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    Face
    Cultura, Generic
    19 Luglio 2019
    ore
    09:55 Logo Newsguard
    Vite in cella

    Face to Face: “Io sono Giuseppe e questa è la mia storia”

    FACE TO FACE – Giuseppe è il nome  del detenuto della casa di reclusione di San Michele che ha scritto questo testo, molto duro sulla condizione di vita nelle carceri italiane. Non viene sottolineata non solo la mancanza fisica della libertà ma anche lo stato di alienazione in cui si trovano le persone rinchiuse come lui.

    TUTTI I RACCONTI – La raccolta del progetto Face to Face

    Buongiorno mi chiamo Giuseppe e questa è la mia storia.

    Una storia piccola, sì perché è solo parte di un errore, errore, che dopo un momento di sbandamento ha portato ad una condizionata situazione di bisogno, sbagliata al momento prima e, sicuro ora che siamo qui uno di fronte all’altro.

    Il carcere. La vita carceraria implica una diversa misura del tempo.

    È un posto dove la possibilità di esistere, di essere te stesso, viene contestato da eventi determinati da qualcun altro.

    La riduzione della possibilità di vivere è punizione stessa.

    Questo carcere non mi blocca solo il movimento ma, mi nega la prospettiva più ampia dello scorrere della vita stessa.

    Qui io devo diventare qualcun altro, qualcosa che non mi appartiene e mai avrei pensato di diventare.

    Bisogna difendersi da questo regime! Sempre.

    Voglio raccontarti la mia piccola esperienza, al momento del mio arresto, cosa che ti segna e ti fa diventare qualcos’altro.

    In carcere c’è vita, in carcere si vive, c’è un rincorrersi di effetti e memorie.

    Qui è tutto un suono di campanelli, cancelli che si aprono e si chiudono in un automatismo quasi irreale.

    Ci chiedono: “Chi siamo”, deposito quei pochi effetti personali che mi sono portato da casa e poi via con l’iter del riconoscimento, un accertarsi della tua presenza all’interno del carcere.

    Man mano che m’inoltro al suo interno, progressivamente mi accorgo che la mia vita sta diventando un’ altra cosa.

    Ad ogni porta c’è un assistente che con un sorriso irrisorio e superiore: “Buongiorno”, ed io : “Buongiorno”, poi si arriva in sezione ed anche lì i “Buongiorno”, si saranno contati a centinaia!

    Qui entra in gioco l’educazione, parte integrante della mia detenzione, che mi fa affrontare questo mondo a me sconosciuto.

    Constato che la mia educazione e il mio linguaggio, sapientemente appreso grazie agli sforzi della mia famiglia, mi ha regalato un’autoimmunità da tutta questa situazione.

    Un’altra cosa importante è il gestire l’ansia, il magone.

    Conoscere il tuo compagno di cella, ti riporta indietro come all’asilo, l’imparare a conoscersi, gioco di sguardi, parole dette e non dette, il confidarsi con uno sconosciuto, che poi diventerà una persona a te molto legata, la persona con cui dovrai condividere ventiquattrore su ventiquattro, otto metri quadrati di spazio.

    Il punto doveroso, centrale che ti può aiutare in tutta questa vicenda, è la tua famiglia, forza e ispirazione pura, amore incondizionato.

    Questi momenti si spera, sempre, siano brevi.

    Sono, consapevole ed è una sensazione bruttissima, che qui si perde la percezione del banale, le cose più semplici sembrano lontane anni luce, quando invece, fuori da queste mura, non sono che un presente al quale non badiamo neppure minimamente.

    I valori semplici ai quali dovremmo attingere, sono quelli che devono portarti avanti nella vita.

    In tutto questo, il tempo qui non manca.

    I pensieri si mischiano con la rabbia e, la consapevolezza aumenta con il passare del tempo.

    Tutto sempre contornato dall’amore della mia famiglia.

    Alla fine dopo sofferenze, privazioni della libertà personale, dopo l’umiliazione del vederti controllato, spiato, s’intravede quella luce soffusa, che sotto il comando del Tirannus Magistratus di Sorveglianzorum, può aprire a una luce più accecante della libertà.

    Questa luce, per me, è il ritornare a casa dalla mia famiglia, ai miei odori, rumori, ai miei cani.

    Perché qui sono proprio le banalità quotidiane che ti mancano: fare la spesa, il portafoglio nei pantaloni, il contatto con persone nuove, il gestire la tua giornata in modo autonomo, insomma il quotidiano, il cazzo di quotidiano!

    A te che ascolti il mio umile racconto questo ti parrà semplicemente impossibile, ma ti assicuro che qui il quotidiano si mischia sempre con il surreale.

    Scusami per queste poche righe scritte tra la mia sofferenza, la rabbia e altre sensazioni che accecano l’anima.

    Ti ringrazio per avermi ascoltato e ti assicuro che non augurerei mai al mio peggior nemico di farsi la galera in Italia, perché il terzo mondo è noi qui.

    E come si usa dire:

    Buona vita fuori, siempre.

    PUNTATA – 3

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