Apologia degli Europei di calcio (18): Filosofie di gioco
La prima semifinale dellEuropeo va in scena a Lione in unatmosfera a due dimensioni. In città pulsano le emozioni dei tifosi delle due squadre protagoniste. Tutto intorno è solo la vigilia di Francia Germania.
La prima semifinale dell?Europeo va in scena a Lione in un?atmosfera a due dimensioni. In città pulsano le emozioni dei tifosi delle due squadre protagoniste. Tutto intorno è solo la vigilia di Francia ? Germania.
Il Galles, squadra che si è dimostrata superba e anche piacevole ai sensi, ha caricato sulle sue spalle l’onore di tutto il calcio britannico. Non è la prima volta che l’Inghilterra deve affidare il compito di difendere il valore dei padri fondatori alle province dell’impero. Per tutti gli anni ’70 la nazionale dei tre leoni fu lo zimbello del mondo, riuscendo a non qualificarsi per ben due mondiali di fila proprio mentre le sue squadre di club mietevano senza extracomunitari successi in tutta Europa. Come era possibile? Semplice: c’era pieno di scozzesi fortissimi. La Scozia si qualificò consecutivamente ai mondiali per cinque edizioni di fila e se gli Europei si fossero svolti con l’estesa formula attuale se la sarebbero giocata alla grande, in un’epoca in cui scorrazzavano per il continente l’Olanda di Cruijff, la Germania di Gerd Muller e l’Italia di Bearzot. Se la Gran Bretagna esistesse come nazionale di calcio la storia di questo sport sarebbe molto diversa. Ma il Galles può lasciare il segno.
Il Portogallo ha sfiorato più volte il colpaccio: terzo ai mondiali nel 1966 esibendo la perla nera Eusebio e quarto nel 2006 agli albori del Cristiano Ronaldismo; secondo agli Europei casalinghi 2004 sconfitto in finale dall’incredibile Grecia. Animato da una filosofia di gioco immodificabile che prevede un ossessivo possesso palla e centinaia di passaggi perfetti ma pochissimi tiri in porta il Portogallo è l’unica nazione europea in cui il calcio è una ragione di vita che ancora deve aggiudicarsi un trofeo. La nazionale vista sin qui non lo meriterebbe, quindi probabilmente ce la farà.
Quello che si deve sapere infatti è che raramente le squadre che hanno cambiato la storia del gioco, dando spettacolo e introducendo innovazioni sbalorditive hanno ottenuto successi. Le due nazionali più memorabili, conosciute ed evocate anche da chi non le ha mai viste giocare, sono la Grande Ungheria degli anni ’50 e la Grande Olanda degli anni ’70. La prima decretò la fine del “lancio lungo e speriamo che il centravanti la butti dentro” che gli Inglesi insistevano ad applicare sbancando Wembley con un 6 a 3 che lasciò un segno indelebile in generazioni di appassionati e fece più male dell’indipendenza dell’India. La seconda inventò addirittura un nuovo tipo di sport, il “calcio totale”, e si affermò come un fenomeno sociale oltre che agonistico.
Nessuna delle due ha vinto nulla racimolando tre finali mondiali, tutte perse. Ancora una volta il calcio assomiglia alla vita: le grandi idee cambiano il mondo ma raramente si affermano nei pressi di chi le ha avute. Sono troppo dirompenti per essere accettate dall’establishment, ma senza di loro il cambiamento non sarebbe possibile: sono un dono alle generazioni future che viene dal passato che parlano di una verità che molti evocano ma pochissimi hanno davvero il coraggio di perseguire: non basta vincere, per essere i migliori.