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    Futura:
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    Ettore Grassano - ettore.grassano@alessandrianews.it  
    24 Settembre 2012
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Futura: “noi, uccisi dalla burocrazia in porsche”

    Dopo 18 anni al servizio dell’integrazione lavorativa e sociale dei portatori di handicap fisici e mentali, la cooperativa valenzana, di tipo B, è in liquidazione. “E’ stata un’esperienza meravigliosa: ma chi ci ha portati alla chiusura prova almeno un po’ di rimorso?”, si chiede la responsabile della struttura Alessandra Meck. Alla base dello “stop” crediti mai incassati dal Ciss

    Dopo 18 anni al servizio dell?integrazione lavorativa e sociale dei portatori di handicap fisici e mentali, la cooperativa valenzana, di tipo B, è in liquidazione. ?E? stata un?esperienza meravigliosa: ma chi ci ha portati alla chiusura prova almeno un po? di rimorso??, si chiede la responsabile della struttura Alessandra Meck. Alla base dello ?stop? crediti mai incassati dal Ciss

    E’ una storia bellissima, e al contempo una “storiaccia”, quella della cooperativa sociale Futura di Valenza. Un’esperienza da raccontare purtroppo al passato, perché la società, operativa dal 1993, ha cessato la propria attività nel 2011, ed è attualmente in liquidazione, vittima non tanto della crisi del mercato del lavoro, quanto di fornitori (pubblici) che ad un certo punto hanno “chiuso i rubinetti”, senza saldare le fatture di un paio d’anni di attività.
    “Briciole, per loro – sottolinea Alessandra Meck, che della cooperativa è stata, con la sua mamma e altre amiche, il fulcro e l’anima -, e questo fa ancora più rabbia, perché hanno strangolato un progetto non solo lavorativo, ma soprattutto di enorme valore sociale e di integrazione, ostentando un’indifferenza burocratica”.
    Sul banco degli imputati il Ciss (Consorzio Intercomunale Servizi Sociali del Valenzano e Basso Monferrato, a sua volta in liquidazione), ma anche in misura minore l’Aias di Alessandria, onlus a sua volta “dipendente” dal Cissaca. “E’ una filiera – precisa Meck – in cui alla fine a pagare sono sempre gli anelli più deboli, e le realtà che, come la nostra, si sono prodigate con tutta l’anima a favore di chi ha davvero bisogno. Mentre mi piacerebbe sapere di cosa rispondono i dirigenti che hanno guidato certe realtà fino al fallimento, e girano beffardamente in porsche”.
    Al fianco dei disagiati e degli svantaggiati la cooperativa sociale Futura c’è stata davvero, non è un modo di dire. Fra le prime cooperative di tipo B sorte sul territorio provinciale, è nata per “dare un’opportunità ai ragazzi del centro diurno di Valenza, aiutandoli a trovare un’integrazione non solo lavorativa, ma anche e soprattutto una dimensione di vita piena, non ai margini della società”.
    All’inizio del suo percorso Futura non aveva neanche una sede, si “appoggiava” appunto ai locali del centro diurno. “Poi abbiamo incontrato – spiega Alessandra Meck (nella foto a destra) – una persona splendida, l’orefice Pier Vittorio Crova, che restando sempre schivo, nell’ombra, ci ha messo a disposizione una sede in un’area della sua fabbrica, completamente ristrutturata, e ci pagava anche le utente. Certo, poteva permetterselo: ma quanti al suo posto si comportano come lui? Pensi che non metteva neppure le spese in detrazione fiscale, il che sarebbe stato assolutamente legittimo”. Così la cooperativa cresce, e nonostante un capitale sociale puramente simbolico (“25 mila lire a testa”) arriva ad avere più di 30 soci, di cui 2/3 disabili (anche se la legge alle cooperative di tipo B ne richiede solo il 30%).
    “Stiamo parlando – sottolinea Alessandra – di persone portatrici di handicap fisici o di ritardo mentale, che venivano inserite prima in cooperativa, con un percorso di tirocinio, e poi spesso anche collocate in aziende del territorio. 16 di loro hanno, nel tempo, trovato occupazioni a tempo indeterminato, e nonostante la crisi sono ancora tutti in attività: e, lo preciso, nessuno fa il centralinista o le pulizie, ma hanno tutti mansioni più specifiche, di tipo operaio o impiegatizio”.
    Dalle cere per il mercato orafo (“anche qui grazie all’interessamento iniziale di Pier Vittorio Crova”), al volantinaggio e consegna di elenchi telefonici e corrispondenza di altro tipo, fino all’assemblaggio di materiale plastico, al confezionamento di regali natalizi e ai servizi di catering, “naturalmente sempre in appoggio ad un cuoco esterno”, i ragazzi della cooperativa sociale Futura si sono conquistati, passo dopo passo e grazie al supporto e al coinvolgimento (“ben oltre le scarse retribuzioni: ma queste attività non si fanno per arricchirsi, anche se a guardarsi attorno non mancano segnali contrari”) dei loro tutor e degli operatori della struttura, un loro posto nel mondo, non solo in termini occupazionali ma di vera integrazione.
    Poi, verso la metà degli anni duemila, comincia a soffiare un vento gelido: “in realtà – spiega Meck – mentre i privati ci hanno sempre pagato le prestazioni e i servizi con regolarità, la lentezza dei pagamenti delle fatture dei committenti pubblici, e un po’ anche il loro menefreghismo, sono stati una costante dall’inizio. Mi pare fosse il 2005 quando ci fu proposto dal direttore del centro down di Alessandria, Venturelli, di avviare lo stesso tipo di percorso anche nel capoluogo, grazie a risorse messe a disposizione dal Cissaca”.
    E lì cominciano i problemi, e la logica della burocrazia trionfa: “ci diedero 45 mila euro per 6 mesi di attività, e noi che eravamo e siamo onesti, e ingenui, ne restituimmo 15 mila, che non avevamo speso, chiedendo che ci fossero “rigirati” per le attività dell’anno successivo: li stiamo ancora aspettando. E pensare che i vertici del Cissaca ci avevano garantito: noi quel che facciamo partire non lo lasciamo morire”.
    Nel caso dei progetti legati alla cooperativa sociale Futura, secondo Alessandra Meck, non andò propriamente così: e via via i pagamenti (soprattutto da parte del Ciss, ma anche quelli sul fronte alessandrino) rallentarono, e gli incarichi si diradarono, costringendo i soci della cooperativa, loro malgrado, a mettere fine, più o meno un anno fa, al percorso intrapreso 18 anni prima. “Quel che fa più rabbia – conclude la responsabile della struttura – è aver constatato da parte degli interlocutori pubblici la più totale indifferenza: hanno davvero dimostrato di non aver minimamente capito qual è il ruolo sociale importantissimo di cooperative per l’inserimento di persone svantaggiate. Ci hanno gestiti, e scaricati, in maniera completamente burocratica, fregandosene del disagio, vero e palpabile, che hanno creato in tante persone appartenenti alle fasce più deboli della popolazione”.
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