La scommessa dei Parchi alessandrini: ambiente e turismo diventano leve per il territorio
La nuova legge regionale ha ampliato i confini e le competenze dei due enti parco dell'alessandrino, il parco del Po Piemontese e l'ente Aree Protette dell'Appennino. Si tratta di opportunità di crescita e di lavoro che il territorio dovrà saper cogliere
La nuova legge regionale ha ampliato i confini e le competenze dei due enti parco dell'alessandrino, il parco del Po Piemontese e l'ente Aree Protette dell'Appennino. Si tratta di opportunità di crescita e di lavoro che il territorio dovrà saper cogliere
Il grande fiume, un solo parco, con sede a Valenza
Sono cominciate le manovre per la creazione del Parco Naturale del Po Piemontese, un unico grande ente che si occuperà della tutela e della valorizzazione delle aree protette e di continuità del Grande Fiume: dai confini del Parco del Monviso fino a Isola Sant’Antonio, in provincia di Alessandria.
I numeri raccontano di un’operazione importante che non solo conferirà strumenti migliori per la salvaguardia del patrimonio naturale ma consentirà anche all’ente di facilitare le operazioni di marketing territoriale dei Comuni che ne faranno parte.
Dicevamo dei numeri: 200 chilometri di fiume; 16mila ettari di aree protette e altri circa 20mila in gestione a nome di Aree Rete 2000 (progetto che si occupa delle zone di protezione speciale per fauna e flora); 53 Comuni coinvolti in 3 province (Torino, Vercelli e Alessandria) e una cinquantina di dipendenti.
La sede sarà a Valenza, come spiegano il presidente dell’ente Francesco Bove e il direttore Dario Zocco: «La struttura e il buon lavoro fatto dal Parco “orientale” è stato assimilato dalla legge regionale per dare vita a nuovo organismo».
Il Parco del Po Piemontese potrà essere il vero fulcro attorno al quale agire per realizzare il progetto VenTo, la pista ciclabile Torino-Venezia lungo gli argini del Grande Fiume: «Gli studi ci dicono – ha spiegato Bove – che per ogni chilometro di VenTo si attiveranno cinque posti di lavoro. Questo vuol dire che per il Piemonte verranno creati circa mille nuovi posti di lavoro»
Da Ovada a Carrega, l’Appennino unisce
Con l’istituzione del Parco dell’Alta Val Borbera, affidato alla gestione dell’ente Aree Protette dell’Appennino, la fascia appenninica dall’ovadese alla val Borbera, diventa un’oasi per la tutela ambientale, una via ‘obbligata’ per la sopravvivenza ed il rilancio di un’area che, a partire dagli anni Sessanta, ha conosciuto abbandono e spopolamento.
Le Aree Protette comprenderanno, oltre al già esistente Parco Capanne di Marcarolo e al neo nato parco Alta val Borbera, una serie di Sic, siti di interesse comunitario: il geosito di Arquata e Carrosio, le Strette della val Borbera, le Langhe di Spigno, il museo dell’Oro insieme alle miniere della Lavagnina e il sito archeologico Santa Maria di Bano. «Dagli attuali 8.500 ettari che comprendono il parco Capanne di Marcarolo e la riserva del Neirone, passiamo a 35 mila ettari», spiega il presidente Dino Bianchi.
La ‘mission’ dell’ente, il cui nome ha puntato, non a caso, su un elemento comune, l’Appennino, è inequivocabile: «la tutela ambientale e la promozione di un turismo ‘lento’, dal quale può passare lo sviluppo».
Come?
«Come ente gestore non abbiamo finanziamenti da erogare direttamente- spiega Bianchi – Noi stessi viviamo di trasferimenti regionali. Possiamo tuttavia attivarci per creare quelle condizioni che possono portare sviluppo, facilitare l’accesso ai bandi. Anche i Comuni devono però muoversi e collaborare». Forse di solo turismo ‘lento’, come lo definisce Bianchi, non si potrà vivere, «ma si possono creare condizioni affinché tornare a vivere sull’Appennino possa essere se non proprio remunerativo, almeno possibile».