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Finanziere accusato di corruzione, per la procura va condannato
Cinque anni di carcere è la pena che il pubblico ministero ha chiesto per il finanziare arrestato nel 2016 con l'accusa di corruzione e millantato credito. Soldi e regali in cambio di presunti favori ad imprenditori della zona
Cinque anni di carcere è la pena che il pubblico ministero ha chiesto per il finanziare arrestato nel 2016 con l'accusa di corruzione e millantato credito. Soldi e regali in cambio di presunti favori ad imprenditori della zona
Per Vendra erano scattate le manette insieme al collega Lucio Tanzilli, 47 anni di Alessandria nel maggio 2016. I due, entrambi accusati di corruzione, hanno però percorsi processuali differenti.
L’inchiesta, condotta dalla stessa finanza, ma dalle sezione di Tortona, aveva riguardato gli ultimi anni di attività, fino al 2016, appunto, quando emersero movimenti sui conti correnti e uno stile di vita considerato al di sopra della portata di un militare di pari grado, a partire dall’abitazione di Pecetto di Valenza, acquistata nel 2001 per 500 milioni: 600 metri di casa con annesso giardino da 4 mila metri, sulla sommità di una collina.
Secondo il perito della difesa ascoltato ieri in aula non si tratterebbe, tuttavia, di una dimora di lusso, per lo stato di manutenzione e i materiali utilizzati. Per il pubblico ministero si tratta comunque di una villa di grandi dimensioni.
Per condurre le indagini furono fatte indagini ambientali ed intercettazioni telefoniche e, quando le Fiamme Gialle ebbero elementi sufficienti scattò l’arresto.
L’inchiesta portò ad indagare anche tre imprenditori della Provincia, Giancarlo Massobrio, 45 anni, amministratore della Massobrio Company srl di Ovada, ditta distributrice di carburante; Antonio Tosanotti, 55 anni, amministratore di fatto e Stefania Grassi, 52 anni, amministratore di diritto, della Casa vinicola Costanza srl di Ovada. Da Massobrio, condannato in abbreviato, Vendra avrebbe ricevuto 750 euro in contanti; da Tosanotti e Grassi quattro cartoni contenenti sei bottiglie di vino Amarone ciascuno (valore complessivo, secondo la difesa, 79 euro. Non quantifica ma precisa che si tratta di “vino pregiato” il pubblico ministero).
La somma più cospicua Vendra l’avrebbe però ricevuta da un imprenditore orafo valenzano che lamentava come la Guardia di Finanza facesse troppi controlli, transitando o stazionando spesso davanti al suo laboratorio. L’imprenditore ne era infastidito e riteneva che la presenza dei militari turbasse in qualche modo clienti o fornitori. Si rivolse quindi a Vendra, affinché “facesse qualcosa”. Il finanziere che aveva prestato servizio a Valenza, anche se nel frattempo era stato spostato, acconsentì. Probabilmente, non avrebbe potuto intercedere (da cui l’accusa anche di millantato credito, oltre che corruzione) ma ci fu in ogni caso una trattativa: Vendra, secondo l’accusa, chiese 10 mila euro per sé e 2.500 per cinque altre persone: totale 22 mila euro. L’imprenditore era disposto a darne 18 mila. Quella fu infatti la cifra trovata nelle tasche dell’orafo, davanti a casa di Vendra. Secondo il pubblico ministero non era la prima volta che l’uomo sborsava quella somma. Il prossimo 13 giugno, sempre davanti al tribunale, parleranno gli avvocati della difesa, Alessandro Vallese e Lorenzo Crippa.
Secondo il perito della difesa ascoltato ieri in aula non si tratterebbe, tuttavia, di una dimora di lusso, per lo stato di manutenzione e i materiali utilizzati. Per il pubblico ministero si tratta comunque di una villa di grandi dimensioni.
Per condurre le indagini furono fatte indagini ambientali ed intercettazioni telefoniche e, quando le Fiamme Gialle ebbero elementi sufficienti scattò l’arresto.
L’inchiesta portò ad indagare anche tre imprenditori della Provincia, Giancarlo Massobrio, 45 anni, amministratore della Massobrio Company srl di Ovada, ditta distributrice di carburante; Antonio Tosanotti, 55 anni, amministratore di fatto e Stefania Grassi, 52 anni, amministratore di diritto, della Casa vinicola Costanza srl di Ovada. Da Massobrio, condannato in abbreviato, Vendra avrebbe ricevuto 750 euro in contanti; da Tosanotti e Grassi quattro cartoni contenenti sei bottiglie di vino Amarone ciascuno (valore complessivo, secondo la difesa, 79 euro. Non quantifica ma precisa che si tratta di “vino pregiato” il pubblico ministero).
La somma più cospicua Vendra l’avrebbe però ricevuta da un imprenditore orafo valenzano che lamentava come la Guardia di Finanza facesse troppi controlli, transitando o stazionando spesso davanti al suo laboratorio. L’imprenditore ne era infastidito e riteneva che la presenza dei militari turbasse in qualche modo clienti o fornitori. Si rivolse quindi a Vendra, affinché “facesse qualcosa”. Il finanziere che aveva prestato servizio a Valenza, anche se nel frattempo era stato spostato, acconsentì. Probabilmente, non avrebbe potuto intercedere (da cui l’accusa anche di millantato credito, oltre che corruzione) ma ci fu in ogni caso una trattativa: Vendra, secondo l’accusa, chiese 10 mila euro per sé e 2.500 per cinque altre persone: totale 22 mila euro. L’imprenditore era disposto a darne 18 mila. Quella fu infatti la cifra trovata nelle tasche dell’orafo, davanti a casa di Vendra. Secondo il pubblico ministero non era la prima volta che l’uomo sborsava quella somma. Il prossimo 13 giugno, sempre davanti al tribunale, parleranno gli avvocati della difesa, Alessandro Vallese e Lorenzo Crippa.