Nel segno dei padri. La storia di Guglielmina e Peter
Se né le colpe né i meriti dei padri devono ricadere sui figli, la storia per questi due figli della guerra ha lasciato loro in dono una responsabilità molto forte. La responsabilità di raccontare, di capire, di comprendere, di perdonate, di riconciliare
Se né le colpe né i meriti dei padri devono ricadere sui figli, la storia per questi due figli della guerra ha lasciato loro in dono una responsabilità molto forte. La responsabilità di raccontare, di capire, di comprendere, di perdonate, di riconciliare
Giacomo Marinelli Andreoli, di Gubbio, è un giornalista professionista direttore responsabile del network regionale radio-televisivo Trg e del portale internet www.trgmedia.it. Collaboratore di testate giornalistiche nazionali quali Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Oggi e regionali Corriere dell’Umbria e Giornale dell’Umbria, nel 2007 ha vinto il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo.
È una giovane donna inginocchiata. L’abito non ha fronzoli, dalle piegoline delle maniche corte si può pensare che lo indossi abitualmente ma il grembiule bene annodato è un segno, per proteggerlo. La tasca gonfia ci dice contenere qualcosa. Le mani sono giunte, la testa è curva e l’atteggiamento è della preghiera. Davanti a lei una croce sovrasta i fiori di un’aiuola recintata. È l’immagine di copertina che ci introduce alla storia di Guglielmina e Peter. Guglielmina Roncigli è la figlia di Vittorio, uno dei quaranta civili fucilati nella rappresaglia che la Wehrmachr mise in atto a Gubbio il 22 giugno 1944 dopo l’uccisione di un ufficiale medico tedesco, Kurt Staudacber, da parte di un gruppo di giovani armati dal Gap locale. Le polemiche nella comunità sulle responsabilità dell’eccidio, il fatto di sangue più grave in tutta l’Umbria nel periodo dell’occupazione, sono durate decenni. E Peter Staudacher è il figlio di Kurt. Guglielmina e Peter si incontrano, ma per caso, verrebbe da pensare per destino. Quasi settant’anni dopo. Si riconoscono, si parlano, si scrivono. “Cara Guglielmina! Vorrei ringraziare tanto per gli auguri per il mio compleanno e naturalmente anche per la sua lettera. La porterò il 14 giugno da mia madre e le leggerò la lettera per il novantaquattresimo compleanno della zia che riesce ancora a ricordarsi molto bene di mio padre. Come vedo dalle lettere, penso che anche lei sia nata nel 1943 e così abbiamo solo qualche giorno di differenza di età!”
Se né le colpe né i meriti dei padri devono ricadere sui figli, la storia per questi due figli della guerra ha lasciato loro in dono una responsabilità molto forte. La responsabilità di raccontare, di capire, di comprendere, di perdonate, di riconciliare.
“Caro Peter, siamo a 67… primavere. Gli anni passano troppo in fretta! Le faccio tanti auguri di buona salute e tanta serenità. Qui in Italia abbiamo avuto un inverno lungo e freddo e nonostante sia giugno fa ancora brutto tempo. Tutto ciò è negativo sia per la salute sia per l’umore. In questo mese, oltre alle date della nostra nascita, ci sono anche le date degli anniversari della morte dei nostri padri. Per me c’è anche il 16, giorno nel quale mio marito mi ha lasciato”.
La storia di Guglielmina e Peter, piccola in confronto agli eventi del conflitto mondiale, ci rimanda un messaggio particolare. Vero il fatto che il conflitto ha lasciato troppe ferite e troppe macerie, i protagonisti ci insegnano ad avere la forza, la tenacia, la capacità di guardare oltre.