Face to face: Giuliano è nato in terra di Camorra, tra oppressi e oppressori
Un duro attacco contro la Polizia, lo Stato e le istituzioni carcerarie
FACE TO FACE – Nato in terra di camorra e mandato a lavorare già a dieci anni, Giuliano è durissimo nei confronti dello Stato, della Polizia e delle istituzioni carcerarie. Per lui il mondo si divide in oppressi oppressori. Parole di riconoscenza e gratitudine verso i volontari, da cui arriva una spinta morale importante:«Mi hanno reso migliore».
TUTTI I RACCONTI – La raccolta del progetto Face to Face
Terra
Ciao mi chiamo Giuliano, voglio raccontarti a mio dire di come un uomo viene annullato dalle istituzioni, di come rubano la vita ad un bambino che poi da uomo si ritrova qui, dove siamo oggi. Sono nato nella periferia della bella città di Caserta, dove ogni giorno c’erano morti ammazzati dalla criminalità. Di sera c’era il coprifuoco, le persone avevano paura, ma nessuno diceva niente, nessuno si lamentava, una cosa assurda a vostro dire, che dal nord Italia ci giudicate in malo modo.
Anch’io ci ho messo tempo per capire dove sbagliavamo, dove continuiamo ancora oggi a sbagliare, ma cos’è sbagliare? Un uomo può rovinare la sua vita per uno sbaglio? No non può. Ma chi permette a tutti noi di sbagliare o a chi fa comodo che sbagliamo? Te la sei mai posta questa domanda?
Quando penso alla mia vita come sarebbe stata se invece di fare tante cose illecite, avessi avuto la possibilità di studiare, è quando passando per strada, mi avrebbero chiamato Sig. avvocato o Sig. dottore.
Invece no, io sono semplicemente Giuliano, un delinquente, una vergogna per il mio paese e per le persone che si dichiarano oneste.
Ora ti dico come la penso io o, come la vedo riguardo chi giudica la povera gente, che è costretta a delinquere, per portare un pezzo di pane ai suoi figli.
Dimmi mio caro amico che ascolti, secondo te i delinquenti siamo solo noi che ci troviamo in carcere a scontare le nostre malefatte? NO, non siamo solo noi.
Mio caro amico pensa a chi commette un furto per dare da mangiare al proprio bambino, o per cercare di comprargli i libri per la scuola, per dargli un futuro migliore, e poi pensa a un politico corrotto che ruba milioni di euro, che prima di arrivare al potere politico prometteva un futuro migliore proprio a quel genitore che è andato a rubare per il proprio figlio.
Ora ti domanderai, dove voglio andare a parare con questo, tutti e due hanno commesso reato contro le nostre leggi, contro il popolo, contro il patrimonio. Eppure la legge non condanna in pari misura, tutti e due hanno rubato, ma al povero genitore per un pezzo di pane, viene data la condanna più alta, mettiamo tre anni, e li sconta tutti, questo è sicuro.
Mentre il politico che ha rubato milioni di euro, prende anche lui tre anni, ma lui è un politico e il giudice gli dai domiciliari in una villa con piscina di sua proprietà, magari intestata ad altri, e lui risulta affittuario. Poi al povero viene chiesto il risarcimento per il danno, altrimenti la condanna aumenta e, di sicuro aumenta, perché non può pagarla. Mentre il politico furbo collabora con il magistrato, mettendo in mezzo qualcuno che lo stesso magistrato vuole far fuori, per fare carriera. Così iniziano accordi infami e assurdi in modo che i veri delinquenti la passano sempre liscia, tenendosi capre e cavoli. Vedi, a mio dire, è sempre il povero che subisce e, come si ribella, viene marcato delinquente.
Quando ero piccolo, non avevo nulla, solo la mia bella famiglia numerosa, che siamo ancora oggi, dovevo lavorare per dodici, quattordici ore al giorno a soli dieci anni, per diecimila lire di paga a settimana, e qualche volta non venivo neanche pagato. Ero comunque felice perché aiutavo la mia famiglia. Un paio di scarpe nuove a Natale, per me e i miei fratelli, erano una festa. I miei giocattoli erano gli attrezzi per lavorare, i miei genitori ci educavano in modo onesto.
La vita andava avanti, crescevo, vedevo il mondo, speranze di vita migliore, ci ero riuscito, avevo aperto una sala giochi con un piccolo bar, vedevo i miei primi guadagni, da lì andai avanti. Entrai nella distribuzione alimentare, avendo un contatto con un noto marchio del settore, ero felicissimo, ce l’avevo fatta, ma proprio allora iniziarono i guai.
Le forze dell’ordine non potevano credere che un ragazzo dal nulla, fosse riuscito a tirarsi fuori dalla melma che infangava la città, dovevo essere per forza un delinquente, se no non era possibile fare quello che avevo fatto io con tanta fatica.
Iniziarono le domande alle persone che si fornivano da me, qualcuno fu minacciato dalle forze dell’ordine che, se non diceva qualcosa contro di me, gli avrebbero chiuso l’attività. Perché così fanno i nostri cari poliziotti, quando si mettono in testa che ti devono rovinare, solo per fare i loro arresti.
In fine nel giro di qualche anno, persi quasi tutti i clienti e dovetti chiudere bottega.
Mi rimaneva la sala giochi con il piccolo bar, ma anche quest’attività durò ancora poco, facevano di continuo perquisizioni, senza trovare mai nulla di quello che cercavano, le persone si allontanarono anche da lì, dovetti chiudere.
Ero amareggiato, mi dicevo, ho sempre lavorato onestamente, perché tutto questo? Un giorno disperato, senza soldi, neanche per pagare un gelato alla mia ragazza, ho ceduto, mi sono sporcato, ho iniziato a fare tutto ciò che andava contro le leggi che avevano dato potere a quelle persone di inguaiarmi a quel modo, senza motivo.
Poi la vita mi ha presentato il conto, ora mi trovo in carcere da dodici anni e ne devo scontare ancora venti.
Non mi pento di quello che ho fatto, perché mi ha dato il pane quando morivo di fame, ma so che non è stato giusto, ma neanche quello che ho subito dalle istituzioni è stato giusto.
Ora in carcere non è cambiato nulla, siamo in balia di persone che fanno della nostra vita quello che vogliono. Sentirai spesso parlare di reinserimento, rieducazione per tornare nella società, solo parole: educatori che se ne fregano di come stai, servizi sanitari che ci curano come bestie, o forse peggio e le guardie che ci trattano secondo come si svegliano la mattina e guai a ribellarsi, hai finito di vivere.
Fuori, se parli con queste persone, dicono che loro fanno di tutto per aiutarci. Non è vero, sono solo parole per farsi belli davanti alle persone che non sanno che cosa accade all’interno di un istituto penitenziario. Ancora una volta, trovo solo condanna, oppressione e torture, da parte di chi dovrebbe aiutare, tutelare i diritti per i quali ha giurato, farli valere, come un medico nel curare, un educatore nel rieducare, senza pregiudizio.
Difendere i diritti di un uomo rinchiuso in quattro mura, abbandonato al suo crudele destino. Così le guardie dovrebbero far rispettare le leggi, ma quali? Le loro? Fatte di abusi di potere e minacce e, quando vedono che stai migliorando la tua vita, partecipando a qualcosa di rieducativo, bloccarti in ogni modo, al punto da farti abbandonare il progetto!
Vedi, secondo me, in questo contesto, in questa società non ci sono buoni e cattivi, ma oppressi e oppressori.
Io mi ritengo in pace con tutti, con la mia famiglia, con la società e con la legge, perché sto scontando la mia condanna, sto pagando il debito con la società.
Ho sbagliato. Ho sbagliato a fidarmi dello stato, del politico, dell’educatore, della guardia, purtroppo anche di qualche amico.
Ho sbagliato a non fidarmi dei miei genitori, quando mi dicevano di sopportare, di vivere onestamente, come avevano fatto loro.
Ho sbagliato a non chiedere scusa a chi veramente lo merita. Mio padre, mia madre, ora capisco cosa volevano insegnarmi, ma ero cieco e sordo, amareggiato da quello che avevo subito ingiustamente dallo stato, solo perché sono nato a Caserta. Scusatemi. Ma in questi anni ho anche incontrato brava gente, che mi hanno reso un uomo migliore: volontari pronti a difenderci perché vedevano con i loro occhi gli abusi a cui siamo sottoposti, professori, artisti, religiosi, tutti armati di grande gioia nel prestarci aiuto, senza nessun guadagno, solo per darci sollievo. Ognuno mi ha insegnato qualcosa.
Provo grande gratitudine nei confronti di tutte queste persone, ma provo anche un senso di colpa, perché a volte subiscono, insieme a noi, degli abusi, solo perché ci vogliono aiutare. Sono fermati dall’ignoranza, dal pregiudizio di chi ci gestisce, perché noi siamo colpevoli, siamo detenuti, siamo gli ultimi, quello che mai nessuno vorrebbe essere. Ma per loro no, siamo persone bisognose di aiuto e ci soccorrono. Grazie, grazie a tutti.
Sono Giuliano, devo scontare una condanna di trent’anni, sono cresciuto a Caserta, terra di camorra, terra di sofferenza, terra di abusi politici, terra che lo stato usa per nascondere le sue malefatte, terra che costringe i bambini a lavorare a dieci anni, quattordici ore al giorno, terra di persone umili e oneste, terra dove ci si accontenta di poco, terra dove i bambini sorridono anche se non hanno nulla.
Terra dove un giorno tornerò da uomo libero, da uomo onesto che ha pagato il suo debito.
PUNTATA 25