Guarona: “orafi valenzani, svegliamoci!”
Un distretto di enormi qualità e valore, in cui però leccessivo individualismo è alla base dellattuale crisi. Non sappiamo e non vogliamo fare squadra, spiega il presidente dellAov. Che analizza le dinamiche del mercato del settore, e sottolinea le potenzialità del marchio DiValenza. Il futuro? Dipende solo da noi
Un distretto di enormi qualità e valore, in cui però l?eccessivo individualismo è alla base dell?attuale crisi. ?Non sappiamo e non vogliamo fare squadra?, spiega il presidente dell?Aov. Che analizza le dinamiche del mercato del settore, e sottolinea le potenzialità del marchio DiValenza. ?Il futuro? Dipende solo da noi??
Presidente Guarona, da quanto tempo siamo qui a parlare di crisi del settore orafo?
Da troppo, e in maniera inconcludente. Non serve parlare, serve fare: rimboccarsi le maniche, lavorare seriamente e soprattutto fare squadra. Concetto purtroppo estraneo alla cultura valenzana, e l’attuale situazione del comparto lo dimostra.
Ci spieghi meglio…
Volentieri: lei si guardi attorno, cosa vede? Io vedo una società stracolma di auto di grande cilindrata, tanto che nelle città un parcheggio non lo trovi più neppure a pagamento. C’è tanta gente che affolla i ristoranti, gli outlet, i centri commerciali. Ammetterà che è uno strano tipo di crisi. E io, che per lavoro ho girato e giro il mondo, le assicuro che altrove è uguale, in tutto l’Occidente. Eppure il nostro comparto, quello dell’oreficeria, soffre. Lo sa perché?
Forse perché si rinuncia prima al gioiello che al ristorante?
Anche. Ma soprattutto perché non abbiamo mai saputo e voluto fare sistema, nonostante tutti gli sforzi dell’Aov, che ci crede e continuerà a fare la propria parte. L’orafo valenzano sta lì, arroccato, non condivide con il collega strategie e obiettivi, non fa alleanze. Vede l’altro orafo come un concorrente, non come un alleato al fianco del quale conquistare e ampliare il mercato.
Quanti sono gli iscritti all’Aov?
Circa 400, ma a fare vita attiva, a partecipare davvero sono molti meno. La vicenda del marchio DiValenza è emblematica: lo abbiamo creato per promuovere il nostro brand nel mondo, e crediamo davvero che quella sia la strada migliore per uscire dall’angolo, anzi l’unica possibile. Ossia organizzare eventi, fiere, occasioni di incontro e visibilità. Ebbene, la partecipazione reale degli associati è stata ad oggi assolutamente inadeguata: eppure aprire il portafoglio e investire, tutti insieme, è l’unico modo per farcela.
Valenza ha anche alcuni grandi marchi di riconoscibilità internazionale: non fanno da volàno a tutto il territorio?
No, sono individualisti come tutti gli altri orafi. E purtroppo a farne le spese è il tessuto degli artigiani del gioiello che ha sempre rappresentato la nostra eccellenza: spesso non si tratta di creativi, ma di piccoli laboratori dotati di grandi competenze tecniche, che via via chiudono disperdendo un patrimonio culturale e professionale. Ma non hanno alternative: non riescono più a stare in piedi, sono l’anello più debole della filiera.Presidente Guarona, cosa vi ha davvero indeboliti in questi anni?
Noi stessi. Nonostante le nostre grandi capacità, il nostro potenziale eccezionale, siamo stati e siamo arroganti e presuntuosi. Lo so, sono impietoso, ma solo dicendoci le cose come stanno potremo trovare l’energia per ripartire. E poi attenzione a chi ‘droga’ il mercato: la mia azienda, per farle un esempio, rifornisce soltanto rivenditori affidabili, e ‘solvibili’. La crisi attuale dipende dal fatto che si è immessa sul mercato una quantità di prodotti eccessiva, vendendola a chi già si sapeva che non sarebbe stato in grado di pagarla. Un conto è la fiducia tra persone serie, un conto far saltare il banco in maniera assolutamente scorretta, e autolesionista.
Il distretto valenzano si salverà grazie all’export?
No. Italia o estero, è uguale. Dieci anni fa dicevi Medio Oriente, dicevi Russia, e significava business sicuro, pagamenti cash. Oggi anche lì puoi prenderti dei ‘pacchi’ clamorosi. Il distretto valenzano non solo si salverà, ma crescerà sul mercato interno e internazionale se tornerà ad avere fiducia in se stesso. E, lo ripeto, se imparerà finalmente a fare squadra. Io sono arrabbiato, ma al tempo stesso ottimista, e ci credo ancora. Altrimenti smetterei di fare questo mestiere.