Face to face: “Sinceramente non me lo aspettavo. Tutto qui”
FACE TO FACE – Sesta puntata di Face to Face, la rubrica di volti e racconti dal carcere. Un contenitore creato grazie al prezioso contributo di Massimo Orsi, ideatore di questo progetto socio-artistico. Oggi raccontiamo la storia di un detenuto che “semplicemente” non se l’aspettava.
TUTTI I RACCONTI – La raccolta del progetto Face to Face
Sinceramente non me lo aspettavo. Tutto qui
Sfrecciamo sulla circonvalmonte di Castelletto da un bel po’. Lui se la cava davvero bene con lo scooter, andiamo a zig zag in mezzo alle macchine sorpassando pure in curva. “oi ! datti una calmata che stai attirando troppa attenzione!”. “si frà ci siamo, ancora un poco”, risponde lui sorridendo.
Se la gode proprio e perché non dovrebbe? Siamo a metà luglio, vento in faccia, entrambi brilli dall’altra sera e questa T – Max è stupenda! In curva la moto decelera, senza dare precedenza all’autobus di fronte a noi nell’altra corsia, lui taglia la strada e si ferma nel vicolo stretto.
“Oi sei sicuro che le scale là sotto portano a Lagaccio?”chiedo senza togliermi il casco. Sono mezzo sudato per colpa dei jeans sopra ai pantaloncini e la maglietta nera sulla canottiera bianca.
Il piano è semplice, non mi sono mai piaciute le cose complicate! Entro prima io, chiedo di vedere degli anelli, dopo entra lui, io immobilizzo il tizio dietro il banco, lui svaligia il posto, chiudiamo insieme la serranda e ce ne andiamo. Lui con la moto ed io giù per le scale prendo lo scooter a Lagaccio.
“Dentro e fuori in pochi minuti”. “si”, risponde lui, “sempre giù poi a destra, toh vuoi anche il ferro?”. “In quanti sono dentro?”, chiedo a lui, “a quest’ora penso solo il gioielliere”, “ va boh frà vado solo con il coltello, aspetta cinque minuti dopo che sono entrato e poi entra. Quando sei entrato tu con il casco in testa, se mi serve, prendo il ferro. Dai vado e non fumare, non lasciare cicche per terra!”
Ora che sono solo posso pensare meglio, ho una sensazione strana, come se qualcosa fosse sbagliato. Non è paura, di certo non è quella. È da stamattina che ho un brutto presentimento.
Intanto proseguo lungo il marciapiede, guardando il mio riflesso nei vetri delle macchine, e, con la coda dell’occhio mi guardo in giro.
Attraverso e mi preparo a entrare. Controllo il mio respiro, aggiusto i Ray Ban e mi stampo un sorriso sulla faccia.
“Salve buongiorno”. “hei ciao”, rispondo alla ragazza dietro al banco. Ha una voce morbida e pure lei è morbida e bellissima. La classica ragazza che vedresti in un negozio d’intimo o di scarpe di marca, quel tipo di ragazza che proprio oggi non ci dovrebbe essere dietro a quel banco!
“Posso aiutarla?”. “Si, ma dammi del tu! Sto cercando un anello”. Mi meraviglio della mia voce, sembra quella di un adolescente che sta chiedendo di uscire a una. Lei capisce oh sì se capisce, è così bella, così padrona della situazione.
“Da uomo o da donna?”. Da un’occhiata alle mie mani che tengo appoggiate sul bancone di vetro, dove sono esposti articoli di bigiotteria e in oro e argento. “Si da donna”, rispondo muovendo il mignolo che porta un anello con la testa di serpe, oro e nero. “A me basta questo!”. “oh che bello!gli occhi sono dei rubini, vero?”. “Si”, rispondo sorridendo. “oh anelli da donna”, dice lei chinandosi a prendere qualcosa sotto il bancone.
In quel preciso istante entra lui. Ha il casco, una maschera contro lo smog e gli occhiali.
La ragazza rimane sorpresa, con il cofanetto degli anelli in mano e guarda nella mia direzione.
Io ho tirato fuori il coltello e, sotto il suo sguardo prima sorpreso e subito dopo terrorizzato, mi escono queste parole fredde e decise: “Si! Questa è una rapina.”
Lei in un attimo si trasforma in una bambola di cera, senza vita. Non urla, guarda il coltello e si tappa la bocca con le mani. Mi avvicino e le dico di seguirmi nell’altra stanzetta, lui ha già iniziato a mettere tutto ciò che è in vista nello zainetto. Mi segue ma respira a fatica. “Respira, fai dei respiri lunghi. Un paio di minuti ed è finita. Ancora un po’. Fatti coraggio e ti sembrerà che non sia successo nulla”.
Si sente il rumore dei vetri che si rompono, è il gran casino che viene dall’altra stanza.
Guardo la ragazza che finalmente respira meglio e ora inizia a parlare: “Perché a noi? Abbiamo aperto da poco!”. “ Oi non ho scelto mica io il posto! Dai, tuo padre sarà assicurato!”. “Non è mio padre ed è il mio quinto giorno di lavoro!”. “Mi dispiace”, le rispondo gesticolando e lei si allontana immediatamente da me.
Mentre sto parlando, ho ancora il coltello in mano, una lama da trenta centimetri, me ne accorgo e lo metto dietro, dentro i pantaloni e, con le mani aperte, le dico di avvicinarsi e di non avere paura.
Da una parte mi dispiace così tanto e mi chiedo “chissà se mai si riprenderà da questa esperienza”. Non sembra più la stessa ragazza così sicura e piena di sé di qualche minuto fa. Dall’altra sto già pensando a come spendere i soldi. Molto probabilmente una BMW e portarmi fuori una ragazza per bene come lei. Che mi trema accanto.
Che peccato non trovarmi dall’altra parte, dalla parte del cliente che entra e fa l’eroe, sicuramente lei mi ringrazierebbe! È così vicina a me ora che le sento il profumo dei capelli. Sudiamo entrambi, ma lei profuma, non puzza! È così bella ora! Praticamente mi alita sul petto.
“Dai andiamo! Su veloce!”. La voce di lui mi riporta alla realtà. “Senti bella noi andiamo, abbassiamo la serranda e dopo potrai uscire. Ora apriamo la porta. Se urli, ti scanno. Quando alzerai la serranda urla, chiama aiuto quanto vuoi. Non voglio lasciarti legata!”. “Ah”, lei annuisce con la testa e noi usciamo. Abbassiamo la serranda e ci dividiamo. Corro veloce per il vicolo e, fatti due scalini, mi fermo. Sento la moto che parte, mi tolgo la maglietta e i pantaloni e rimango con i pantaloncini corti e la canottiera, prendo una Camel Light e scendo piano piano gli scalini.
Ho la tasca che mi vibra, tiro fuori il cellulare e rispondo al messaggio. “Sto arrivando”, scrivo alla mia ragazza. Ogni giorno è uguale, dopo le sei mi scrive per assicurarsi che stia tornando a casa in tempo. Almeno ha smesso di telefonarmi continuamente.
Otto ore oggi in cantiere. Non mi lamento, mi piace il lavoro! A fine giornata quando vedo una stanza stuccata, un piano di marmo messo in bolla o un pavimento finito, sono soddisfatto e dimentico le fatiche. All’inizio era dura perché l’unico lavoro che mi lasciavano fare, era demolire e portare via i detriti. Era anche un bel modo per sfogarmi!
Buttare giù i muri.
Per costruire serve tempo e fatica, piano piano, giorno dopo giorno. Ho cercato di imparare e ho preso in mano il lavoro e la nuova professione nello stesso modo in cui ho ripreso in mano la mia vita.
C’è un limite a tutto e arriva il giorno in cui si deve pagare il ticket. Ho pagato e sto pagando. Lavoro, sono libero tutto il giorno fino alle sei e mezza di sera, quando devo rientrare e rimanere agli arresti domiciliari fino all’indomani mattina, per uscire di nuovo e andare al lavoro.
Avrei voluto dirle che sto già pagando. Avrei voluto dirle che mi è dispiaciuto e chiederle perdono. Invece sono rimasto fermo e muto!
Sinceramente non me lo aspettavo. Tutto qui!
Avevo preso il 17 a Quarto, direzione Brignole. Stanco dal lavoro ho trovato un posto libero e mi sono messo le cuffie nelle orecchie facendo finta di dormire, per non dover lasciare il posto a qualcun altro. A Brignole, avendo finito le siga, mi sono avviato verso il tabacchino della stazione. È piccolo ma lavorano in tre e sono veloci, anche se a volte, come oggi, c’è la fila.
Avevo una ragazza davanti e, quando se n’è andata, ho chiesto una Camel Light, appoggiando i cinque euro sul banco dello sportello, mentre con la sinistra rispondevo a un sms. Ero preso dal telefono, ma mi sono accorto che i cinque euro erano ancora lì.
Ho alzato lo sguardo e ho visto due occhi bellissimi che guardavano spalancati l’anello nella mano destra.
Lei non si stava muovendo così l’altra ragazza si è avvicinata e mi ha servito. Ho preso le siga e il resto e sono fuggito via.
Dio! Quanto avrei voluto dirle qualcosa, dirle che ho cambiato vita, dirle che pure dentro, in carcere, io la pensavo, che avrei voluto tornare indietro e magari entrare nella gioielleria solo per comprare, andandomene felice con una collana per la mia ragazza e lei sarebbe stata contenta perché aveva servito un cliente, assicurandosi il posto di lavoro.
Magari avrei potuto aprire bocca e salutarla, dire che mi faceva piacere vederla lavorare, oppure un semplice”Buonasera” con la promessa che non mi avrebbe mai più incrociato nella sua vita.
PUNTATA – 6