Scenografia: Jean-Louis Leblanc, Paola Comencini
Costumi: Hellen Crysthine Bentes Gomes, Lia Morandini
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Marco Biscarini, Daniele Furlati
Suono: Carlo Missidenti
Produzione: Simone Bachini, Giorgio Diritti, Lionello Cerri in collaborazione con Valerio De Paolis per Aranciafilm, Lumière & Co., Rai Cinema, in Associazione con Wild Bunch
Distribuzione: BIM