Personaggi valenzani: Sandro Camasio
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Sin dal ‘500 i Camasio sono una delle famiglie valenzane più note la cui origine è però spagnola. Pier Paolo Camasio (nonno di Sandro) fu sindaco di Valenza dal 1860 al 1867, mentre il padre Giuseppe fu un giovanissimo garibaldino e la madre Costanza Chiroli una nobildonna di Frascarolo.
Alessandro Pietro-Paolo Eugenio Camasio, conosciuto come Sandro, di stirpe valenzana, è nato quasi occasionalmente a Isola Della Scala (Verona) il 5 novembre 1886. Il padre procuratore dell’Ufficio del Registro mandamentale è lì trasferito per lavoro con la famiglia che poi, sempre per ragioni d’ufficio, si sposterà a Torino, dove Sandro vivrà poco lontano dall’abitazione di Guido Gozzano che avrà grande influenza su di lui.
Trascorreva le vacanze scolastiche estive nella villa Camasio, sulle colline di Valenza in Valle Citerna; emblematica una sua frase riportata dagli studiosi: “ L’uva fresca di rugiada, l’uva staccata dal tralcio in certi mattini d’autunno, umidi e sereni, non so perché, mi fa sempre pensare a Valenza”.
Prima di conseguire la laurea in giurisprudenza (ottenuta a pieni voti nel 1909), Sandro opera come redattore mondano alla Gazzetta di Torino (in seguito passerà alla Gazzetta del Popolo come critico d’arte) e nel mondo teatrale, dove conosce il commediografo Nino Berrini (anch’egli come Camasio, Gozzano e Oxilia sono studenti di giurisprudenza a Torino: tutti intimi e grandi letterati per vocazione) che raccoglie le sue prime rivelazioni artistiche e i primi copioni. In questo periodo Sandro scrive “Senza guida”, gli abbozzi di “Il solco”, “Sotto la cenere” e la “Zingara” (un’opera teatrale scritta in collaborazione con l’amico Nino Oxilia).
Dopo due anni (e pezzi di gioventù che se ne sono andati) sopraggiunge la fama con la commedia in tre atti “Addio, giovinezza!”, scritta con Nino Oxilia (pure lui giornalista, scrittore, poeta, regista e anche assicuratore, divenuto ormai l’amico inseparabile nella loro scapigliata gioventù: morirà anch’egli ancor giovane durante la ritirata di Caporetto) e rappresentata per la prima volta al teatro Manzoni di Milano il 27 marzo 1911 (grandioso poi il successo a Torino il 5 aprile del 1911). Si tratta della descrizione elegiaca (forse anche parzialmente autobiografica) della vita di giovani universitari nella sentimentale Torino di inizio secolo; l’aggraziata commedia descrive con grande freschezza la storia dell’amore tra la sartina Dorina e lo studente di medicina Mario. Piena di spunti spassosi è ornata di personaggi divertenti come quella dello studente a vita Leone, ma anche spunti di emozione strappalacrime nel sentimentale terzo e ultimo atto, che commuoverà per anni le platee d’Italia, impressionate da questo mondo spensierato e gioioso di studenti, collegato a un lasso di tempo goliardico, costretto infine a concludersi per sempre dopo la laurea per addentrarsi in quello più responsabile, pedestre e austero degli adulti. L’opera è quasi il documento di uno stato nostalgico nel quale gli autori rappresentano la loro ingenuità e il loro sentimentalismo che si mescola con l’arte poetica.
In collaborazione ancora con Oxilia e con Nino Berrini scrive la rivista teatrale satirica “Cose dell’altro mondo”, rappresentata con successo l’8 marzo 1912 al Politeama Chiarella di Torino. Nei primi mesi del 1913 si mette alla prova anche come regista con i film muti “Addio, giovinezza!” e “L’antro funesto” (di filone satanico); andando controcorrente Camasio e Oxilia sono i primi autori di teatro che collaborano con la pionieristica nuova arte del cinematografo, creandosi consenso e ambizioni.
Ma improvvisamente, gravemente ammalato di meningite, è ricoverato presso l’ospedale Mauriziano di Torino, dove in breve perde la vista prima di morire il 23 maggio 1913, a soli 27 anni. Per una sorta di maledizione e di tragedia, l’affezionatissima sorella Clara, che non resiste al dolore per le sofferenze e la scomparsa del fratello, si avvelena e muore due giorni dopo. La salma di Sandro è trasportata a Valenza con una carrozza ferroviaria piena di fiori e portata al cimitero fra una folla commossa di cittadini e amici torinesi. Il dramma rimarrà a lungo impresso nei ricordi dei valenzani.
Anche la prima riduzione cinematografica di “Addio Giovinezza!” sotto la direzione di Camasio ebbe un grande successo nazionale. Furono 40 minuti d’intensa commozione quando il film fu proiettato per tre sere a Valenza nel Salone Varietà Diamante (nell’attuale viale Cellini) poco dopo la sua morte.
Dopo la prima versione cinematografica, la commedia della goliardia subalpina verrà riproposta con nuovi film di successo nel 1918, nel 1927 (parlato) e nel 1941 il più riuscito e assai applaudito “Addio Giovinezza!”, film lodato dalla critica poiché seppe mantenere la gentilezza e il profumo del lavoro originario, con Maria Denis, Adriano Rimoldi, Clara Calamai e un giovanissimo Carlo Campanini, proprio quando il nuovo conflitto sta per portar via ogni residuo di romanticheria.
Molto nota anche l’operetta pubblicata nel 1914 e la cantata dei soldati e dei fascisti “Giovinezza, Giovinezza, primavera di bellezza”. La commedia, che avrà in tempi più recenti ben tre edizioni televisive (ispirate maggiormente all’operetta), verrà rappresentata più volte al Teatro Sociale di Valenza (10-9-1913, 3-11-1916, ecc.); nel novembre 1921 sarà fondata a Valenza la Filodrammatica “Sandro Camasio”. La Città di Valenza ha dedicato a lui una via.
A noi resta la visione del mondo intimistico e giovanile d’inizio Novecento, descritto con morbidezza in “Addio, giovinezza!” da questo personaggio di razza valenzana e torinese d’adozione, fatto di quel sentimentalismo decadente della letteratura dell’epoca, racchiusa fra “le buone cose di pessimo gusto”, spazzato via dalla Grande Guerra.