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    Cultura, Generic
    1 Ottobre 2019
    ore
    09:01 Logo Newsguard
    Vite in cella

    Face to face: l’amaro racconto di una vita segnata

    Dall'infanzia infelice per le strade di Tunisi al carcere di San Michele

    FACE TO FACE – Una vicenda tristemente emblematica. Il detenuto descrive l’infanzia nella povertà più completa a Tunisi. Morta la nonna, rimane senza casa e cresce per le strade della città. Un percorso che si conclude nel carcere di San Michele

    TUTTI I RACCONTI – La raccolta del progetto Face to Face

    Lettera a me stesso

    Sono nato nel 1983 a Tunisi, la mia famiglia era povera.
    All’età di quattro anni fui mandato a vivere da mia nonna perché i miei genitori facevano molta fatica a sfamare tutti i figli, mio padre, infatti, era costretto a letto da una grave malattia e si tirava avanti solo con ciò che guadagnava la mamma, che lavorava in una fabbrica tessile.
    Mia nonna, che viveva da sola, fu molto felice di accogliermi ed io mi adattai presto a vivere con lei, aiutando per quel che potevo in casa.
    E venne la primavera del 1995, un giorno che non potrò mai scordare: tornavo da scuola e, quando sono arrivato a casa, c’era tanta gente, c’era mia madre e tutti i miei fratelli.
    Quel giorno a casa di mia nonna, mancava solo mio padre, costretto a letto e, dentro di me dicevo: “è successo qualcosa di molto grave!”

    Mia madre era seduta sul prato davanti alla casa e, quando mi vide, si alzò e si mise a piangere.
    Mi prese in braccio, stringendomi forte forte e, con una voce graffiata dal pianto, mi annunciò che la nonna era morta.
    Caddi per terra, non riuscivo a credere di avere perso la persona più importante: Mia Nonna. E dall’età di dodici anni, io, la solitudine e la malinconia, camminiamo, tutti e tre fianco a fianco, senza parlarci.
    Non sono più tornato in casa di mia nonna, ma ho dormito in strada.
    La strada, è lei che ti culla, quando la vita ti nega, la ninna nanna di una mamma.
    La strada ti dà da mangiare, quando la vita ti toglie le forti braccia di un padre.

    A cosa serve rientrare in quella casa, che la vita ti ha dato, se non è mai la stessa, se non è mai la tua?
    La strada, là si che ti senti a casa tua, lei non ha mura per racchiudere il dolore, la sofferenza, la rabbia, legati alla solitudine.
    La strada ti accoglie, ti cresce, ti sostiene. La vita poi ti presenta il conto.
    Ho sofferto la fame, non ho invidiato nessuno. Ho mentito per non fare pena agli altri, dall’età di dieci anni, ho cominciato a guadagnare il mio pane con il sudore.
    Adesso dormo in prigione, ho guardato le stelle per tante notti, fino a che si sono spente.
    Mi sono arrampicato sugli alberi a rubare i frutti, ho fatto dei sogni stupendi pieni di colore, sogni che mi fanno alzare la mattina.
    Oggi guardavo il percorso e il fare di una formichina, che trasportava un’altra formichina ferita, chissà dove andavano?

    L’aiuto reciproco a volte serve e, nello stesso tempo, avere chiaro il suo percorso. La mia vita è piena di delusione, sofferenze e tradimenti, è l’espressione di una grande confusione, è la difficoltà incompresa in un sistema balordo, che mi ha portato a fare scelte sbagliate.
    Raccontare la mia vita e il suo valore, è come risvegliarsi da un brusco ricordo di violenza e solitudine, ancora a me incomprese.
    Ora mi ritrovo a fare i conti con la mia coscienza, cercando di accantonare gli errori del passato.
    Senza dimenticare! Per non ricadere negli stessi meccanismi autodistruttivi, che mi hanno portato a vivere la mia attuale situazione.

    Oggi mi ritrovo rinchiuso dietro a questo blindo di sei sbarre.
    Mi sono stancato di farmi continuamente delle domande.
    Mi sono asciugato l’esistenza, non riuscirò a sostenere lo sguardo dei miei figli, senza il morso triste del rimpianto.
    Sarò solo, solo come non riesco ancora a immaginare, ma una cosa non la devo mai scordare: Ho fatto tutto quel che mi è parso, ho deciso tutto io e questa è stata la cosa più importante!
    Ho pagato forse più di quello che dovessi, ma sono arrivato, infine, proprio dove mi aspettavo, quindi: Ora togli il gomito dal tavolo e fatti sta cazzo di galera, che non se ne può proprio più.

    PUNTATA 23

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