“Metti lì che poi matura”: spigolature e insegne alessandrine
Una ricognizione "random" su ciò che di alessandrino compare in giornali, riviste e mostre d'arte e design
Una ricognizione "random" su ciò che di alessandrino compare in giornali, riviste e mostre d'arte e design
Prima spigolatura: Robinson, settimanale culturale de La Repubblica, rubrica “Insegne” di alcune settimane fa, curata da James Clough designer e calligrafo londinese. L’insegna di cui scrive è a Volpedo, nella pieve quattrocentesca. Sui pilastri sono dipinti vari santi, che l’anonimo autore della scritta indica come voluti (fecit fieri) da un certo Guglielmo di Monte Falcone. L’autore scrive che la didascalia interessa più dei dipinti, dal punto di vista del lettering, dello stile di scrittura. Come ci racconterebbero i paleografi si tratta di una “gotica rotunda”. James Clough è autore di un libro che si intitola “L’Italia Insegna” in cui descrive il potenziale del lettering come “pratica applicata all’arte, al design e all’architettura”. Molte sono ancora in Italia le scritte fatte a mano, come quella dell’anonimo di Volpedo, i caratteri delle insegne su latta o su altri materiali.
Un altro esempio chiama in causa una città della nostra provincia: Tortona. Si tratta delle scritte Ospedale, Farmacia e Ambulanza, nella vecchia entrata dell’Ospedale di Tortona, scritte Liberty in un edificio firmato da Arnaldo Gardella (1873-1928), padre di Ignazio.
E ancora: a Ovada segnala l’insegna di un negozio di ortopedia. Insomma Clough crea un archivio che periodicamente viene aggiornato nella rubrica sul quotidiano. Un repertorio che ci fa guardare con attenzione ciò che avevamo sotto gli occhi e probabilmente è destinato a sparire, salvo ricomparire nei negozi di modernariato a cifre variabili, ma spesso esorbitanti. Compresi i chiusini dei tombini, “l’unica forma di scritta da leggere guardando in basso”.
Seconda spigolatura. Mostra dedicata ai cento anni dalla nascita di Achille Castiglioni alla Triennale di Milano, forse il più grande designer del Novecento italiano. Tra i prototipi esposti a firma del grande Achille, un prototipo di cappello per uomo per la mostra “Cappelli e scarpe di 12 designer” del 1980. Il cappello era ovviamente Borsalino. Castiglioni – a cui si deve la frase del titolo “Metti lì che poi matura!” – raccoglieva occhiali, scarpe, utensili e li usava per le sue lezioni all’università. Di ciascun pezzo conosceva tecniche di produzione, evoluzioni, storia. Oggetti anonimi come le scritte e le insegne, nati da una cultura condivisa e tramandati attraverso la memoria. Come le insegne, quegli oggetti diventavano modelli per un oggetto di qualità. (A Castiglioni, Triennale di Milano fino al 20 gennaio 2019, www.triennale.org)
Un’ultima spigolatura infine, di diversa natura, per segnalare una ricchissima intervista a Vittore Fossati, uno dei più grandi fotografi italiani, alessandrino. L’intervista, colta e densissima, ma anche ricca di narrazione, compare sul numero di novembre di Artribune, ma è consultabile anche online. Fossati vi si racconta, nella variegata veste di fotografo, di amico di Luigi Ghirri, di curatore di mostre e di aiuto film-maker. Con la consueta ironia e understatement (www.artribune.com).