Il sindacato a Valenza nei primi anni del secondo dopoguerra
VALENZA – Alla caduta del fascismo si ricompone in Italia il sindacato sotto il dominio dei partiti politici. Con il patto di Roma del 1944 nasce un sindacato unitario in rappresentanza di tutti i lavoratori: la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), risultato della mediazione fra le principali forze politiche (comunista, democristiana e socialista). Al termine del conflitto il sindacato prorompe dalla clandestinità e anche a Valenza comincia ad operare.
La Camera del Lavoro di Valenza, nata sotto l’egida del CLN, oltre a sviluppare il suo compito istituzionale, svolge pure un importante ruolo assistenziale locale. È aperta nel maggio 1945 nell’interno del palazzo che ha da sempre ospitato la Società di Mutuo Soccorso in via Pellizzari. È forgiata nei primi giorni dai socialisti De Michelis e Boris (nell’edificio c’è la sede del partito, la cooperativa e una sala da ballo), propensi a dettarne la linea in modo ancora informe e casuale, ed è guidata inizialmente dal segretario Oscar Angeleri (un ruolo che in questi tempi prevede impeti e decisioni celeri), un giovane e concreto operaio orafo comunista valenzano proveniente dalle file dell’antifascismo. Mentre la ristretta struttura organizzativa è composta dalla giovanissima Ilde Bagna e da Luigi Buzio (1915-1996; sarà senatore dello PSDI), il quale ben presto avvicenda Angeleri alla segreteria sino alla scissione del 1949 quando il nuovo segretario sarà Aldo Emanuelli (1915-1959), un calzaturiero della ditta F.lli Re che guiderà con determinazione la Camera sino alla sua morte nel 1959.
Emergono sindacalisti valenzani in tutto il territorio. Nel 1945 il segretario della Camera del Lavoro provinciale è il comunista di origini valenzane Ercole Ferraris, mentre l’esponente pragmatico più in vista del socialismo valenzano Francesco Boris in questi anni fa parte della segreteria provinciale.
Valenza raggruppa circa 1.500 lavoratori iscritti al sindacato, appartenenti per la maggior parte alla categoria dei calzaturieri. Nella CGIL unitaria non vi è ancora una netta impronta ideologica e neppure la somma di distinte traduzioni dottrinali che invece esploderanno dopo le elezioni e le scissioni del 1948-1949. I valenzani vanno alla Camera del Lavoro e allo stesso tempo vanno dai partiti politici a prendere la tessera; la milizia di partito non è in collisione con l’appartenenza al sindacato e viceversa, e questo non soltanto per gli aderenti ai partiti di sinistra: una posizione netta e senza ambiguità. Il 20 giugno 1945 nasce l’Associazione Orafa Valenzana, un’organizzazione datoriale composta inizialmente da circa 150 ditte: si propone la tutela e lo sviluppo delle aziende orafe della città, rivestendo una rilevanza essenziale per questo settore.
Nell’estate del 1946 il movimento operaio valenzano, diretto per la maggior parte dal gruppo socialcomunista, che gestisce anche l’amministrazione comunale, sostiene una dura battaglia per alcuni obiettivi nazionali: blocco dei licenziamenti, ricostruzione, produttività e altro. Ma sono rivendicazioni per lo più strumentali, finalizzate principalmente a creare un clima generale di malessere e danneggiare gli avversari governativi nazionali. Difficile per l’oreficeria valenzana parlare di licenziamenti o di soldi in busta paga, quando sia gli occupati che le retribuzioni aumentano ad un ritmo fuori da ogni regola generale, né preoccupa poi tanto la ricostruzione o la produttività di altre zone, come pure alcune irregolarità sugli oneri contributivi e fiscali nei laboratori orafi. In questi tempi a Valenza molti lavorano anche di sera, altro che sussidi di Stato!
Per gli orafi della CGIL il responsabile sindacale locale è Casolari, ma rappresenta un numero restretto della forza lavoro. Pure l’industria calzaturiera, l’altro asse portante dell’economia locale, riprende in pieno la sua attività, anche se il suo ritmo di incremento è molto più lento dell’industria orafa. È ancora alto il numero di lavoratori in questo settore e l’impegno del movimento operaio è molto più vivo qui che negli altri comparti. Quella calzaturiera è la categoria sindacalmente più partecipante e organizzata.
Nell’elezione della commissione interna della Lega CGIL valenzana delle calzature, nel maggio 1946, Emanuelli è il più votato e diventa segretario della lega, altri eletti sono Ferraris, Amisano, Colombo, Balossino, Visconti, Pulcrano, Merlani. Pur non avvertendo difficoltà di occupazione, i calzaturieri valenzani sostengono con successo una serie di scioperi (settembre-dicembre 1946) per aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro. Decisivo è il sostegno fornito dal sindacato locale, capace di coinvolgere nell’agitazione la quasi totalità dei lavoratori.
Ad inizio 1947 nelle nuove elezioni delle Leghe sindacali locali si segue il criterio della rappresentanza politica; si hanno in tal modo liste elettorali comuniste, socialiste, democristiane. Votano 1.238 iscritti. La suddivisione per colore politico è la seguente. Orafi: PCI 186, PSI 167, DC 64; agricoltura: PCI 207, PSI 206, DC 5; enti locali: PCI 29, PSI 53, DC 36; più altri. I più votati sono: nella Lega calzaturieri Emanuelli tra gli attivisti comunisti, Pulcrano per lo PSI e Nano per la DC; nella Lega orafi: Davide per gli attivisti comunisti, Soro per i socialisti e Bonelli per la DC; negli enti locali: Quaderno per gli attivisti, Buzio per i socialisti e Bonzano per i democristiani. Tra i ferrovieri i più attivi esponenti sindacali sono Cavalchini e Guidi, per i pensionati Scarrone, Cantatore e Repossi, per gli agricoltori Lenti.
Al Congresso provinciale del sindacato unitario CGIL, Valenza partecipa con 21 delegati. Nella Commissione esecutiva entrano Emanuelli e Buzio.
Nella festa del primo maggio 1947 sfila lungo corso Garibaldi un imponente corteo con in testa la banda cittadina, cui seguono i discorsi in piazza del Duomo. Tre giorni dopo però l’eccidio di Portella della Ginestra porta gli stessi lavoratori valenzani ad attuare uno sciopero generale; aderiscono numerosissimi recandosi nuovamente in piazza dove ascoltano in profondo e riverente silenzio le commosse parole, pronunciate dal balcone del Municipio, del sindaco socialista Guido Marchese (1906-1988) e del futuro sindaco comunista Giovanni Dogliotti (1911-1986).
Sempre nel 1947 la segreteria è composta dal segretario responsabile Luigi Buzio, da Gino Ravenni per la corrente comunista e Alfredo Cellerino per quella democristiana.
Come si verifica in campo nazionale, anche a Valenza sta però montando una certa inquietudine ed una certa tensione nella CGIL e nel movimento operaio tra la componente cattolica e quella socialcomunista. La creazione della sezione ACLI, presso la parrocchia S. Maria Maggiore, e del gruppo associato alla Confederazione Coltivatori Diretti, forma un nucleo di lavoratori, ancora esiguo, che sostiene la politica economica e finanziaria del governo democristiano, e che è molto critica e di ostacolo alle iniziative dell’amministrazione comunale socialcomunista. Questi lavoratori, intrecciati con gli oratoriani dell’Azione Cattolica, chiedono un comportamento compatibile con le esigenze capitalistiche del governo e sono ben presto in prima fila nella crociata anticomunista. Diversi sono i dissidi in occasione di alcune lotte aziendali, con scenari da melodramma in alcune imprese.
Si è perso slancio, si è smarrito l’entusiasmo iniziale, ora su tutta la classe operaia locale grava un rapporto di dipendenza dai partiti che, con un controllo spesso arrogante, condizionano e guidano il movimento verso fini più politici che sindacali.
Nei primi mesi del 1948, nel nuovo clima mondiale di guerra fredda, la divisione è già in atto, ogni corrente politica della Camera del Lavoro valenzana agisce ormai pressoché autonomamente rispetto alle altre. Dopo l’“election day” dell’aprile 1948, che fa registrare anche a Valenza un calo dei due partiti della sinistra, nel sindacato il clima si fa avvelenato e i toni diventano feroci oltre misura: un impressionante sfoggio di rancore collettivo con alcune metamorfosi e qualche salta fosso. Poi nel luglio del 1948, a seguito del tentato assassinio di Togliatti (14-7-1948), la reazione degli operai comunisti è immediata ed uno sciopero generale, con venature insurrezionali, quasi paralizza ogni attività economica della città; alcune aziende sono occupate da lavoratori e le bandiere rosse sventolano un po’ dappertutto. All’opposto, si astengono dalle manifestazioni gli operai non comunisti che ormai si allontanano definitivamente dalle forze socialcomuniste del movimento sindacale. Dominano le pregiudiziali ideologiche che condizionano e limitano l’esercizio collettivo; la nota dolente è che molti operai artefici dell’antifascismo, della guerra di liberazione, si distaccano dai loro compagni di lotta, faticando a comprendere la reale portata e la gravità degli avvenimenti politici che si sono precipitosamente susseguiti e che li hanno così profondamente coinvolti e divisi.
Le ACLI, dopo la rottura sindacale a livello nazionale, sanzionata il 22 luglio 1948 durante il consiglio nazionale, anche a Valenza assimilano le forze operaie cattoliche distaccandole per sempre dalla CGIL.
Nel mese di dicembre del 1948, all’interno del movimento cattolico locale, si forma il gruppo lavoratori che fa capo alla Libera Confederazione Generale Italiana del Lavoratori (LCGIL, poi CISL) nata nel mese di ottobre dalla separazione nazionale della CGIL, e si istituisce in poco tempo l’Unione Mandamentale zonale: con un impianto più saldo, gli aderenti al nuovo organismo sindacale raggiungono in breve tempo il numero di 300 (sono principalmente lavoratori del pubblico impiego e dell’agricoltura); il loro principale rappresentante locale è Pio Bonzano. Ma indubbiamente questo scalfisce ben poco la forte Camera del Lavoro locale che conta circa 1.800 iscritti, corrispondenti quasi ad un terzo dell’intera forza lavoro della città.
Purtroppo, per un’azione condotta con tanti pregi, anche se non sempre perfetta, mancheranno sempre, fino ai giorni nostri, regole certe sulla rappresentatività di queste fondamentali organizzazioni.