Le Americhe di Pit Piccinelli, una contagiosa empatia
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Le Americhe di Pit Piccinelli, una contagiosa empatia

Una vasta mostra alla Galleria Milano presenta nel capoluogo lombardo disegni e dipinti di questo multiforme personaggio vissuto per moltissimi anni a Ottiglio in Monferrato

Una vasta mostra alla Galleria Milano presenta nel capoluogo lombardo disegni e dipinti di questo multiforme personaggio vissuto per moltissimi anni a Ottiglio in Monferrato

OPINIONI – A Pit Piccinelli, personaggio poliedrico e assai interessante, vissuto per molti anni in Monferrato, la Galleria Milano di via Turati 14 – una delle storiche gallerie milanese – dedica fino al 15 settembre una vasta mostra, la più ampia fino a oggi allestita.  Pietro Piccinelli, per tutti il Pit, nato a Torino nel 1917 e scomparso nel 2002, per quanto di fatto al di fuori del mondo delle gallerie e delle accademie, è figura mitica nel panorama della cultura degli ultimi decenni del secolo scorso. Mitica ben al di là del luogo – Ottiglio – in cui scelse di trascorrere quella parte della sua esistenza che non fu spesa nei viaggi di conoscenza del mondo, dal 1974 con la compagna Bona Tolotti che ha continuato anche dopo la sua morte a custodire e far conoscere il vastissimo patrimonio di opere e reperti (oggetti, materiali, documenti, fotografie) che sono il frutto del lavoro e delle ricerche di una vita. Indefinibile nella complessità del suo percorso che ha posto l’arte, soprattutto il disegno, al servizio – si sarebbe tentati di dire – della sua ricerca, sulle e dentro culture e mondi marginali sul piano strettamente geografico non per ricchezza di contenuti, ma per la deliberata emarginazione a cui nei secoli sono stati sottoposti. Parliamo delle minoranze di indigeni dell’Amazzonia, o del Perù, o della Bolivia, del Messico o del Brasile le quali, prima di essere per lui argomenti di studio o soggetti dei suoi disegni, sono state le persone abbracciate nella loro individualità e diversità, vissute fino a condividerne riti e abitudini poi raccontate in appunti e disegni che conservano oggi tutta l’efficacia narrativa di storie nate in presa diretta. Con in più, rispetto alla fotografia, quella forza vitale data dal segno del tempo dedicato a capire, ben oltre lo scatto che immortala e brucia l’attimo fuggente.

Un’operazione sul piano artistico per l’epoca non poco premonitrice, per quel senso di multidisciplinarietà globale (antropologia, studio delle religioni, del teatro e della danza) di un progetto a larghe maglie, eppure molto ben delineato, in cui ogni sviluppo è coerente e motivato. Un progetto artistico e curatoriale al tempo stesso. A parlarci di Pit Piccinelli è Bona Tolotti, in una serata di pioggia torrenziale che non ha impedito ai tantissimi amici di Pit di venire alla sua mostra. Amici in gran parte un po’ speciali, quarantenni che sono stati da bambini suoi allievi, affascinati e ammaliati dalla sua capacità di costruire uno story telling immersivo e ipnotico, in grado di far emigrare con la mente lontano. Proprio in quei luoghi che rievocava, facendo sgorgare dalla fantasia e dalle mani di quei bambini di città disegni e immagini ispirate a quei racconti, ma spesso intrecciate al loro profondo vissuto, con risultati che sarebbero piaciuti a Picasso (unito a Piccinelli da amicizia non meno del poeta Prevert), Picasso che come i bambini avrebbe voluto saper disegnare anche da grande.

“Pit l’ho conosciuto a Claviere nel 1974 – racconta Bona Tolotti – durante una settimana bianca da alcuni amici. Avevano una sorta di kinderheim, con molti bambini, tra cui mio nipote, lui stava disegnando con tutti i bambini intorno, intanto raccontava storie. Ottiglio fu scelta alla fine degli anni ’60, stava molto in Francia e all’epoca i suoi amici artisti da Parigi si erano trasferiti in Costa Azzurra, nell’ottica del “buen retiro” lui scelse il Monferrato, al quale era legato da ricordi d’infanzia, in quanto aveva parenti a Cereseto e dove, partendo da Torino, in cui era nato e aveva vissuto, andavano i carri per prendere le botti di vino, dove c’erano i cugini che lo aspettavano, insomma un classico ritorno alla terra che per qualche anno è stato a tempo parziale poi è diventato a tempo pieno. Ciò che mi preme oggi è rendere fruibile tutto il materiale raccolto, in parte già oggetto di una tesi, materiale che ho continuato a custodire e organizzare dopo la morte di Pit, e che è oggi in sicurezza nella casa di Ottiglio, ma meriterebbe una catalogazione e una messa a disposizione di chi se ne voglia servire”.

Per rendersi conto della ricchezza e della qualità delle opere di Pit Piccinelli varrebbe davvero la pena di vedere questa mostra, che segue quella di Casale del 2017, allestita nel centenario della nascita, e può forse rappresentare il primo atto di un’operazione di più sistematica e completa organizzazione dei ricchissimi materiali oggi esistenti.

Le Americhe di Pit Piccinelli. Una contagiosa empatia
Fino al 15 settembre 2018
Galleria Milano, via Turati 14, Milano
www.galleriamilano.com
facebook: Pietro Pit Piccinelli

Pit Piccinelli
Pietro (detto Pit) Piccinelli nasce nel 1917 a Torino, dove studia disegno e incisione. Attivo nell’impegno antifascista, durante la guerra svolge funzioni di collegamento tra i gruppi partigiani. Nel 1942 la sua prima mostra, a Pescara. All’esperienza pittorica unisce l’attività di giornalista, stampando anche un giornale antifascista, La voce di Spartaco. Il richiamo dell’Ecole de Paris lo porta in Francia dove, tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, conosce diverse personalità tra cui Chagall e Cocteau; con Prévert e Picasso, in particolare, stringe una durevole e solida amicizia. Nel 1968 è barricadero a Parigi. Appassionato della cultura degli Indiani d’America, già alla fine degli anni Quaranta stabilisce i primi contatti con gli Indios Jivaros in Ecuador. Qui si sente libero, come egli stesso ha raccontato: «Questa gente ha capito che ero lì per imparare e non per insegnare». Da allora la sua ricerca sul campo non si ferma più, visitando e studiando diverse popolazioni indigene tra centro e sud America.
All’inizio degli anni Settanta lascia Torino per trasferirsi definitivamente in Monferrato nella casa di Ottiglio, che diventerà il campo base per le future spedizioni nelle Americhe e la sede del suo archivio, che ancora oggi raccoglie opere d’arte, volumi, quaderni, album fotografici, manufatti indios e documenti di valore inestimabile. In quel periodo (1973) partecipa all’elezione del capo governatore degli Huicholes in Messico. In seguito, con la nuova compagna, la milanese Bona Tolotti, condividerà nuovi viaggi e avventure: in particolare, tra il 1979 e il 1980 il lungo percorso in Perù, Bolivia ed Ecuador, che darà luogo alla produzione di molte mostre sia in territorio nazionale che estero. Tra quelle più importanti, nel 1996/97 Hommes et Forets d’Amazonie all’Università di Nanterre – Paris X di Parigi. Dal 1996 al 2002, nonostante la sopravvenuta lunga malattia, prosegue nella sua casa di Ottiglio la sua insaziabile attività di antropologo unita al rinnovato esercizio di un linguaggio pittorico più essenziale e incisivo, che connota i suoi ultimi lavori, prevalentemente pastelli e carboncino su carta.
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